200 metri recensione

Dopo il premio del Pubblico alle Giornate degli Autori al Festival di Venezia 77, 200 metri arriva in sala il 25 Agosto, distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.

Opera prima del regista Ameen Nayfeh, questo film si propone come apologia di resistenza, coraggio e dignità. 

Una narrazione che si muove su un unico territorio in perenne conflitto, diviso tra popolazioni israeliane e palestinesi, che forse non riusciranno mai a trovare un punto di incontro.

200 metri che separano affetti e speranze

Sono solo 200 metri, che in realtà sembrano 200 km, quelli che separano una coppia di coniugi, costretti a vivere divisi, a causa della barriera di separazione israeliana. Una famiglia odierna che va oltre le convinzioni retrograde, nella quale è la donna, di nome Salwa (Lana Zreik) a portare il denaro a casa, per sfamare i figli e il marito. Quest’ultimo è Mustafa (un magistrale Ali Suliman), uomo palestinese, che fatica nella ricerca di un lavoro, perché troppo orgoglioso per sottomettersi alle volontà dell’altra parte di “terra”. Per lavorare dovrebbe necessariamente acquisire la cittadinanza israeliana e questo, per lui, rappresenta una grave offesa verso le sue radici e la sua identità. Il suo onore però viene messo in discussione quando uno dei suoi figli viene portato in ospedale, a causa di un incidente. L’amore di un padre va oltre ogni senso di appartenenza e oltre ogni confine invalicabile, tanto da spingere il protagonista a intraprendere un viaggio clandestino, per sfuggire ai controlli di frontiera e riuscire a raggiungere il piccolo, dall’altra parte del muro.

La famiglia protagonista di 200 metri offre uno sguardo rispettoso sul disagio e sulle difficoltà della convivenza impossibile di due mondi separati da un muro non solo fisico ma intellettuale e culturale, che divide famiglie, speranze, affetti e dolori, ma che non riesce a fare ombra sui principi e sull’onore dei cittadini.

Il viaggio oltre il muro

Superando gli ostacoli fisici e ideologici, Mustafa si mette in viaggio per raggiungere l’ospedale dove si trova il figlio e raggirare la zona di confine, al di là del muro. Non avendo mai voluto acquisire la cittadinanza israeliana, è costretto a pagare un’ingente somma di denaro per intraprendere clandestinamente un viaggio che comporta rischi e pericoli.

Un viaggio duro, ma colmo di compassione. Un compatimento che colpisce indirettamente anche chi lo vive attraverso il grande schermo. Le avversità incrociate durante il percorso mettono in luce una realtà struggente, che ci viene raccontata dai media, dalla cronaca, ma non in modo esaustivo. Grazie alla regia di Ameen Nayfeh si comprende che il conflitto tra israeliani e palestinesi va ben oltre le armi ed il potere.

Quel muro trasuda sofferenza, distruzione psicologica, lacrime di bambini separati dai loro genitori. Un muro che gronda di lacerata umanità e di speranza consumata. Sono pochissimi gli spiragli di pace che trapassano le fessure di quei mattoni. È guerra disperata, forsennata, fomentata dall’intolleranza accecante, che calpesta incurante le vite di migliaia di cittadini.

La speranza, dietro il muro

200 metri può considerarsi una testimonianza sincera di amore verso la propria gente e la propria Terra. 

Una lode alla dignità e al rispetto verso le proprie radici, che conferiscono forza all’animo umano, nonostante l’odio e le lotte. 

E una speranza. L’auspicio che qualcosa, in un domani remoto, possa cambiare.

La speranza trasposta nella figura allegorica della luce, della lampada, usata ad intermittenza da Mustafa, per augurare la buonanotte alla moglie e ai figli. Una luce che comunica, rassicura e che supera senza timore quei 200 metri al di là del muro. 

200 metri di Ameen Nayfeh, dal 25 Agosto al cinema.

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Annamaria Martinisi Author FRAMED Magazine
Sono il risultato di un incastro perfetto tra la razionalità della Legge e la creatività del cinema e la letteratura. La mia seconda vita è iniziata dopo aver visto, per la prima volta, “Vertigo” di Hitchcock e dopo aver letto “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Mi nutro di conoscenza, tramite una costante curiosità verso qualunque cosa ed il miglior modo per condividerla con gli altri è la scrittura, l’unico strumento grazie al quale mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto.

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