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John Krasinski torna alla regia del secondo capitolo di quella che ormai possiamo tranquillamente considerare una saga, con A Quiet Place II. Proseguono le vicende della famiglia Abbott (Emily Blunt, Millicent Simmonds, Noah Jupe), in lotta per la sopravvivenza in un mondo dominato dal silenzio. L’incontro con una vecchia conoscenza aprirà le porte a nuove speranze e a nuovi e temibili pericoli.

Sorprendenti premesse

Il primo film vantava un concept di base tanto semplice quanto efficace, che ha trovato il suo riflesso, uguale e specchiato, in film come The Silence (John R. Leonetti, 2019) e Bird Box (Susanne Bier, 2018). La ricchissima materia narrativa e filmica che le creature cieche con l’udito ipersviluppato costituivano avrebbe potuto andar persa in un film d’azione con soluzioni registiche stanche e una poco vigorosa mente creativa.

John Krasinski, Scott Beck e Bryan Woods hanno invece saputo sviluppare un gioiellino thriller/horror capace di avvincere lo spettatore e tenere in pugno la sua attenzione e i suoi stessi sensi per una fluidissima ora e trenta percepita come venti minuti. La visione al cinema era imperativa, e gli sgranocchiamenti vari da sala banditi: più volte mi son ritrovata in apnea per non far rumore respirando, con la bocca aperta nell’attesa della tragedia annunciata o con crampi incipienti per essermi scordata di muovermi. Mai al cinema ho goduto di un silenzio più carico e condiviso che, anche se sola, mi ha fatto sentire parte di quell’esperienza collettiva che la visione in sala dovrebbe – ma non sempre riesce a – essere.

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Millicent Simmonds in A Quiet Place II – Credits Eagle Pictures

Secondo episodio

Ancora da sola, e in una sala (tristemente) vuota, ho potuto seguire le sorti della famiglia Abbott nella seconda parte di quella che si sta sempre più configurando come la versione cinematografica di una (mi auguro) miniserie televisiva. Questa percezione è debitrice del contesto di visione. I cinema UCI hanno organizzato una mini-maratona in cui era possibile vedere il primo film e, subito dopo, il secondo, tre giorni prima dell’uscita ufficiale. Dopo una magistrale analessi che ci mostra il finora solo immaginato giorno uno dell’apocalisse, le fila del discorso vengono riprese da dove le avevamo lasciate nel primo film, per me una ventina di minuti prima. La sensazione di star guardando la seconda puntata di una serie TV è ineludibile, e non può che essere accentuata – stavolta rovinosamente – dal finale.

Perché se, sorvolando sul flashback iniziale, la mancanza di un’ellissi temporale si accoglie come drammaturgicamente neutra, il brusco troncamento del finale risulta più problematico. E quasi inaccettabile, mi verrebbe da dire. Perché questo film non finisce. Come una puntata (e nemmeno quella conclusiva) di una serie TV, lo schermo si oscura e i titoli di coda cominciano a scorrere prima che il materiale narrativo in gioco abbia terminato il suo sviluppo. Sia chiaro, non c’è nulla di male nel lasciare che un finale presenti gli agganci per un capitolo successivo. Ma trovo poco onesto nei confronti dello spettatore giocare in anticipo sul suo desiderio di vedere il sequel. Personalmente, questo tipo di operazione più che attirarmi mi respinge.

Ribadisco che la sequenzialità della visione ha attivato una fruizione peculiare e “viziata”. Ammetto però che sui titoli di coda non mi avrebbe preso nemmeno poi così alla sprovvista la comparsa del banner di Netflix con “Guarda titoli di coda” e “Prossimo episodio”.

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Noah Jupe e Cillian Murphy in A Quiet Place II – Credits Eagle Pictures

Pro e contro

La sequenzialità della visione ha comportato un’ulteriore conseguenza, ovvero l’impietoso confronto con il primo film: A Quiet Place brilla di luce rara. L’oliatissimo meccanismo narrativo, l’ottimamente calibrata orchestrazione della tensione, la solida composizione visiva, tutto ciò che di fatto avevo già apprezzato all’epoca dell’uscita gode purtroppo di maggior risalto trovandosi a precedere il secondo capitolo.

Dalle premesse sembra che questo A Quiet Place II sia un sequel indegno, ma così non è. Purtroppo è fisiologico che l’innovazione rappresentata dal primo abbia qui fatto il suo corso, non stupendo più ma venendo data per assodata. E ciò toglie effettivamente molto del fascino che la prima parte vantava. E i problemi non finiscono certo qui.

La struttura del film soffre eccessivamente del sistema a livelli proprio della tradizione videoludica: ogni sequenza sembra un set dalla difficoltà crescente, con i protagonisti che devono andare da un punto A a un punto B. Questa frammentazione rende la narrazione meno fluida e coerente della precedente, facendo prevalere uno schema a blocchi. Il terrore che i mostri suscitavano è ora attenuato dalla sicura presenza di un’arma pressoché infallibile. A sostituire le creature è un nuovo e ancora poco definito nemico, molto più umano ma forse per questo ancor più spaventoso. Un altro aspetto negativo è che qui si parla veramente troppo. Dimenticatevi le atmosfere del primo: bunker insonorizzati e altri mezzi simili daranno modo ai nostri protagonisti di discorrere più o meno a piacimento di ciò che prima dovevano comunicarsi in altri modi.

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Emily Blunt e Noah Jupe in A Quiet Place II – Credits Eagle Pictures

Rimane il fatto che si tratti di un film assolutamente godibile nell’intrattenimento puro che lo muove. Le scene d’azione continuano ad essere dirette magnificamente, e la tensione riesce a mantenersi viva attraverso meccanismi tanto collaudati quanto sempre sorprendenti.

Uno sviluppo interessante di questo secondo film è come la figura paterna del personaggio di John Krasinski non venga sostituita da quella di Cillian Murphy, ma trovi un nuovo corpo in Regan, la figlia. È lei la vera protagonista del film, in quanto è a lei che viene affidato il compito di portare avanti la narrazione: varcando i confini, andando oltre ciò che viene percepito come sicuro per cercare l’autentica salvezza. Del suo personaggio mi ha sempre affascinato il suo essere la nemesi delle creature. La sua sordità la rende il loro opposto, ma paradossalmente la più adatta e capace a muoversi in un mondo ovattato dove l’udire diventa spesso arma a doppio taglio, che atterrisce impedendo l’intraprendenza che, invece, caratterizza il suo personaggio.

Andate al cinema e godetevi questo film, che assolutamente in sala deve essere visto. E ora non resta che attendere (con da parte mia un po’ di malcelato fastidio) il tanto sbandierato terzo film.

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