Man Ray

Una schiena femminile nuda, candida, con due F di violino tatuate all’altezza delle maniglie dell’amore, proprio nel punto in cui il corpo si allarga nelle rotondità dei fianchi. Questo è Le Violon d’Ingres, opera fotografica di Man Ray. Era il 1924 e l’artista dadaista pensò bene di raffigurare Kiki de Montparnasse, cabarettista parigina, in questa posa che l’avrebbe fatta passare alla storia.

Sì, perché Kiki, nome d’arte di Alice Prin, fu la protagonista di uno dei primi lavori di fotoritocco fotografico. Ma non è solo questo il motivo per cui questa fotografia è diventata iconica. L’originalità dell’opera risiede proprio in questa nuova rappresentazione del corpo femminile: in parte il nudo di spalle richiama la magnificenza di alcuni dipinti neoclassici, come La bagnante di Valpinçon di Jean-Auguste-Dominique Ingres, appunto. Dall’altra, però, la donna viene ironicamente associata a uno strumento musicale. Certo, la forma del corpo, con la vita stretta e la rotondità dei fianchi, richiama proprio un violoncello. Ma c’è anche un altro significato. Kiki era infatti l’amante di Man Ray. E siccome il violoncello era il passatempo di Ingres, il titolo diventa improvvisamente eloquente: come lo strumento musicale era l’hobby di Ingres, la modella sarebbe quello dell’artista.

"Man Ray, Le violon d'Ingres, 1924, © Man Ray Trust / Adagp" su licenza CC BY 2.0 - Haka004
“Man Ray, Le violon d’Ingres, 1924, © Man Ray Trust / Adagp” su licenza CC BY 2.0 – Haka004

Per quanto l’idea sia geniale e innovativa, il messaggio è ben poco lusinghiero per la donna. Da una parte, è necessario considerare il fatto che l’opera risale agli anni Venti del Novecento. Non è giusto, dunque, condannare le scelte artistiche di un uomo del suo tempo, bensì contestualizzarle e limitarsi ad ammirare il lavoro di un visionario. D’altra parte, se ci si riflette, è desolante constatare come la condizione femminile sia rimasta per certi versi immutata.

Il corpo femminile simbolo di desiderio

Il corpo delle donne è sempre stato visto come oggetto di desiderio e lussuria. E il termine “oggetto” non è affatto casuale, perché è così che viene percepito. Uno strumento, manipolabile e al servizio dell’uomo, convenzionalmente considerato debole, come l’intero genere. Tant’è vero che spesso viene giudicata attraente una specifica tipologia fisica, che trasmette proprio questa idea di fragilità intrinseca. Un corpo che sembra chiedere la protezione di qualcuno più “forte”.

Un esempio recente: Non sono un uomo facile

La condizione della donna è spiegata alla perfezione in un film originale Netflix: Non sono un uomo facile. Il concept di base è molto semplice: un donnaiolo spregiudicato e sessista prende un colpo in testa passeggiando lungo la strada. E d’improvviso si risveglia in un mondo in cui il sesso forte è proprio quello femminile. Sono le donne che occupano i posti più alti nelle aziende e chiedono “favori” ai sottoposti in cambio di avanzamenti di carriera. Sono gli uomini che rimangono a casa a prendersi cura della famiglia e sono loro quelli che ricevono complimenti e imbarazzanti fischi per strada.

Non sono un uomo facile - Netflix
Non sono un uomo facile – Netflix

Con un’idea del genere, è difficile riuscire a fare un buon lavoro. La rappresentazione di un mondo capovolto potrebbe rischiare di scivolare in stereotipi banali, o in scelte di dubbio gusto. E cinematograficamente parlando non si sa quanto possa rendere un uomo costretto a indossare minigonna e tacchi a spillo. Anche perché sarebbe uno scambio di ruoli estremamente scontato. In Non sono un uomo facile, tuttavia, la rappresentazione della differenza di genere è molto più sottile e va ben al di là della semplice estetica. Motivo per cui il film risulta efficace e fa riflettere. Le donne messe semplicemente al posto degli uomini, creano un mondo altrettanto sbagliato.

In questo universo narrativo si perde comunque di vista quello che dovrebbe essere l’obiettivo finale: la parità dei diritti. In questo caso, le donne dominano sugli uomini, ma il potere e lo squilibrio sociale le porta inevitabilmente a compiere gli stessi errori. Eppure, ciò a cui non si fa caso nel “nostro” mondo, risulta improvvisamente grottesco nel film. Perché ci infastidisce il fatto che una donna fugga disgustata davanti a un uomo con i peli sul petto? Come mai una donna che chiede favori sessuali in cambio di un avanzamento di carriera, o un uomo sottomesso alla compagna ci creano un effetto di straniamento? Semplice: perché non è giusto. Ma nella nostra società siamo talmente abituati ad assistere a queste dinamiche “al contrario”, che non ci facciamo più caso, se colui che sta al di sopra è un maschio.

Uscire dalla forma mentis del genere nell’arte

Il punto è proprio uscire da questa forma mentis, rendendosi conto che uomini e donne dovrebbero essere trattati con equità. E come il corpo femminile può essere una forma d’arte, un oggetto di desiderio, può avere questa valenza anche quello maschile. D’altronde, se si pensa alla statuaria greca vi è pari esaltazione di uomini e donne. E lo stesso vale per l’arte rinascimentale. Ma pensiamo alla fotografia contemporanea: ci sono modelli maschili, ma vengono comunque visti in modo un po’ diverso rispetto alle modelle. Davanti alla rappresentazione artistica di un uomo nudo, i pensieri e i commenti generalmente fanno maggiore riferimento alla bellezza della fotografia in sé, all’armonia compositiva, alla qualità delle luci e delle ombre. Davanti a una donna nuda, invece, fioccano commenti sulla bellezza della modella e delle sue forme. Per non parlare di coloro che magari la criticano apertamente per aver esposto così liberamente il proprio corpo. Qualcuno farebbe simili critiche a un uomo? Forse sì, ma si tratterebbe comunque di una minoranza.

È proprio questo il punto: le donne non dovrebbero vergognarsi del proprio corpo. Per secoli le ragazze sono state educate e percepire la propria femminilità come una fonte di vergogna, come qualcosa da coprire per non accendere il desiderio maschile. Quando invece la bellezza femminile, così come quella maschile, andrebbe esposta con orgoglio e celebrata, se lo si desidera. Se un giorno ci si vede particolarmente belle e si vuole scattare una foto, perché vergognarsi? Perché limitarsi? Perché un’attrice o una ballerina, che lavorano attraverso il proprio corpo, dovrebbero vergognarsi di mostrarlo? 

D’altronde, il corpo è un potentissimo strumento espressivo. Su questo Man Ray non si era sbagliato. Ed è nostro dovere prendercene cura e andarne fieri, a prescindere dal proprio genere. Se si parte da questo, se si arriva a comprendere questo concetto, si potrebbe dire che la battaglia per la parità dei diritti avrà fatto un altro passo. Uno su migliaia, ma l’importante è farlo.

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Giulia Losi
Laureata alla Sapienza in Teatro, Cinema, Danza e Arti Digitali, ho poi deciso di dedicarmi in toto alla mia grande passione: la critica cinematografica e la scrittura. Sono grande appassionata di cinema e serie TV fin da piccola, quindi ho fatto la semplice scelta di prendere un mio grande amore e farne un lavoro.

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