Official video for Space Oddity by David Bowie
Official video for Space Oddity by David Bowie

Space Oddity: inno enigmatico, sincero. Si incontra col cinema e le due visioni si fondono, continuando a far vivere lo spazio e il superamento dei propri limiti.

Planet Earth is blue
And there’s nothing I can do

Tengo da anni, appesa sopra al letto, un’illustrazione che cita questa emblematica frase, tratta dal brano Space Oddity, di sua maestà, David Bowie. Cosa significa? Ci sono varie interpretazioni ma ho sempre pensato che come tutte quelle frasi perfette all’orecchio rivelasse anche un duplice senso altrettanto geometrico.

Prima di tutto il gioco sulle parole: la Terra che l’astronauta guarda da lontano è il pianeta blu, ma è anche inguaribilmente “blue”, malinconico, triste. È però il pianeta che ha imparato a chiamare casa e, nonostante l’incapacità di aprirsi, cambiare, lo ama per quello che è, e dallo spazio ne prova a prescindere una strana nostalgia. La seconda è la mia interpretazione, ma sono sicura che si possa leggere anche questo in una canzone che racconta come si possano sfidare i propri limiti, aprirsi, cambiare.

Space Oddity e il cinema

Space Oddity (1969) nasce come brano pervaso di cinema già alla base dell’idea concepita da Bowie, dopo aver assorbito le vibrazioni delle scene finali di Odissea nello spazio, il senso assoluto di solitudine e i silenzi. E continua ad attraversarlo il cinema, comparendo in film a cui viene incastonato come una pietra preziosa che si rivela nel momento giusto, incendiando la percezione.

Ma è la canzone a fare il film o il film a fare la canzone? Sono due sensi che si uniscono o una singola via che fornisce un senso unilaterale all’opera in cui compare?

O quell’unico brano determina il senso della sequenza trasmettendo un messaggio unico anche in film lontani tra loro? Capita spesso che la stessa canzone compaia in film diversi, e chi la sceglie cerca di estrarne il senso per farlo aderire all’opera che sta realizzando. Successivamente è l’opera compiuta che addiziona alla canzone qualcosa di molto vicino al concetto di esperienza, che lo spettatore collegherà sempre alla musica, e ovviamente al film.

È il caso di due film (due sequenze) in cui Space Oddity è la colonna sonora di momenti simili, che assorbono quei due percorsi di senso che vi illustravo all’inizio. Dandone nuove esperienze, mantengono in vita la forza del brano, aggiungendo un pezzetto alla storia.

The Secret Life of Walter Mitty (2013)

“Quella canzone, Major Tom, (…) parla di coraggio, e di affrontare l’ignoto. È una bella canzone”

I sogni segreti di Walter Mitty (The Secret Life of Walter Mitty) è un film in cui sogno e realtà si sovrappongono in un continuo limbo di desideri e frustrazioni fino a quando il protagonista, Walter, avrà riempito la sua vita di esperienze vissute “buttandosi” a capofitto e senza ripensamenti. L’uomo tende a perdersi letteralmente nell’immaginazione, incantandosi su fantasie che colmano il grigiore e la monotonia di una quotidiana ripetizione di azioni.

Ma si sveglia improvvisamente, e decide di preparare la valigia e allontanarsi dal quel suo “pianeta triste”. Parte per la Groenlandia alla ricerca di un uomo e non sa se lanciarsi totalmente nell’avventura, ovvero salire su un piccolo elicottero (unico mezzo di trasporto possibile) con un pilota scorbutico e ubriaco.

Space Oddity inizia a suonare come un inno, cantato al karaoke dalla donna di cui è innamorato (e l’episodio accade solo nella mente dell’uomo). Le prime strofe sono intonate dall’attrice Kristen Wiig (Cheryl Melhoff) e il maglione blu anni ’80 che indossa si confonde con gli occhi dello stesso colore. Lentamente, con la chitarra in mano, la visione della donna si spinge fuori dal locale e conduce Walter a correre verso l’ignoto e saltare. Diventa un’astronauta che non conosce il destino che lo aspetta, e che avrà nostalgia della terra sotto ai piedi, ma senza guardarsi indietro.

La sequenza, in cui Ben Stiller è sia protagonista che regista, è visivamente memorabile e singolarmente scarna. La fotografia è fredda come lo scenario nordico. L’unica fonte di calore è la vibrazione della voce di David Bowie, che arriva ad allinearsi a quella di Cheryl, e che probabilmente riecheggiava nella mente di Walter come memoria, plasmata dalla fantasia.

Planet Earth is blue, and there’s nothing I can do” sono le ultime parole prima degli accordi, che non sentiamo nel film, ma canticchiamo automaticamente. Come se ce li avessimo già in testa e Walter non avesse fatto altro che ricordarceli.

C.R.A.Z.Y (2005)

Quarto film diretto da Jean-Marc Vallée, C.R.A.Z.Y. è ambientato nel Québec degli anni Sessanta e Settanta. Zachary Beaulieu, quarto di cinque fratelli, cresce faticosamente cercando di trovare sé stesso, scoprire (ed accettare) la propria sessualità, ma soprattutto incollare i pezzi di un rapporto col padre andato in pezzi come un vinile ormai fuori stampa. Come quello di Bowie che si mette ad ascoltare nella sua stanza. Anche questa sequenza ha un incipit immaginifico, che rimbalza tra le fantasie del ragazzo e ritorna sul pianeta terra scoprendolo truccato con il fulmine rosso sul viso come uno squarcio sulla maschera che indossa per non tradire le apparenze.

Riflesso nello specchio canta ad occhi chiusi, è un alieno che della terra non sa più che farsene. Le strofe diventano disperate, nel grido che gli si strozza in gola quando il fratello lo aggredisce spegnendo il giradischi, facendo collassare i motori della sua astronave.

Major Tom “è l’altro”, che non riesce a sentire la voce di Zachary. È suo padre, suo fratello, l’amore che non ha ancora trovato, la comprensione dall’altra parte della galassia.

Il viaggio che intraprenderà in seguito gli farà provare nostalgia di casa, ma lo aiuterà a capire che è lui Major Tom, e come tale il primo a dover accettare la propria “diversità”.

Walter Mitty e C.R.A.Z.Y. sono due film che sfruttano la colonna sonora per completare narrazioni sul percorso interiore. Space Oddity funziona per entrambi gli eroi aiutandoli in un viaggio lontano da loro stessi, per poi farli tornare indietro con una consapevolezza nuova, di chi ha visto le stelle da vicino. Space Oddity ne vive le esperienze e assorbe scenari cinematografici vivi, risuonando nelle scene e nelle nostre teste. Come nel 1969.

Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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