Una città in subbuglio, affollata di corpi che si scontrano senza mai conoscersi davvero. È possibile vivere e innamorarsi a Mumbai? È possibile vivere e innamorarsi quando tutti i sensi sono offuscati dalla ripetizione meccanica di ogni gesto e di ogni pensiero?
Sembra questa la domanda che muove All We Imagine as Light, film di Payal Kapadiya, già Gran Premio della giuria a Cannes 2024 e al cinema dal 10 ottobre con Europictures. La risposta ovviamente è sì: ci si innamora di continuo, a patto di saper ritrovare se stesse nel caos costante nella megalopoli, ribellandosi ai suoi schemi, dettando le proprie regole.
La trama di All We Imagine as Light
È un equilibrio precario quello che racconta Kapadiya, l’equilibrio sottile fra Prabha (Kani Kusruti), Anu (Divya Prabha) e la stessa Mumbai che tiene le due donne come strette in un morsa, limitandone desideri e sentimenti. Le due protagoniste sono entrambe infermiere e coinquiline. Prabha è sposata con un uomo dai contorni invisibili, ma la cui presenza vincolante si riflette nei suoi comportamenti da moglie. Nonostante lui sia lontano, in Germania, Prabha vive e si comporta come se fosse insieme a lei. Non esce con le colleghe, rientra presto la sera, si occupa della casa. E ricaccia indietro con forza, in un angolo della mente, la forte – e ricambiata – attrazione che prova per un medico dell’ospedale.
Anu è molto più giovane e più libera. Vive con più leggerezza, ma anche più consapevolezza, il suo tempo e il suo corpo, sesso compreso. Induista, come Prabha, si innamora di un ragazzo musulmano con cui cerca disperatamente dei momenti di intimità, lontano da occhi indiscreti e giudicanti.
Qualcosa in All We Imagine as Light si spezza nel momento in cui lo sguardo critico e moralista da cui Anu cerca di fuggire diventa proprio quello di Prabha, turbata da un regalo inaspettato del marito che risveglia in lei sensi di colpa e domande.
L’amore, ritorno alla natura del desiderio
Nel momento in cui Kapadiya crea un conflitto narrativo, tuttavia, la storia prende una piega inaspettata. Le due donne, per motivi diversi, accompagnano un’anziana collega nel suo piccolo villaggio, dove ha scelto di tornare a vivere. Il rumore della città svanisce. Al suo posto si sente solo il fruscio della foresta tropicale e lo sciabordio dell’oceano. La natura riprende possesso del suo spazio e dei sensi offuscati dal cemento e dalla folla. Così anche le voci interiori e i desideri riacquistano la consistenza che avevano perso.
Prabha trova la forza di affrontare la rabbia e il senso di abbandono che prova nei confronti del marito assente. Anu riesce finalmente ad abbandonarsi tra le braccia dell’uomo che ama, circondata solo dalla terra e dagli alberi, in una scena tanto sensuale quanto verosimile, che diventa la scena madre del film: la riconnessione completa con il potere della (propria) natura.
In breve: cosa immaginiamo come luce?
In questo racconto interamente al femminile, l’amore cambia forma e senso man mano che ci si avvia verso il finale e man mano che ci si allontana da Mumbai. L’amore, afferma uno dei personaggi (forse un riflesso dei bisogni di Prabha) è tutto ciò che riusciamo a immaginare come luce. È il volto, la parola, il corpo o lo spirito a cui ci aggrappiamo quando intorno è solo buio. Ma non possiamo capirlo, finché ci lasciamo distrarre dai troppi flash della metropoli, o finché rifiutiamo di abbracciare ciò che realmente vogliamo.
Film come All We Imagine as Light lo raccontano con una poesia del quotidiano che mantiene la promessa con cui arrivano al pubblico: far sì che per almeno due ore le immagini sullo schermo ci diano l’illusione di cambiare il corso della nostra vita.
Continuate a seguire FRAMED. Siamo anche su Facebook, Instagram e Telegram.