Beeswing di Richard Thompson
Beeswing di Richard Thompson, memorie della rivoluzione musicale - Jimenez Edizioni

Spesso quando si pensa al rock, soprattutto a quello tra la fine degli anni ’60 e i ’70, si viaggia automaticamente con la mente dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti. E ci si dimentica, invece, che il cuore di quella musica, in realtà, è da questa parte del continente, nel Regno Unito. Ed è proprio di quel cuore che parla il libro che esce oggi in tutte le librerie e online dal titolo Beeswing. I Fairport Convention, il folk-rock, la mia voce. 1967-75, edito da Jimenez Edizioni. Un memoire, la testimonianza diretta di chi quel cuore ha contribuito a farlo battere: Richard Thompson.

Dai Led Zeppelin ai Pink Floyd, dai Black Sabbath ai Cream, passando per Nick Drake e i Fairport Convention. Lo abbiamo detto altrove, proprio parlando di questi ultimi due, abbiamo parlato di quel filo invisibile e quasi inconsapevole che unisce i due mondi. Un filo che, in realtà, nasce dal Regno Unito.

Beeswing e Richard Thompson

Richard Thompson, fondatore e chitarrista dei Fairport Convention. Uno che ha avuto il tempo di scrivere la storia della musica con un capolavoro come Liege & Lief, prima di abbandonare la band. Uno sguardo lucido sulla meravigliosa confusione di quegli anni, musicale e sociale. L’incontro coi Led Zeppelin, i Pink Floyd, Nick Drake e Jimi Hendrix, la carriera da songwriter percorsa con la moglie Linda. In mezzo, un disastro automobilistico al quale sopravvive miracolosamente e la scoperta dell’America, per inseguire quel filo da lui stesso dipanato, e del sufismo, attraverso il quale cambia la sua visione del mondo e della musica stessa.

Dopo una sola settimana, Beeswing è già sul tetto delle classifiche inglesi. Perché Thompson non è proprio uno qualunque. Coi suoi Fairport Convention, accanto a Nick Drake, ha inventato il folk-rock e ha vissuto sulla propria pelle rivoluzioni e nostalgie, fermenti e tormenti di tante, tante vite.

Dietro, ci sono ragioni di vita di un semplice uomo, unico e irripetibile come tutti, che sceglie di lasciare la sua band al picco del successo dopo aver guardato negli occhi la morte. Sempre con il suono costante della musica: la musica che continua a creare anche lontano dai furori del rock, in dimensioni più spirituali, come quella del sufismo che invade la seconda parte della sua vita.

Il titolo di tutto questo, non a caso, è Beeswing, nome di uno dei suoi brani più struggenti e rappresentativi, uscito nel 1994, quando Thompson inizia, in qualche modo, a tirare le somme di ciò che ha vissuto.

E lo fa proprio a partire da quel 1967, proprio a partire dai suoi 18 anni, in un’epoca dove lo spazio sembra non esistere e nemmeno l’oceano. E si distende perfetto quel filo rosso tra Regno Unito e Stati Uniti fatto di rivoluzioni, musicali, culturali, sociali, esistenziali.

Come un incipit al suo libro, infatti, in quella canzone Thompson cantava esattamente questo, così:

I was 18 when I came to town, they called it the summer of love 

They were burning babies burning flags, the hawks against the doves (…)

And I fell in love with a laundry girl that was workin’ next to me (…)

She was a rare thing, as fine as a bee’s wing
I miss her more than ever words can say
If I could just taste all of her wildness now
If I could hold her in my arms today
I wouldn’t want her any other way

Per ulteriori informazioni visitate il sito ufficiale di Jimenez Edizioni.

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Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.