The Man Who Surprised Everyone (Chelovek, kotorij udivil vsekh) - Di Aleksey Chupov e Natasha Merkulova (2018)
The Man Who Surprised Everyone (Chelovek, kotorij udivil vsekh) - Di Aleksey Chupov e Natasha Merkulova (2018)

Boicottare il cinema e la cultura russi come risposta alla criminale invasione dell’Ucraina da parte dell’autocrate Vladimir Putin, sarebbe a nostro avviso assurdo, pericoloso e controproducente. Eppure, anche nell’Occidente delle democrazie liberali, una simile soluzione è stata già non solo invocata ma anche parzialmente attuata.

Dall’European Film Academy che esclude i film russi dai premi di quest’anno al nostro Belpaese che raggiunge la farsa ipotizzando la sospensione di un corso universitario su Dostoevskij, sembra purtroppo che la retorica bellicista stia mettendo in forse uno dei valori di cui (giustamente) più ci vantiamo, quello della libera espressione e circolazione delle idee.

Vi proponiamo perciò, nelle righe che seguono, solo alcuni consigli di visione, tra i tanti possibili, che ci ricordano di come il cinema russo degli ultimi vent’anni (quelli del nefasto regime putiniano) sia stato tutt’altro che una mera espressione del suo governo. Film e registi che hanno denunciato la barbarie della guerra (anche di casa loro), l’oppressione delle donne, della comunità LGBTQ+ e altro ancora.

Opere capaci di restituirci la complessità della società russa odierna e la dignità del suo popolo, al di là di semplificazioni e caricature. Autori e autrici testimoni di un fermento creativo che l’autoritarismo non ha soffocato. Sarebbe assurdo che lo facessimo proprio noi, isolandoli o esigendo patenti politiche mai pretese per artisti di potenze non meno bellicose e governi non meno oscurantisti.

Perché se c’è una cosa che potrà contribuire alla pace, riteniamo, è proprio la propagazione di idee, parole e visioni che si contrappongano alla morte reale e simbolica di questi tempi drammatici.

1La casa dei matti (Dom Durakov) – Di Andrej Končalovskij (2002)

La “casa dei matti” del titolo è un ospedale psichiatrico in Inguscezia, durante la guerra russo-cecena del 1996. Il conflitto sconvolge la routine dei pazienti, con la fuga del personale sanitario sotto i bombardamenti e poi l’occupazione della struttura da parte dei guerriglieri ceceni. E una paziente, Zhanna (Yuliya Vysotskaya), che nel suo mondo immaginario vive una storia romantica col cantante Bryan Adams, s’innamorerà di uno di loro.

Un film che è valso il (primo) Leone d’argento al regista Andrej Končalovskij, già allievo di Tarkovskij ma anche cineasta a Hollywood (suo l’ottimo thriller A 30 secondi dalla fine). Tornato in patria dopo la fine dell’URSS, vi ha portato avanti la sua poetica sovente critica di ogni autoritarismo e tesa ad affermare la forza dell’animo umano. Che risalta tanto più nei memorabili protagonisti de La casa dei matti, emblema delle prime vittime di qualsiasi guerra, ovvero gli emarginati di ogni società e schieramento.

Ma non ci sono facili pietismi o ipocriti paternalismi nel film, la cui vitalità espressiva rispecchia quella interiore dei personaggi (alcuni dei quali interpretati da veri pazienti psichiatrici). Una vitalità che rielabora felicemente l’estetica postmoderna degli anni ’90 e primi Duemila (tra videoclip, soluzioni da Dogma 95 e squarci metafilmici), infondendole tra ironia e malinconia l’afflato umanistico della miglior cultura russa.

2 – Spose celestiali dei Mari di pianura (Nebesnye Zeny Lugovykh Mari) – Di Aleksey Fedorchenko (2012)

Emblematico, visionario: Spose celestiali dei Mari di pianura conquista con la sua carica fortemente evocativa, frutto di un grande lavoro estetico sulle immagini, quadri iconici di un passato sciolto nel presente. Il film raccoglie ventitré storie, più o meno lunghe, provenienti dalla cultura, dal folklore e dalle tradizioni del popolo dei Mari (etnia proveniente dagli Urali), condensando gli aneddoti alla loro religione di tipo pagano.

La centralità del femminile scandisce l’andamento della multinarrazione che attrae come un vortice magico di antropologia e fantasia. Le donne ne sono protagoniste e vittime, oggetto del desiderio o presenza sovrannaturale: i loro nomi, tutti inizianti per O, danno il titolo ai vari episodi del film. Fedorchenko riesce a rappresentare il fascino della cultura di un popolo attraverso un mondo immaginifico che spiazza e strega lo spettatore.

3 – Angeli della Rivoluzione (Angely revolucii) – Di Aleksey Fedorchenko (2014)

Sempre di Aleksey Fedorchenko, Angeli della Rivoluzione è un film che si esprime attraverso “quadri” di rara bellezza e cinematografiche, illuminate, geometrie. Con un linguaggio che trascende quasi il cinema stesso per traslarsi in teatro, musica, avanguardia, il film racconta lo scontro tra due culture: quella delle popolazioni rurali e indigene Khanty e Nenets e quella degli inviati “speciali” del governo sovietico.

Nella Mosca del 1934 l’ex combattente Polina “la Rivoluzionaria”, viene mandata a convincere tali popolazioni ad aderire all’ideologia comunista. Assieme a lei una squadra di altri cinque ex-combattenti, diventati tutti esponenti dell’avanguardia russa. Sono un musicista, un regista di teatro, uno scultore, un architetto costruttivista e un regista. Il regista ci regala un’opera che rilegge uno scontro tra culture e il tempo storico che gli fa da cornice. Ancora una volta la potenza del folklore si scontra con i traguardi della contemporaneità, donando una riflessione poetica che incanta lo sguardo, per ricadere drammaticamente dell’incongruenza di un conflitto insanabile.

4 – Tesnota – Di Kantemir Balagov (2017)

Tesnota (Closeness) è un’opera prima carica di forza emotiva ed estetica. Vincitore a Cannes 2017 del Premio della critica, il film di Balagov (allievo di Sokurov) è “sporco”, diretto, la storia che vuole raccontare è tragica e rumorosa e si evolve come se vivesse di vita propria e non fosse il risultato di un soggetto di finzione, come se volesse travalicare quel formato 4:3 imposto come una cornice limitante.

Girato nella repubblica autonoma di Kabardino-Balkaria, alle pendici del Caucaso, nella Russia sudoccidentale (luogo caro al regista), il film è ambientato nel 1998, la protagonista, Ilana, ha 24 anni e la sua vita sarà oggetto di una pericolosa negoziazione: poco dopo la celebrazione del fidanzamento di suo fratello minore, David, la giovane coppia viene rapita. Appartenenti alla comunità ebraica, entrambe le famiglie cercano di raccogliere i soldi per il riscatto evitando di chiamare le autorità locali. Ma il sacrificio più grande verrà preteso da Ilana, proprio dalla sua famiglia, sarà allora che la ragazza deciderà di reagire in base alle proprie regole.

Agli albori della Seconda Guerra Cecena, Balagov mette in scena quegli anni ’90 persi in luoghi vastissimi eppure soffocanti, attraverso l’intraprendenza di una giovane donna che tenta di sfuggire ad un triste futuro già pianificato ribellandosi con una forza malata che riflette tutto ciò che vive.

5 – The Man Who Surprised Everyone (Chelovek, kotorij udivil vsekh) – Di Aleksey Chupov e Natasha Merkulova (2018)

Tra i più validi cineasti russi emersi nell’ultimo decennio, Natasha Merkulova e Aleksey Chupov si sono rivelati a Venezia 2018 (sezione Orizzonti) con The Man Who Surprised Everyone, che affronta il nodo dell’identità di genere. Tanto più coraggiosamente, in un Paese dove omofobia e transfobia sono avallate e promosse dallo stesso governo in carica.

Una fiaba straniante e dolorosa ambientata in un villaggio della Siberia, dove Egor, guardia forestale, marito e padre sconvolto dalla notizia della sua malattia terminale, compie una scelta che gli attira lo stupore, il rifiuto e l’odio dei compaesani. Ma forse, come gli ha suggerito una maga, è l’unica possibilità che gli rimane per ingannare la morte, rinascendo.

Merkulova e Chupov hanno proseguito il loro viaggio critico nella coscienza del popolo russo con Captain Volkonogov Escaped (Kapitan Volkogonov bežal, 2021), in concorso a Venezia 78. Una parabola sulla crisi e il tentativo di redenzione di un capitano della sicurezza nazionale nell’URSS delle purghe staliniane. Chissà se, e quando, potremo (ri)vederlo da noi. Speriamo prima possibile, e speriamo che il cinema russo e i suoi artisti non vadano annoverati tra le vittime di questa orrenda guerra.

La selezione e l’articolo sono a cura di Emanuele BucciSilvia Pezzopane.

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