
Il cortometraggio musicale di P.T. Anderson, ispirato all’omonimo album di Thom Yorke, ANIMA
Nel 2019 Thom Yorke presta volto e voce a Paul Thomas Anderson, diventando il protagonista di ANIMA, emozionante cortometraggio realizzato per Netflix. In poco più di quindici minuti, e senza pronunciare una parola, si racconta la forza destabilizzante e potente di un amore, elemento di rottura in una quotidianità alienante. Non a caso, la protagonista femminile è la neo sposa di Yorke, l’attrice siciliana Dajana Roncione.
Le uniche parole necessarie sono quelle della colonna sonora, tratta direttamente dalla track list del quarto album da solista di Yorke (Anima, appunto, del 2014). Ogni altra comunicazione è affidata ai corpi, che si muovono incessantemente a ritmo di musica, creando quasi una performance di teatro-danza.
Una storia di resistenza e rinascita
La struttura del film si può suddividere in due parti, di durata quasi identica: due metà della stessa storia. Tutto inizia in metropolitana, in uno spazio familiare che tuttavia ha qualcosa di perturbante. I passeggeri, vestiti con la stessa tuta da lavoro grigia, viaggiano a occhi chiusi, muovendosi, sobbalzando e danzando a ritmo del vagone. Ogni movimento è ripetuto all’infinito, disumanizzante. Qualcosa cambia nel momento in cui gli occhi di Yorke si aprono e incrociano quelli di una donna vicino a lui. Su di lei, Dajana Roncione, si apre il primo Primo Piano, segno del suo ruolo chiave.

L’incontro con questa donna e il desiderio di non perderla, di rivederla (con il pretesto di una borsa dimenticata), insinua nel personaggio di Yorke il bisogno di ribellarsi a quella danza, sempre identica a se stessa, eseguita da tutti gli altri.
Attraversiamo allora con lo sguardo scenografie oniriche, pezzi di incubi e ombre chilometriche, come in un quadro di De Chirico. Vediamo l’uomo che lotta con tutto il corpo, sempre danzando, contro l’alienazione e la massa intorno a sé. Il pensiero corre (immediatamente) alla celebre scena del mostro di Metropolis (Fritz Lang, 1927), troppo evidente per non essere una citazione voluta.

L’uomo però alla fine sembra arrendersi, smette di opporre resistenza, si lascia risucchiare da questo strano incubo, per poi risvegliarsi. Finisce quindi la metà propriamente onirica e metafisica del film e si entra in una dimensione diversa, in cui ancora una volta protagonisti sono Thom e Dajana.
Questa volta la forza che li separa non è esterna, possono affrontarla e possono resistere, aggrappandosi uno all’altra. Ancora una volta dunque la fisicità, la materialità e il calore dei corpi sono essenziali. Sorprende, e non poco, a questo proposito il talento di Yorke nel comunicare attraverso i propri movimenti, la gestualità, le pause e il ritmo, non solo attraverso la sua inconfondibile voce. Continuano entrambi a danzare, in un movimento fluido che inizia laddove finisce il corpo dell’altro. A turno si trascina o si è trascinati, in questo rituale incomprensibile che è l’amore. Ma ci si muove sempre insieme.
Non serve tuttavia sapere se questa seconda dimensione sia la realtà, il presente o un ricordo. Esiste semplicemente perché popola la mente del protagonista, che all’improvviso si risveglia ancora una volta, da solo.
Se non avete ancora visto ANIMA, correte a guardarlo su Netflix, e mettete il volume al massimo.
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