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Etty Hillesum era una brillante giovane donna olandese che tra il 1941 e il 1942 scrisse un Diario pubblicato per la prima volta nel 1981 (in Italia nel 1985 da Adelphi Edizioni). L’opera, rimasta senza voce per trentotto anni, racconta il mondo interiore della protagonista che con la grazia del proprio animo respinse il sentimento di odio generato dal nazismo.

“Ora possiedo tutto e la mia ricchezza interiore è immensa”

Ad Amsterdam, mentre la campagna razziale di Hitler contro gli ebrei dilagava rapida e feroce, Etty Hillesum stava vivendo il periodo più felice della sua vita. L’incontro con la “personalità magica” di Julius Spier, ebreo emigrato da Berlino, vicino a Jung e fondatore della psicochirologia, condusse la ragazza a una nuova vita. La generosità e il desiderio di essenzialità equipaggiarono la nuova Hetty di uno scudo contro l’imminente barbarie tedesca. Divenuta presto l’assistente di Spier, la ragazza trascorse molto tempo con l’uomo coltivando un’energica intesa intellettuale che la fece riflettere sulla questione femminile.

“Forse, la mancanza di donne importanti nel campo della scienza e dell’arte si spiega così: col fatto che la donna si cerca sempre un uomo solo, a cui trasmettere poi tutta la propria conoscenza, calore, amore, capacità creativa. La donna cerca l’uomo e non l’umanità”.

“Quel vero amore per gli uomini che mi porto dentro”

Etty, dal canto suo, non divenne mai proprietà di un solo uomo, ma, al contrario, andò costantemente alla ricerca dell’intera umanità, scrutando i visi della gente, che le ispiravano romanzi che non poté scrivere, e scambiando parole con persone sconosciute, con lo scopo di alimentare la sua incontenibile curiosità.

Ai discorsi che Etty intratteneva con chi la circondava, nel Diario s’intrecciano i flash di una Amsterdam libera dall’antisemitismo, accesa da musica e risate nei suoi caffè inondati di calore, e le descrizioni dei paesaggi interiori della ragazza. “In me scorrono i larghi fiumi e s’innalzano le grandi montagne. Dietro gli arbusti della mia irrequietezza e dei miei smarrimenti si stendono le vaste pianure della mia calma, e del mio abbandono. Tutti i paesaggi sono in me, ho tanto posto ora, in me c’è la terra e c’è anche il cielo”.

“Vorrei essere il cuore pensante di un intero campo di concentramento”

Quello di Etty era un intenso dialogo con il mondo che la circondava e le dava nutrimento e con tutte le parti di sé, da quella infantile a quella più profonda, che nello scritto chiamava “Dio”, a cui si sarebbe rivolta sempre più spesso con l’aggravarsi della persecuzione degli ebrei. La sua era, infatti, una religiosità senza chiese né sinagoghe, priva di dogmi e costrizioni; quella della Hillesum era una spiritualità intima e personale che seguiva il ritmo della coscienza e cercava un equilibrio svincolato dalle regole prestabilite. In un mondo di catene Etty era libera e usò la sua abbagliante vita interiore contro l’idea stessa di campo di concentramento.

“Sarò il cronista delle nostre vicissitudini”

Etty Hillesum leggeva e studiava senza sosta Dostoevskij, Shakespeare e Kierkegaard, dava lezioni di russo e la gratitudine del tempo che le veniva concesso si trasformava nell’obbligo morale di voler diventare una cronista del suo tempo. Per lei le frasi scritte nei libri dovevano trasformarsi in azione e la sua scrittura era vissuta come un atto di responsabilità. Etty s’interrogava su come sarebbe riuscita a dare al mondo la sua “doverosa testimonianza”. Su come avrebbe trovato “una lingua completamente nuova” in grado di raccontare l’orrore nazista ma, nel novembre del 1943, Auschwitz le rubò quella nobile aspirazione strappandola da tutti i suoi “racconterò”, “scriverò”, “viaggerò”.

“L’odio è una malattia dell’anima”

L’impossibilità di odiare qualsiasi uomo, seppur colpevole di atrocità, portò Etty a non essere un solo individuo ma una collettività, un coro di storie narrate all’unisono. Gli ebrei, gli oppositori politici, le minoranze etniche, gli omosessuali, i portatori di handicap sterminati durante il Secondo conflitto mondiale dalla Germania nazista e dai suoi alleati furono più di 16 milioni, eppure ognuno di loro aveva una storia. “Mercoledì mattina presto, quando con un gruppo numeroso ci siamo trovati in quel locale della Gestapo i fatti delle nostre vite erano tutti uguali”.

“Trovo bella la vita e mi sento libera”

Nel suo Diario, al racconto delle leggi che vietarono agli ebrei di condurre una vita normale, seguì quello dell’inferno di Westerbork, il campo di smistamento in cui la Hillesum decise di andare volontariamente per non sottrarsi al destino del suo popolo e per offrire il proprio aiuto. I ricordi dei suoi amici, dell’affinità con Spier, delle passeggiate lungo i canali della capitale olandese e della meraviglia incontrata nella lettura delle lettere di Rilke, la tennero ancorata al suo “spazio interno del mondo”. “Attaccata alla vita” che, nonostante tutto, le appariva meravigliosa.

“Fiorire e dar frutti in qualunque terreno si sia piantati”

Assetata di vastità, amante della bellezza dei fiori, animata da una “curiosità oggettiva” per l’universo, felice di essere attraversata da passione, dolore, malinconia e da “frammenti di eternità”, Etty Hillesum affondava mente e cuore nella profondità delle cose per poi rivelarne la loro inattesa semplicità. “Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile”, ed è stato vano anche per noi, donne e uomini del XXI secolo, ancora alle prese con le innumerevoli facce della discriminazione.

Elisabetta Severino
Instancabile viaggiatrice e inguaribile iperattiva, mi concedo raramente del puro relax e, nella frenesia delle mie giornate da ufficio stampa di due teatri e da giornalista freelance, l’otium di cui sento più spesso la mancanza è quello letterario. Sono cresciuta in una casa piena di libri per poi trasferirmi da Lecce a Bologna per studiare Lettere Moderne all’Alma Mater Studiorum. Rimbaud, i macaron e la lingua francese sono tre delle infinite ragioni che mi hanno spinta diverse volte a trasferirmi oltralpe. Lealtà, giustizia e umiltà sono i valori in cui credo e quando esco di casa la mattina spero di poterci tornare avendo imparato qualcosa di nuovo. Scrivere di cultura e vagabondaggi mi appassiona da sempre.

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