ETE_85_Photo_7©2020_MANDARIN PRODUCTION_FOZ_France 2 CINEMA_PLAYTIME PRODUCTION_SCOPE PICTURES
ETE_85_Photo_7©2020_MANDARIN PRODUCTION_FOZ_France 2 CINEMA_PLAYTIME PRODUCTION_SCOPE PICTURES

C’è una regola non scritta nel cinema, quasi un comandamento tacito: non pensare mai di fare un bel film da un bel romanzo. François Ozon l’ha infranto con Estate ’85 (Été 85), ispirato al romanzo di Aidan Chambers, Danza sulla mia tomba. E sembra, in qualche modo, aver avuto ragione a farlo.

Anche se, in realtà, più che infrangere questa regola, l’ha sviata: Ozon non ha tratto un film da un romanzo, ma quel romanzo lo ha riscritto.

Non è un caso che il titolo del libro non abbia nulla a che fare con quello del film. Quella “estate del 1985” cui Ozon fa riferimento non è neppure l’estate in cui il romanzo è ambientato. Eppure nella sua testa è esattamente quella: perché è in essa che lui, diciassettenne, lo legge e lo fa suo, costruendosi nella testa volti e gesti, panorami e voci, sensazioni e musica.

Estate '85 - Diaphana Distribution
Estate ’85 – Diaphana Distribution

Estate ’85 è una riscrittura. Quella che compie la memoria su un’emozione provata tanto tempo prima, che l’esperienza ha forse modificato, senza però indebolirla. Anzi, ridandole forza, ridando vita concreta a sensazioni passate grazie a quel miracolo che forse solo il cinema può realizzare con la molteplicità dei suoi linguaggi. Ed è proprio questa molteplicità, infatti, a sostenere il film, nella perfetta composizione delle immagini con la musica.

In Between Days

Estate ’85 non è certo un musical, e neppure uno di quei film che vantano una colonna sonora da comprarsi su disco. In realtà, c’è una sola e solitaria canzone che apre e chiude il film, sostenendo i titoli di testa e quelli di coda. Lo stesso brano all’inizio e alla fine, con un’unica, determinante differenza: prima è solo strumentale, poi le si aggiunge la voce. Il pezzo è In Between Days dei Cure, tratto dal disco Head on the Door. C’è qualcosa di importante in questo brano.

L’album è il sesto della band inglese, ma il primo per molti altri aspetti. È il primo in cui suona la formazione definitiva, il primo in cui entra nella composizione la chitarra, il primo della seconda vita dei Cure. Prima di Head on the Door il post-punk dei Cure era cupo e sintetico, una lenta sinfonia melanconica che non lasciava spiragli di luce.

Sono i due singoli estratti da Head on the Door a determinare una nuova rotta: Close to me e, appunto, In Between Days.

Il pop apre una breccia insperata nella cupezza post-punk dei Cure e gli permette di evolvere un nuovo sound. Quello che con Disintegration li porterà, qualche anno più tardi, a scrivere uno dei capitoli più intensi della Storia della musica.

L’intensità: ecco quel che trasmette la loro musica da Head on the Door in poi. È come una passione, nel senso più puro del termine: una sofferenza che, oltrepassata, porta a qualcosa di più grande, un piacere.

In termini più complessi, la definiremmo “coscienza di sé”: più banalmente, forse, significa semplicemente crescere.

E a far crescere i Cure è un miracoloso equilibrio tra il post punk degli esordi e il pop, come se quest’ultimo desse finalmente una forma alla matassa sonora delle loro composizioni dark new wave.

Ma se Close to me è quasi un gioco, quello scherzo infantile che solo chi ha la consapevolezza di essere ormai adulto può progettare, In Between Days è invece la dichiarazione esplicita di questa coscienza. Il suo intreccio di chitarre, bassi e synth tenta di dilatarsi in una direzione post punk, ma la ritmica pop incanala quella stessa dilatazione in un tempo finito, dando un senso di solarità a quell’ammasso informe di suoni dark.

Tutto questo prima ancora che entri la voce, quella solita voce adolescenziale e straniata di Robert Smith, ma con un tono impercettibilmente più maturo, sensuale, nascosto in quei sospiri che concludono ogni strofa.

Non lo abbiamo detto prima, ma In Between Days – come tutto l’album in cui è contenuta – esce esattamente nell’agosto del 1985. Estate ’85, appunto.

E dopotutto, quel che accade in quel preciso momento ai Cure è quel che accade al giovane protagonista del film di Ozon: passare attraverso la dura realtà della vita per crescere e divenire padrone del proprio destino. Allora, e solo allora, alla musica strumentale dei titoli di testa può aggiungersi il canto e le parole nei titoli di coda.

Come l’occhio registico di Ozon ricostruisce le sensazioni di quel se stesso diciassettenne mentre legge Danza sulla mia tomba ascoltando In Between Days, durante un’estate diversa dalle altre. Non soltanto per lui.

Copyright foto: Jean-Claude Moireau.

Continua a seguire FRAMED anche su Instagram!

Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.

1 commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui