Beatles

Amami, amami,

lo sai che io ti amo,

sarò sempre sincero,

quindi, per favore,

amami“.

È il 5 Ottobre, le radio iniziano a trasmettere questa canzone e gli adolescenti ne vengono travolti provocando in loro un misto di curiosità ed emozione. I genitori sono esterrefatti dal contagio di massa che questo brano così semplice, al limite della banalità, sta provocando nei loro figli. Alcuni arrivano a preoccuparsi della sanità mentale dei propri figli, altri a lasciar crescere in loro l’idea che quelle parole, in realtà, contengano un messaggio subliminale.

Potrebbe essere una storia ambientata ai giorni nostri, in questa Italia dove la musica Trap ha spopolato tra gli adolescenti con un linguaggio incomprensibile a quei genitori che cercano di decifrarne i significati.

Ma non si tratta di musica Trap visualizzata (piuttosto che ascoltata) in formati digitali attraverso YouTube. Stiamo parlando di radio giganti piantate nei salotti delle case borghesi, del vinile in 45 giri e di una società totalmente differente: quella del Regno Unito nei primi anni ’60.

Più precisamente, stiamo parlando della musica pop e di una band che, oggi, chiunque conosce: i Beatles.

Una foto di uno dei primi concerti tenuti dai Beatles nel 1960 – Credits: web

Nuovo linguaggio, nuovo soggetto sociale: gli adolescenti

Proprio l’11 Settembre di 58 anni fa, nel 1962, i quattro di Liverpool escono dallo studio di registrazione con il loro primo singolo, “Love me do”. E da quel momento è come se la musica prendesse improvvisamente una direzione fondamentale per la società: le radio smettono di essere un mezzo di narrazione delle vicende storiche, dalla Seconda guerra mondiale al terrore della Guerra Fredda, e diventano mezzo di un tipo di intrattenimento che fa della musica il suo linguaggio.

Una intera generazione di adolescenti educati dalla morale ad essere semplicemente dei giovani adulti, si libera dei vestiti inamidati dei propri genitori nel momento in cui ascolta la radio parlare il suo stesso linguaggio.

Si tratta di una libertà che si rinsalda, al tempo stesso, grazie ad una splendida consapevolezza: gli adulti non riescono a comprendere quel linguaggio.

Qualche anno fa, l’FBI ha aperto i fascicoli top secret delle sue indagini. Tra queste, ne è comparsa una aperta nel 1963 sul testo di una canzone, Louie Louie dei Kingsmen. I genitori, vedendo i propri figli impazzire letteralmente all’ascolto di quel brano dalle parole incomprensibili, hanno allertato le forze dell’ordine, convinti che contenesse un messaggio segreto, un messaggio di rivolta.

Secondo le indagini, però, la realtà è ben altra: i cinque ragazzi dell’Oregon hanno tra le mani un riff geniale e pochissimi soldi, così entrano in uno studio di registrazione a dir poco economico e registrano il brano così come viene. Quando lo portano alle radio, il 45 giri è grezzo al punto da non distinguere le parole che il cantante pronuncia, ma poco importa: il pezzo e travolgente nella sua purezza e nella sua insensatezza. È in questo modo, per contrasto, che in quegli anni si crea una nuova identità sociale: per la prima volta, quegli individui troppo grandi per essere ancora bambini e troppo piccoli per essere ancora adulti, vengono riconosciuti come qualcosa di unico, gli adolescenti.

I Beatles con la Regina Madre alla Royal Command Performance del 1963 - Credits: web
I Beatles con la Regina Madre alla Royal Command Performance del 1963 – Credits: web

Crescere con i Beatles

Ma i Beatles non sono soltanto coloro che aprono questa consapevolezza. Sono anche e soprattutto coloro che capiscono di poterla guidare.

Lo capiscono presto, forse già nel Novembre del 1963, quando si esibiscono alla Royal Command Performance a Londra davanti alla famiglia reale, davanti alla Regina Madre. In un’atmosfera rigidamente gerarchica, il pubblico è diviso in base al prezzo del biglietto, quasi a trasformare uno spettacolo artistico in una rappresentazione della società e dei suoi ruoli.

Poco prima del loro ultimo brano, Twist and Shout, John Lennon si rivolge al pubblico:

“Per la nostra ultima canzone abbiamo bisogno del vostro aiuto. Vorremmo che gli spettatori seduti là in alto, nei posti più economici, tengano il tempo battendo le mani. Tutti gli altri possono farlo semplicemente facendo tintinnare i loro gioielli”.

Al termine della loro performance, il pubblico è in delirio. Tutto il pubblico. Qualcuno afferma che la stessa Regina Madre, nel salutare la loro uscita dalla scena, abbia accennato un lieve inchino.

Con la loro influenza i Beatles sembrano essere coscienti del loro potere comunicativo già agli inizi della loro carriera. Sembrano possedere il concetto secondo cui il linguaggio non è qualcosa di fisso e immutabile, ma di vivo, in grado di cambiare in base all’uso che se ne fa. Un uso quotidiano del linguaggio, diretto: il fondamento essenziale della comunicazione.

Già in quel lontano 1963 sanno di essere i veicoli di un nuovo linguaggio, quello degli adolescenti e delle loro emozioni, fino a quel momento privati di voce e di capacità espressiva. Già nel 1963 sanno di essere l’amplificatore di una generazione e iniziano a capire di poterla far crescere insieme a loro. Ma, almeno inizialmente, lo fanno con cautela, come vogliano sondare il terreno per comprenderne gli effetti.

I Beatles in concerto nel 1964 - Credits: web
I Beatles in concerto nel 1964 – Credits: web

Un percorso culturale

Nel 1964 portano la loro immagine sullo schermo cinematografico con il film A hard day’s night. Capiscono che la strada è quella giusta e nel 1965 esce Help!, il secondo film dei Beatles. In questo modo, il quartetto di Liverpool guida gli adolescenti fuori da quello spazio culturale egemonizzato dalla radio per fargli scoprire il cinema.

Nello stesso anno, nel 1965, pubblicano un album intitolato Rubber Soul: in esso, le sonorità pop che li hanno resi inconfondibili al pubblico si aggiungono di piccole, a volte quasi impercettibili distorsioni. L’orecchio degli adolescenti può crescere.

E può essere pronto alle sonorità di Revolver. Un disco attraverso il quale i Beatles strappano l’immagine che l’occidente possiede della cultura indiana come di una cultura inferiore, distruggendo il preconcetto colonialista dell’epoca.

Ma sanno di potersi spingere oltre, sanno che il loro pubblico può avere ancora altro. Nel 1967 pubblicano Sgt. Peppers Lonely Heart Club Band, il disco che apre la stagione culturale della psichedelica, quella che cambierà la cultura occidentale. I Beatles fanno dei propri ascoltatori, ormai non più adolescenti, coloro che stanno per cambiare il mondo.

Poi decidono di scomparire dalle scene e di farsi gruppo virtuale, prima ancora che la virtualità si imponga nella società contemporanea: fanno uscire Magical Mistery Tour alla fine del 1967,per tornare due anni dopo con un album incredibilmente maturo e a tratti criptico, come quello definito “White album” e continuare con Abbey Road. In quest’ultimo, forse, già si rintracciano le note malinconiche di un finale. Come se i Beatles stiano per abbandonare quei loro ascoltatori ormai maturi abbastanza per proseguire da soli il loro cammino di vita.

L'ultimo concerto dei Beatles, il 20 Gennaio 1969 - Credits: web
L’ultimo concerto dei Beatles, il 20 Gennaio 1969 – Credits: web

La fine

Ma aver scelto questo ruolo di guide, ha anche i suoi lati negativi, spesso infausti. Come quella scritta sul muro della casa di Roman Polansky inciso da Charles Manson e soci col sangue di sua moglie Sharon Tate, incinta: Helter Skelter, brano criptico proprio dei Beatles.

O come quel tragico 8 Dicembre del 1980, quando un uomo, un fan, sparò sul corpo inerme di John Lennon, uccidendolo. Proprio come fosse uno di quei personaggi politici che cambiano radicalmente la società, da John Fitzgerald Kennedy a Gandhi, o come uno di quei tanti dittatori che crescono generazioni sotto la luce abbagliante di un’ideologia, finchè questa non si rivela una disillusione insopportabile.

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Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.

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