La casa di carta - CREDITS: Netflix

Partiamo da un presupposto fondamentale: è assolutamente impossibile per chi crea qualcosa (qualsiasi cosa, da un’opera d’arte a un semplice utensile, da un pensiero a una semplice battuta) non essere influenzato dal contesto storico, sociale e politico nel quale la crea. Quando si guarda un film o un quadro, quando si ascolta una canzone, quando si fruisce di qualsiasi tipo di arte, questo presupposto spesso si dimentica. Ed è giustissimo dimenticarlo. Solo così uno spettatore può godere appieno dell’espressività artistica di una qualsiasi opera: con la massima libertà ricettiva. 

In fondo, questa libertà è la sola disposizione che può permettere a chiunque di godere di un capolavoro: non importa in quale spazio e in quale tempo esso sia stato creato, anche a distanza di migliaia di chilometri e di secoli esso ci coinvolge, ci colpisce, ci investe, ci cambia. Eppure, se andiamo a vedere il perché questo accade, ci sorprenderemo di scoprire che il motivo della validità di un’opera d’arte in qualsiasi dimensione storica e sociale dipende direttamente dal fatto di essere nata in un contesto specifico, in uno spazio e un tempo determinati.

I bisogni esistenziali che hanno spinto a quella creazione appartengono certo a un periodo storico e sociale unico e tuttavia non irripetibile. La Storia si ripete. Qualcuno starà pensando alla più classica delle deformazioni professionali, alla tipica masturbazione filosofica, all’affermazione di un retore che vuole imporre la propria convinzione. E forse quel qualcuno ha ragione, non posso negarlo: è proprio così. Ma adesso che vi ho dato ragione, ascoltate le mie ragioni. O meglio, ascoltate le ragioni di una canzone: Bella ciao.

Bella ciao, canto di unità

Ascoltando le note di questo canto popolare nello spazio pubblico di qualche luogo estero o frequentato da turisti stranieri, avrete probabilmente colto il commento entusiasta di qualcuno che affermava: “la canzone della Casa di carta!”. Toglietevi le mani dai capelli e cercate di capire perché sia giusto così.

Bella Ciao, La casa di Carta - CREDITS: Netflix
Bella Ciao, La casa di Carta – CREDITS: Netflix

Stiamo faticosamente uscendo da un momento storico per l’Italia e per il mondo intero, quello del Covid-19. Alcuni di noi racconteranno questo periodo ai nipoti, per chi ne avrà, esattamente come i nostri nonni raccontarono a noi della Seconda Guerra Mondiale. Racconteremo dei morti, del lockdown, della quarantena, delle file al supermercato e delle mascherine. E qualcuno ricorderà anche di raccontare dei balconi sui quali si affacciava, ogni giorno alle 18, per cantare insieme al vicinato. 

Un modo per condividere le emozioni dal proprio rifugio e carcere domiciliare, un modo per sostenere l’idea che, come molte tragedie, anche il Covid poteva essere un’opportunità. L’opportunità di modificare la direzione dei nostri rapporti interpersonali: reagire  alla reclusione uscendo fuori dal guscio dell’individualismo e dell’irresponsabilità cui destinano i social network. Lasciarsi andare a un gesto di responsabilità sociale inedito col quale ridare senso ad una comunità, quella italiana, che sa trovarlo solo attraverso competizioni sportive o nella retorica delle politiche di destra.

Se guarderemo bene, è probabile che anche quando racconteremo tutto questo a distanza di anni, su molti balconi sventoleranno ancora delle bandiere tricolore.
Se avremo la memoria abbastanza buona, racconteremo al nostro nipotino che in quell’isolamento è passato anche un 25 Aprile, Festa della Liberazione. La Resistenza ai tempi del Covid è stata un flashmob sonoro nel quale intonare proprio il suo simbolo musicale, Bella ciao.

Bella ciao dai balconi del lockdown - CREDITS: web
Bella ciao dai balconi del lockdown – CREDITS: web

Un nuovo esempio di resistenza

D’altronde, in quel futuro lontano non dovremo fare un grande sforzo di memoria, basterà connettersi all’intramontabile YouTube per sorprendere noi stessi scoprendo quante reinterpretazioni di quel brano allora fossero state offerte dal mondo all’Italia: decine e decine di omaggi per elevarla ad esempio di una nuova resistenza. Tante da sembrare di trovarci di fronte a una ripetizione infinita, ma ognuna capace di acquisire, di volta in volta, un nuovo senso, pur mantenendo intatto il significato. 

E, forse, il presupposto di questo articolo ci tornerà alla memoria per intuire che, allora, chiunque, da qualunque luogo e in qualunque modo realizzasse Bella ciao, lo faceva per l’Italia e al tempo stesso per sé, per il proprio Paese, per la propria resistenza. Allora, in tempo di Covid, come prima, come dopo, come sempre.

Bella ciao, infatti, è stata la colonna sonora di molte resistenze in tutto il mondo. E, probabilmente, lo sarà sempre. Dagli indignados spagnoli a Occupy Wall Street, dalla Turchia in protesta contro Erdogan ai funerali della strage terroristica di Charlie Hebdo, fino a due trasfigurazioni estreme, quella degli ambientalisti e, appunto, quella della celeberrima serie TV spagnola prodotta da Netflix, La casa di carta.

Il senso delle reinterpretazioni

D’accordo: vi siete tolti le mani dai capelli, ma ancora storcete il naso. Ed è facile capire il perché. Tutti pensiamo che quella canzone custodisca in sé l’orgoglio e il dolore, l’oppressione e il riscatto, il valore della Resistenza del popolo italiano contro l’occupazione nazi-fascista. Ed è giusto pensarlo, è giusto sentirlo. Come è giusto temere che ogni reinterpretazione neghi tutto questo, facendo di Bella ciao qualcosa di Kitsch, un’appropriazione culturale vuota o, peggio, piena di sentimenti posticci: una canzoncina da fischiettare sotto la doccia.

Ma ogni sua reinterpretazione contiene quei sentimenti vivi, soffre ed esprime la forza di un bisogno, il valore di una resistenza impellente. Anche la versione ambientalista, per quanto trasfigurata al punto da cambiare il titolo in “Sing for the climate”. Addirittura la versione della Casa di carta: i suoi protagonisti, d’altronde, resistono. E si, è vero, è solo una fiction: ma finché c’è l’occhio di uno spettatore a guardarla, anche la finzione si trasmette nella realtà, perché in un modo o in un altro ne è figlia.

Forse, a questo punto, YouTube ci proporrà proprio la versione della Casa di carta, l’abbraccio tra il Professore e Berlino, e il nostro nipotino la riconoscerà incrociando i nostri occhi in uno sguardo d’intesa. Eppure noi quello sguardo lo fuggiremo. Perché ci accorgeremo di quanto allora, in quell’assurdo tempo di Covid, sapevano che ci sarebbe stata una lunga notte da affrontare, che  nel ritirarsi la pandemia avrebbe lasciato una profonda crisi, economica e sociale, e sapevamo che avremmo dovuto fare di tutto per impedire ai bisogni impellenti di ricevere le solite risposte facili, quelle dei populismi, delle divisioni sociali, dell’intolleranza e dell’individualismo. 

Credere ancora nel poter di un gesto, di un canto

Sapevamo che avremmo dovuto fare di tutto, anche affacciarsi alla finestra quel 25 Aprile e cantare a squarciagola Bella ciao. Perché bastava davvero poco per lasciarsi sedurre dal fascino perturbante dell’effetto farfalla, quello stesso che aveva causato ogni cosa e che poteva farcene uscire a testa alta.

Sapevamo che era stato il gesto inconsapevole di qualcuno dalla parte opposta del globo a far cantare l’uomo in pigiama sul balcone opposto al nostro, e che bastava un gesto consapevole a cambiare di nuovo le cose nel mondo, magari proprio di quest’ultimo, magari proprio il nostro. Sapevamo che ad ogni effetto corrisponde sempre una causa, che ad ogni conseguenza corrisponde sempre un gesto, e che quest’ultimo può e deve essere consapevole della prima. Anche cantare Bella ciao fuori dal nostro balcone quel 25 Aprile doveva esserlo.

Il 25 aprile 2020 dai balconi italiani - CREDITS: web
Il 25 aprile 2020 dai balconi italiani – CREDITS: web

Ma quando la Bella ciao della Casa di carta si spegnerà, il nostro nipotino starà ancora attendendo il nostro sguardo. E non sapremo deluderlo: con un sorriso sulle labbra gli diremo che lo abbiamo fatto, noi come tutte le persone del nostro palazzo, del nostro quartiere, della nostra città, ognuno al proprio affacciato fuori dalla propria casa, in un tripudio di voci e bandiere tricolore. Lui ci crederà, forse perché un nipote crede sempre a suo nonno, o forse perché abbiamo convinto anche noi stessi. Insieme a lui ci attaccheremo a quella stessa finestra e guarderemo sognanti quelle bandiere sdrucite ancora miracolosamente appese, senza accorgerci di come siano abbandonate al vento. 

A quel punto, forse, lui andrà ad accendere Netflix (perché come Youtube non morirà mai) per guardare La casa di carta. E non gli importerà che sia miracolosamente giunta all’ennesima stagione, sdrucita e abbandonata al vento della rete, perché sarà sempre lì, ostinata e pronta a vivere ogni volta.

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Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.

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