Sacha Baron Cohen in Borat 2 - Credits: web
Sacha Baron Cohen in Borat 2 - Credits: web

Borat – Seguito di film cinema. Consegna di portentosa bustarella a regime americano per beneficio di fu gloriosa nazione di Kazakistan – Regia di Jason Woliner

Partiamo dalla fine, da quel Now Vote che appare in cartello prima dei titoli di coda di Borat 2, il cui titolo completo è già tutto un programma. Sacha Baron Cohen ci ha appena mostrato per un’ora e mezza un mondo disgustoso e assurdo, misogino e razzista, attraverso il personaggio kazako che riprende dopo ben quattordici anni. Mentre, però, il protagonista è frutto di pura fantasia, il mondo in cui si muove è reale, è l’America di Trump, e molte delle reazioni che vediamo non sono parti recitate.

Questo mondo esiste davvero e le elezioni presidenziali sono l’ultimo tentativo per delegittimarlo, delegittimando l’uomo che lo incarna: Donald Trump. O come lo chiama Borat, McDonald. Questo è lo spirito che muove l’intero mockumentary ed è anche la ragione per cui è stato girato a sorpresa e rilasciato in fretta, prima dell’Election Day. Baron Cohen scende doppiamente in campo quest’anno, portandosi avanti in prima persona contro Donald Trump sia con questo film sia con lo splendido monologo ne Il processo ai Chicago 7. Con due personaggi estremamente diversi cerca cioè di raggiungere il più ampio pubblico possibile per trasmettere un unico messaggio: l’essenzialità del voto di oggi per un urgente cambiamento.

Borat, l’umorismo demenziale e il collegamento a Trump

Parliamo di voto Democratico è sottinteso, anzi meglio, voto anti-Trump. Viene spontaneo chiedersi perché un attore britannico si accanisca così tanto sull’elettorato statunitense, ma al di là di qualsiasi considerazione politica, per quel che riguarda Borat la risposta è piuttosto immediata. Entrambi sono personaggi ridicoli, afferma Baron Cohen, personaggi imbarazzanti e costantemente fuori luogo. Nessuno dei due dice mai la cosa giusta al momento giusto e nessuno dei due sembra mai comportarsi secondo standard socialmente accettabili.

Ma di nuovo, Borat è un bizzarro personaggio proveniente da un Kazakistan di fantasia (non serve ricordare tutti i problemi che Baron Cohen ebbe con la nazione kazaka, offesa dal primo film). Trump, per quanto sia difficile crederlo per il livello intellettuale di alcune sue dichiarazioni, è una persona reale. E per quattro anni ha avuto accesso alla stanza dei bottoni, ha avuto una delle cariche più influenti al mondo.

Baron Cohen travestito da Trump durante un vero rally repubblicano, Borat - Credits: web
Baron Cohen travestito da Trump durante un vero rally repubblicano, Borat – Credits: web

Come ha fatto ad accadere una cosa simile? Semplice, dimostra lo stesso Borat: per l’incredibile microcosmo che lo sostiene e che nel film appare in tutta la sua inquietante concretezza. Più Borat diventa demenziale, più spaventano seriamente le persone che interagiscono con lui, assecondandolo. Campagnoli, riders dalla barba lunga e gilet di pelle, neonazisti dichiarati, negazionisti del Covid, complottisti e no-mask, c’è un bel gruppetto che appare nel film senza nemmeno rendersi conto di che film si tratti.

Un personaggio volutamente fastidioso e dissacrante

Parliamoci chiaro, il personaggio di Baron Cohen è volutamente e magnificamente fastidioso. Per chi non ha idea di cosa stia dicendo, è un Checco Zalone all’ennesima potenza e molto, ma molto, più volgare. Travalica di gran lunga i limiti della satira, raggiungendo livelli di grottesco impareggiabili. Perché il suo intento è propriamente quello di mettere in ridicolo la situazione rappresentata, qualunque essa sia.

Il moto distruttivo di Borat, tuttavia, non è senza scampo né senza morale. Al termine della sua lunga avventura in US+A, come chiama gli Stati Uniti, il personaggio ha compiuto un arco evolutivo non indifferente. È riuscito a cambiare, a migliorare e a imparare da ciò che aveva intorno. In particolare ci è riuscito grazie al progressivo avvicinamento alla figlia Tutar, meravigliosa co-protagonista del film.

Tutar e il ruolo essenziale delle donne nel film

A dire il vero, in contrasto con la misoginia e la pochezza degli uomini, i personaggi femminili del film sono in genere tutti brillanti. Penso alla dolcissima Judith che Borat incontra in sinagoga o alla babysitter di Tutar, che per un attimo crede davvero di trovarsi in un documentario sulle spose bambine e cerca di salvare la ragazzina dal suo destino. Il nucleo tematico del film, infatti, è che Borat deve consegnare un dono all’entourage di Trump, identificato prima nella figura di Michael Pence e poi in quella di Rudy Giuliani. Dopo varie e inziali peripezie, il dono più appropriato, e più misogino possibile, gli sembra proprio la figlia quindicenne (interpretata dalla ventiquattrenne Marija Bakalova). Ed è questo lo snodo che fa nascere tutti gli esilaranti equivoci.

Sacha Baron Cohen and Maria Bakalova in 'Borat Subsequent Moviefilm' - Credits: web
Sacha Baron Cohen and Maria Bakalova in ‘Borat Subsequent Moviefilm’ – Credits: web

Tutar diventa lo strumento del cambiamento per il protagonista. Senza voler trovare significati che non sono nel film, semplicemente l’arco del personaggio di Tutar aiuta il compimento di quello di Borat. La loro evoluzione congiunta dimostra che basta poco per cambiare in meglio. Basta volerlo, attraverso nuove scelte e nuove decisioni. E cosa sono le elezioni di oggi se non una scelta per un (possibile) miglioramento? Eccola qui, chiara e limpida, la morale di questa assurda storia.

Bonus. Segnalo un divertente cameo di Tom Hanks verso la fine del film, un dettaglio da non sottovalutare, oserei dire un piccolo tocco di genio.

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