Una scena di Nuovomondo. Credits: 01 Distribution.
Aspettando Venezia 2022. Una scena di Nuovomondo. Credits: 01 Distribution.

La 79ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è imminente e ci porterà una valanga di nuovi film in anteprima. Perciò, come ormai di consueto ogni anno, vi consigliamo alcuni titoli da (ri)scoprire, firmati da ospiti di quest’edizione del Festival, dentro e fuori dal concorso principale. Un modo per godersi meglio il grande evento e, con l’occasione, recuperare qualche perla del recente passato.

1. Il cerchio, regia di Jafar Panahi (2000)

Arrestato a luglio e condannato per direttissima a sei anni di detenzione, Jafar Panahi è tra i registi iraniani uno dei più coraggiosi e (quindi) ostracizzati dal locale regime teocratico. E, malgrado l’ennesimo attacco alla sua libertà (anzi, tanto più per questo), il cineasta parteciperà al concorso principale di Venezia col suo nuovo lungometraggio, Khers nist (No Bears). E in effetti i divieti del governo (tra cui, già da anni, quello di lasciare il Paese e girare film) non hanno finora mai fermato Panahi, che durante la fase semiclandestina della propria attività ci ha regalato opere come il doc autobiografico This Is Not a Film, l’Orso d’oro Taxi Teheran e quest’ultimo titolo.

Ma, risalendo ancora più indietro, vale la pena (ri)vedere l’emblematico Il cerchio, Leone d’oro al Lido nel 2000. Attraverso le vicende intrecciate di cinque (e più) personaggi femminili, Panahi descrive quella soffocante prigione circolare che è la società iraniana per le donne che la abitano, cui nulla (viaggiare, abortire, salire su un taxi, persino nascere) sembra davvero concesso senza il benestare di un uomo. Duro, rigoroso, trasparente nelle scelte formali come nelle soluzioni narrative (dove l’accensione sempre repressa di una sigaretta accomuna le diverse protagoniste), Panahi (di)mostra già da qui la sua vocazione di cineasta “autista” della realtà. Dove si sposta (r)accogliendo storie e vite, trasportandole e facendosi trasportare per veicolarne la denuncia.

Una scena de Il cerchio. Credits: web.

2. Arirang, regia di Kim Ki-duk (2011)

Alla Mostra di Venezia 2022 troveremo fuori concorso Kõne taevast (Call of God), l’ultimo lungometraggio del sudcoreano Kim Ki-duk, morto nel 2020 per Covid-19. Completato dall’estone Arthur Weber seguendo le indicazioni del regista scomparso, questo nuovo lavoro chiude la filmografia di un autore affascinante quanto tormentato. Outsider in patria ma acclamato nei festival internazionali (Leone d’oro e Leone d’argento rispettivamente per Ferro 3 e Pietà, Orso d’argento per La samaritana), Kim ha vissuto in prima persona i drammatici conflitti che esplora nel suo cinema. E il film che lo certifica più e meglio di tutti è probabilmente Arirang, Premio Un Certain Regard a Cannes 2011.

Un doc autoanalitico, un meta-dramma, una riflessione inquieta e radicale sul cinema e l’esistenza. Arirang (titolo che deriva dall’omonima canzone popolare) è tutte queste cose. È la risposta di Kim a una crisi creativa e umana seguita a un incidente sul set di Dream (dove un’attrice da lui diretta ha rischiato di morire) e il “tradimento” di alcuni collaboratori. Il cineasta ha così interrotto la febbrile attività artistica per chiudersi nel bozzolo reale e allegorico di una baita di montagna. Dove alle immagini della vita in isolamento si alterna e sovrappone una confessione in forma di dialogo del regista con se stesso. Ripercorrendo successi, dolori e contraddizioni, come i nodi inestricabili della colpa, della solitudine, del caos sadomasochista della vita. Quelli di Kim, quelli della sua opera estrema e irripetibile.

Kim Ki-duk in Arirang. Credits: Kim Ki-Duk Film

3. Nuovomondo, regia di Emanuele Crialese (2006)

Nella cinquina dei registi italiani in gara quest’anno per il Leone d’oro, non può non suscitare particolare attesa il nome di Emanuele Crialese (che porta L’immensità, con Penélope Cruz). Perché sono oltre dieci anni che attendiamo un suo nuovo lungometraggio (da Terraferma premiato al Lido nel 2011 col Leone d’argento). E perché si tratta di una delle voci più originali e ispirate del nostro cinema contemporaneo. Come ci ricorda il film della sua consacrazione nella mente e nel cuore di critica e pubblico, Nuovomondo, Leone d’argento – Rivelazione a Venezia 2006.

Nella parabola della famiglia siciliana Mancuso c’è la tragicommedia delle migrazioni dall’Italia di inizio Novecento. Verso un’America dove i sognati bagni nel latte si scontrano con la realtà del lungo e travagliato viaggio e il razzismo dei controlli alla frontiera. E in questo contrasto c’è la forza di un film che sa muoversi tra concretezza materiale di corpi e luoghi e trasfigurazioni onirico-surreali. Dove le accensioni estetizzanti non vanno mai a scapito di un affresco epico-lirico straniante e insieme carico di empatia verso i suoi personaggi, che da comparse della Storia si fanno rappresentanti, senza confini di epoca o nazione, del diritto a una vita migliore e della dignità irriducibile di ogni popolo.

Aspettando Venezia 2022 - Una scena di Nuovomondo. Credits: 01 Distribution.
Aspettando Venezia 2022 – Una scena di Nuovomondo. Credits: 01 Distribution.

4. Il presidente, regia di Santiago Mitre (2017)

In concorso a Venezia 79 anche Santiago Mitre, che con Argentina, 1985 racconterà la difficile indagine sui crimini della sanguinaria dittatura militare che oppresse il Paese dal 1976 al 1983. E, per darci un’idea di quanto lo sguardo del regista sappia essere politicamente graffiante e non banale, una visione raccomandata è Il presidente (in originale La cordillera), presentato a Cannes (sezione Un Certain Regard) nel 2017.

Un Ricardo Darín al suo meglio è Hernán Blanco, presidente argentino e insospettabile uomo chiave di un vertice internazionale sull’energia tra i principali governi dell’America Latina, cui mirano storici predatori di quell’area, gli Stati Uniti. Fra intrighi dentro e fuori dai palazzi, drammi familiari e fantasmi della coscienza, il ritratto di Blanco è, antifrasticamente, un labirinto visivo e narrativo di ombre. Uno scavo senza facili chiarimenti né soluzioni nell’abisso di compromessi, reticenze e ambiguità che circondano ogni posizione di potere.  

Aspettando Venezia 2022 - Ricardo Darín ne Il presidente. Credits: Movies Inspired.
Aspettando Venezia 2022 – Ricardo Darín ne Il presidente. Credits: Movies Inspired.

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Emanuele Bucci
Gettato nel mondo (più precisamente a Roma, da cui non sono tuttora fuggito) nel 1992. Segnato in (fin troppo) tenera età dalla lettura di “Watchmen”, dall’ascolto di Gaber e dal cinema di gente come Lynch, De Palma e Petri, mi sono laureato in Letteratura Musica e Spettacolo (2014) e in Editoria e Scrittura (2018), con sommo sprezzo di ogni solida prospettiva occupazionale. Principali interessi: film (serie-tv comprese), letteratura (anche da modesto e molesto autore), distopie, allegorie, attivismo politico-culturale. Peggior vizio: leggere i prodotti artistici (quali che siano) alla luce del contesto sociale passato e presente, nella convinzione, per dirla con l’ultimo Pasolini, che «non c’è niente che non sia politica». Maggiore ossessione: l’opera di Pasolini, appunto.

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