Cecilia Mangini scompare, e con lei una voce forte che per anni ha raccontato le trame scomposte del reale, con magistrale gusto estetico e innato spirito militante.
L’ultima volta che ho incontrato Cecilia Mangini era la scorsa estate, all’esterno del Museo MAXXI, in occasione della serata di premiazione della rassegna Extra Doc Festival (curata da Mario Sesti). Non mi avvicinai, per paura di essere invadente, e rimasi seduta al mio posto, guardandola da lontano. Cecilia Mangini che ha avuto il coraggio di documentare la nostra storia scapestrata e piena di controsensi, e che, anche quando ha ritirato il premio per il suo ultimo lavoro, Due scatole dimenticate – un viaggio in Vietnam, ha fatto una battuta, sminuendo la formalità che ha sempre allontanato da sé.
Due scatole dimenticate – Un viaggio in Vietnam è l’ultimo documentario dell’autrice, girato con Paolo Pisanelli. Si basa sul reportage fotografico realizzato tra il 1964 e il 1965 nel Vietnam del Nord. Il film è stato proiettato anche a Spilimbergo in occasione de Le Giornate della Luce (ne parlavo qui).
Narrazione fotografica
“La fotografia recupera il tempo, recupera lo spazio, le sensazioni, recupera tutto”
L’opera diretta da Mangini e Pisanelli tenta di colmare la perdita di un film mai realizzato. Dando voce ad un viaggio fotografico – riposto nel profondo della memoria, e sul fondo di due scatole – rimasto inutilizzato, nasce la narrazione. Attraverso la “registrazione” visuale operata dalla fotografa durante il viaggio con il compagno Lino Del Fra in Vietnam, racconta con le immagini, in un nitido bianco e nero, la lotta quotidiana, la guerra, e soprattutto le donne armate, a fianco degli uomini.
Dal racconto scandito dalle fotografie all’intimità della casa della regista: il documentario è un lascito che consacra la scelta della lotta attraverso l’arte dello sguardo. La voce della donna ne descrive il background e le storie celate dietro all’attimo fissato su pellicola.
Due scatole dimenticate – Un viaggio in Vietnam schiude la sedimentazione dei ricordi descrivendo la rinascita della memoria. A pochi giorni dalla scomparsa della regista è ancora più importante il senso intrinseco del lavoro dedicato allo sguardo. E continuo a ripetermi “Sarei dovuta andare a dirle qualcosa, qualsiasi cosa”.
Se volete saperne di più leggete gli altri approfondimenti dedicati alla memoria di Cecilia Mangini: Essere donne e i corti con Pier Paolo Pasolini.
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