Al largo di Anna Marziano giustappone immagini e parole in un montaggio di frammenti, “scrivendo” una poesia sulla vita e sul corpo. E l’umano si fonde con il mondo da lui stesso plasmato, prima di dirgli addio.
Si fa presto a dire “cinema di poesia”, pensiamo a immagini sperimentali, accostamenti più forzati che lirici. Eppure è complicato trovare una terminologia più adatta per descrivere il film documentario di Anna Marziano. Al Largo, Premio Speciale della Giuria nella sezione Italiana.doc al Torino Film Festival 2020, è stato proiettato ieri all’interno della manifestazione CINEMA AL MAXXI, nell’ambito di Extra Doc Festival.
Collage di corpi e onde
Il lavoro sul film è cominciato nel 2016, di fronte a una serie di problemi da affrontare al fianco di una persona amata che sopportava il dolore e le conseguenze di una malattia e di vari interventi chirurgici. In quello stesso periodo sono diventata madre di una bambina (e lei stessa appare nel film). La vita scorreva dentro di me, bruciava in tutta la sua violenza, ai due lati dell’esistenza. Chi si prende cura di una persona dopo che i dottori se ne sono andati? Come affrontare l’insensatezza del dolore? E come preparare se stessi e una bambina ad affrontarlo?
Anna Marziano
Il progetto di ricerca e narrazione compiuto da Anna Marziano si muove nell’intento di comunicare il corpo umano in continua evoluzione attraverso il tempo e la malattia, ma anche il dolore, la gravidanza, la sopravvivenza in un tutt’uno cangiante e vitale.
I protagonisti di Al largo sono fatti di carne, ossa e mare: un moto ondoso perpetuo che ne motiva il vissuto, mentre le immagini delle onde si velocizzano accompagnandone le parole. (Tra loro anche l’artista Francesco Nash). Come mantra significanti, le loro voci assistono il corso del racconto supportando un coinvolgimento complesso che tocca la percezione ma accarezza al contempo il viso, le mani.
Dalle testimonianze raccontate su flussi visivi e opere d’arte, alle letture tratte dalle lettere di Freud indirizzate a Lou Andreas-Salomè tra il 1923 e il 1925. La pittura e i collage si intervallano contaminandosi ai brani di Claire Marin, scrittrice e filosofa, a stralci da Ernesto De Martino e dalle Metamorfosi di Ovidio. La produzione umana tesa a trovare ordine e senso si raggruppa stagliandosi con grazia agli occhi dello spettatore, producendo a sua volta senso vivido in divenire.
Le fonti di ispirazione e il senso profondo
Al largo nasce in seguito ad un’esperienza drammatica per la regista, che vive il dramma di assistere alla sofferenza della malattia di una persona vicina. Quel dolore diventa punto di partenza e fulcro per accettare ciò che nella vita arriva, e ne fa parte.
Rilegge Nietzsche e Donald Winnicott, si espone comparendo nel film. L’autrice si concentra su una mai inquieta riflessione che ricade inevitabilmente sulla deperibilità del corpo. E la “ricollocazione” bidimensionale attraverso illustrazioni ritagliate è il prolungamento artistico del gioco di una bambina, con oggetti piatti di tessuto.
Cos’è il cinema di poesia? La raccolta visiva di concetti capace di trovare un suo linguaggio, unico come sillabe mai pronunciate.
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