Il diario di Bridget Jones - CREDITS: web

Quarantena per me ha fatto coppia fissa con Recupero, inteso come pratica giornaliera e finalmente dilatata nel tempo (non avendo molte altre incombenze) per dedicare spazio, fisico e mentale, a tutti quei libri e film persi, visti distrattamente, incontrati durante una fase della vita sbagliata o, come nel caso del tema di questo articolo, amati profondamente e rispolverati in questo presente storico (che in realtà è già passato, se pensiamo ad alcuni mesi fa) così eccezionale quanto sul filo di un equilibrio instabile.

Complice la programmazione “maggiolina” del mercoledì di La5, mi sono imbattuta, con tutta una serie di feels non indifferenti, nella bionda e cicciottella eroina delle girls degli anni 90/primi 00. Immensamente british, straordinariamente simpatica, frizzante e molto piccante. Sto parlando dell’iconica Miss Bridget Jones.

Locandina originale di “Bridget Jones’s diary” CREDITS: web

Conosciuta dai più grazie alle pellicole che l’hanno consacrata al grande schermo con il viso di Renée Zellweger, forse tutti non sanno che il “fenomeno” Bridget Jones nasce dalle pagine dei romanzi della giornalista inglese Helen Fielding, facenti parte ancor prima di una rubrica fissa su The Indipendent e The Daily Telegraph. La stessa madre di Bridget ha collaborato alla sceneggiatura dei tre film tratti, seppur parzialmente, dai suoi libri, contribuendo a farne un successo mondiale.

La nascita del fenomeno Bridget Jones

Partiamo da un po’ di numeri e date significative. Considerato il successo della rubrica della Fielding, nel 1995 esce il primo romanzo Il diario di Bridget Jones, che in pochi anni viene tradotto in sette lingue, diventando un best sellers da oltre 10 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Quattro anni dopo l’autrice prosegue la saga dando alla luce il sequel Che pasticcio, Bridget Jones! Allo scoccare del nuovo millennio, il cinema si accorge dell’incredibile successo letterario e così, arriva la commedia tutta britannica diretta da Sharon Maguire, con la quale la Zellweger guadagnerà anche una nomination agli Oscar del 2002.

Il film riscuote un enorme successo di pubblico, arrivando ad incassare oltre 180 milioni di dollari, a fronte del budget iniziale di soli 26 milioni. Ad affiancare l’attrice un cast d’eccezione: da un lato il tenebroso e affascinante Colin Firth, dall’altra lo spregiudicato e sexy Hugh Grant. Il fortunato trio si ritroverà pochi anni dopo anche nel secondo capitolo cinematografico, dando vita a nuove avventure e triangoli amorosi tratti dal secondo romanzo. È a questo punto che le sorti letterarie/cinematografiche della saga si dividono.

La Fielding aspetterà ben quattordici anni per “partorire” un terzo romanzo, Bridget Jones. Un amore di ragazzo, il quale non sarà mai adattato per lo schermo. Nel 2016 però, quasi a sorpresa, arriva nelle sale cinematografiche Bridget Jones’s baby, tratto dal quarto libro della saga, che fa un passo indietro di tredici anni rispetto al terzo libro, narrativamente parlando. Insomma, le sorti della single pasticciona più amata della Gran Bretagna si fanno sempre più complesse e frammentate, e ci sono addirittura voci su un quarto film, rumors ad oggi non confermati.

Tutti pazzi per Bridget Jones!

Ma qual è il segreto del successo planetario e crossmediale fra letteratura e cinema di Bridget Jones? Innanzitutto la single più amata del mondo è un modello di girl power, concetto molto in voga negli anni ’90 e che oggi sta nuovamente tornando in auge.

La modalità narrativa con la quale Bridget decide di raccontare la sua vita, analizzando pro e contro di ogni situazione, stilando infinite to do/not to do list che puntualmente tradirà, scervellandosi sui significati reconditi delle relazioni con l’altro sesso, è il diario. Fedele compagno di ogni ragazza che sia cresciuta in un periodo ancora libero da smartphone, social network, world wide web e via scorrendo, il diario accompagna la vita di Bridget come un fedele amico, forse l’unico che le resta vicino senza remore in una società che, in fondo, ha paura della solitudine, teme di ritrovarsi al buio e di guardarsi allo specchio in una notte di luna piena.

Il morbo della “singletudine” che affligge la povera Bridget, sempre alle prese con il girovita e le calorie ingerite durante il giorno, non è altro che l’ansia da prestazione che ci infligge in qualche modo il nostro tempo, scandito da tappe quasi obbligate nella vita di ogni donna: laurea, carriera, matrimonio, figli. Simbolica e quasi catartica allora risulta la scena del secondo film in cui Bridget, guardando fuori dalla finestra, sola a casa, vede illuminarsi a macchia d’olio le finestre di altre case popolate da famiglie e coppie felici, sulle note di una struggente versione di Sorry seems to be the hardest word.

Colin Firth, Renée Zellweger e Hugh Grant, Il diario di Bridget Jones -CREDITS: web
Colin Firth, Renée Zellweger e Hugh Grant, Il diario di Bridget Jones -CREDITS: web

Fra avventure sentimentali e british humour

Ma via la tristezza! Le vicende di Bridget fra libri e film raccontano anche, e soprattutto, gli esilaranti e a tratti imbarazzanti e al limite dell’irreale rapporti con i due uomini della sua vita, coloro che la accompagneranno (nel bene e nel male) attraverso quasi l’intera parabola narrativa (ad eccezione del terzo capitolo cinematografico in cui spunta l’omonimo Dottor Stranamore di Grey’s Anatomy, il bellissimo Patrick Dempsey).

Daniel Cleaver e Mark Darcy: uno l’opposto dell’altro. Bello e dannato il primo, sempre alla ricerca di nuove avventure, lavorative e sentimentali, un moderno Don Giovanni audace e sicuro di sé, ma anche molto divertente. Serio e apparentemente ingessato il secondo, impegnato avvocato specializzato in diritti civili, è colui che Bridget sceglierà come compagno per la vita (non consideratelo uno spoiler, stiamo parlando di una saga abbastanza “vintage”). Incorniciano il mondo colorato e disordinato di Bridget gli inseparabili amici, uno zoo di esemplari più unici che rari: la dolce Jude, fissata con i manuali zen e di auto aiuto tipo Gli uomini vengono da Marte le donne da Venere, sempre alle prese con qualche relazione sbagliata, la femminista Shazzer, “cazzuta” e risoluta nel considerare gli uomini come una specie a parte, e l’eclettico Tom, omosessuale e un tantino fuori le righe, al limite del nevrotico.

Bridget è poi, e non è un dato di poca importanza, una donna inglese. Soprattutto i libri, sono conditi, anzi positivamente infarciti, di quel sottile e adorabile humour che restituisce al lettore l’atmosfera british tanto cara a chi ama l’Inghilterra, e soprattutto la London Calling dei The Clash, divenuta il simbolo degli amanti della fumosa e incantevole città sul Tamigi. Dalle considerazioni sulle condizioni atmosferiche, in cui l’estate è “garantita” forse (e nemmeno) solo un giorno o due ad agosto, durante i quali i londinesi non sanno bene che fare nel timore che ritorni la pioggia, passando per la passione sfrenata per i completi di tweed della madre di Bridget (interpretata magistralmente sul grande schermo da Gemma Jones), arrivando alla formalità apparente che contraddistingue le feste di Natale o Pasqua, durante le quali basta un niente per far emergere misunderstanding o improvvisi litigi fra gli astanti.

Il girl power che ci piace

La narrazione del fenomeno letterario Bridget Jones ricopre circa vent’anni della vita della protagonista, e leggendo i libri in successione e volendo fare un discorso ampio, non si può fare a meno di pensare che essi siano uno spaccato dei cambiamenti epocali che ha vissuto la nostra società negli ultimi due decenni. Non solo in merito all’accettazione del singolo e se vogliamo del diverso (declinato in tutte le sue accezioni), della sua realizzazione personale, professionale e affettiva, ma anche del cambiamento delle relazioni e dei rapporti interpersonali, sempre più mediati da uno schermo, da un account o da un filtro Instagram.

Saper prendere il meglio dal presente senza preoccuparsi più del necessario sul come e sul se: questo è uno degli insegnamenti di Bridget Jones, iconica eroina di coloro nate e cresciute a cavallo fra i due millenni, immensamente incasinati, irrimediabilmente concatenati e distanti anni luce allo stesso tempo.

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