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Metaironia dallo spazio profondo

Son passati almeno trent’anni dalla fantascienza degli anni Sessanta, quella che sussurrava all’orecchio degli alieni per far sì che gli umani intendessero. Intendessero cosa? Che era tutta una metafora sociale e/o ideologica. Nel fattempo il genere si è evoluto, poi decostruito fino a guardare sé stesso dall’altro lato dello specchio. Il risultato è che la fantascienza umoristica anni ’90 vuole farti ridere due volte. La prima delle vicende spaziali propriamente intese; la seconda delle vicende spaziali per come sono state raccontate al pubblico quando ancora era ingenuo. Vertiginoso!

Galaxy Quest (Dean Parisot, 1999)

La trama

Galaxy Quest è una longeva serie televisiva con una fanbase numerosa e accanita. Il successo della serie ha cannibalizzato le carriere degli attori coinvolti. Vent’anni dopo continuano ad interpretare gli stessi personaggi nelle convention o nelle inaugurazioni di centri commerciali, e tra loro si sopportano poco. Durante uno di questi eventi Jason Nesmith (Tim Allen), il comandante Taggart nella serie, viene avvicinato da un gruppo di Thermiani, extraterrestri placidi e ingenui che gli chiedono aiuto per sconfiggere il loro nemico spaziale, Sarris. Inizialmente convinto che si tratti della solita apparizione in costume, Nesmith accetta. Solo quando avrà coinvolto il resto del cast e si troveranno tutti sulla base thermiana si renderanno conto che lo scontro è reale. E che gli alieni contano sul loro aiuto perché convinti che Galaxy Quest sia un documentario, non fantascienza.

Il film è stato pensato con un riferimento preciso: la saga di Star Trek, il suo immenso seguito e l’identificazione nell’immaginario collettivo tra gli attori e i personaggi che hanno interpretato. Ciò nonostante Galaxy Quest non è per Star Trek quello che Spaceballs è per Star Wars – ovvero una parodia diretta che cita sequenze celebri del film di riferimento. È piuttosto un possibile episodio inedito di Star Trek inserito in una cornice metanarrativa che ironizza sul mestiere d’attore e specula sul rapporto tra realtà e finzione.

fantascienza umoristica anni '90: una scena da Galaxy Quest (Dean Parisot, 1999)
Il momento è solenne per i Thermiani e per tutta la fantascienza umoristica anni ’90 (Galaxy Quest, Dreamworks Pictures – Gran Via Productions, 1999)

Gli ingenui spettatori di Thermia

La caratterizzazione dei Thermiani è uno degli aspetti più divertenti del film, ed è in gran parte attribuibile a Enrico Colantoni, che interpreta il loro leader Mathesar. Quando Colantoni legge il copione del film ne è colpito in positivo, e si prepara per l’audizione sviluppando i manierismi alla base del comportamento degli alieni. Il regista Parisot accoglie favorevolmente i suoi suggerimenti, tanto da organizzare una “Scuola Thermiana per allenare il resto delle comparse.

I Thermiani sono un popolo estremamente pacifico e cordiale. Ignorano il concetto di finzione scenica e hanno modellato la loro civiltà sull’esempio della serie, convinti che le gesta eroiche dell’equipaggio siano autentiche. Essere all’altezza delle loro aspettative è il compito più difficile per gli attori. Affrontano la missione in bilico tra l’istinto di sopravvivenza e la necessità di mantenere una facciata di perizia intergalattica che non scombini il precario equilibrio psichico dei loro ospiti alieni.

Nonostante il film sia stato editato per gareggiare come film di Natale in opposizione a Stuart Little (!), la caratterizzazione dei personaggi ci regala delle perle indimenticabili: la comparsa in paranoia col terrore di essere il primo a morire (Sam Rockwell), il tecnico di bordo che osserva il precipitare degli eventi con inscalfibile presa a bene di natura probabilmente psicotropa (Tony Shalhoub), Sigourney Weaver nella versione bionda e popputa dell’anti-Ripley, Alan Rickman serissimo ostaggio britannico della cialtroneria attoriale USA.

Galaxy Quest è disponibile su Netflix.

Mystery Science Theater 3000 – Il Film (Jim Mallon, 1996)

Galaxy Quest e Mystery Science Theater 3000 hanno in comune una trama fantascientifica che si svolge su due livelli narrativi. Ma se in Galaxy Quest le due narrazioni tendono a combaciare (fingono di essere eroi per lavoro, ma alla fine sono eroi per davvero) in Mystery Science Theater 3000 l’ironia scava un fossato tra i due piani di realtà, rendendo i personaggi principali il nostro doppio spettatoriale dentro il film. Il cappello teorico torna subito sull’appendiabiti e procediamo con

La trama

Il dottor Clayton Forrester (Trace Beaulieu) è uno scienziato pazzo che controlla l’astronave Satellite of Love. La sua attività principale è cercare di uccidere Mike Nelson (Michael J. Nelson), custode prigioniero dell’astronave, sottoponendolo alla visione di film di fantascienza di serie B. Mike resiste ai tentativi di omicidio commentando ironicamente quello che succede sullo schermo insieme a Crow T. Robot e Tom Servo, due robot che ha costruito per mantenere la sanità mentale. Completa l’equipaggio Gipsy, la robot che si occupa di pilotare la navicella. Mike e i robot sono costretti a guardare Cittadino dello spazio (This Island Earth, 1955).

una scena da Mystery Science Theater 3000 - il film
Gli attori di This Island Earth quando si accorgono di essere sbeffeggiati durante un film di fantascienza umoristica anni ’90 (non è vero, ma sarebbe stato un ottimo plot twist). Mystery Science Theater 3000 – The movie, Best Brains – Universal Pictures, 1996.

La serie di culto

Prima di essere un lungometraggio Mystery Science Theater 3000 è un’amatissima serie TV trasmessa dal 1989 al 1999 su Comedy Central negli Stati Uniti. La serie è stata messa in produzione a più riprese, fino ad arrivare al crowdfunding per due stagioni su Netflix (2017-2018) e ad un secondo crowdfunding per una nuova stagione su una piattaforma online creata appositamente, Gizmoplex. Il film dispone di un budget produttivo superiore, ma mantiene lo spirito della serie. Uno spettacolo comico indipendente e bizzarro per chi ama il cinema e la fantascienza umoristica.

La cornice narrativa delle attività a bordo dell’astronave ci mostra un ambiente caotico e pieno di cianfrusaglie, che imita gli stessi film che prende in giro. Neon colorati, leve e bottoni da cartone animato, barocchismi decorativi a metà tra il geroglifico egizio e il trovarobato steampunk. Quando le tre luci rosso, giallo e blu si accendono Mike e i robot sanno che è tempo di accomodarsi in sala e accogliere con bordate sarcastiche l’ennesimo film semiletale (“aumentare i rumori da Flash Gordon e mettere in mezzo più roba scientifica”).

Mystery Science Theater 3000 unisce cinefilia, observational comedy e quella particolare atmosfera da maratona filmica sul divano che ci si concede solo quando si può davvero perdere tempo a lungo e in libertà. Come non amare questa idea di esercizio ricreativo applicato alla fantascienza umoristica anni ’90?

Fenomeni da baraccone (interplanetario)

Fantascienza non è sempre sinonimo di effetti speciali. Uno scenario futuribile può essere reso efficacemente con una trama coinvolgente (Se mi lasci ti cancello), una recitazione minimalista, delle location ordinarie ma stranianti (Crimes of the Future). Tutto vero, ma molto distante dai film che trovi in questa sezione. Qui CGI e trucco lavorano assieme per spingere forte sul pedale del visionario.

Freaked – Sgorbi (Freaked, Tom Stern, Alex Winter, 1993)

Hai presente quell’immaginario fine anni ’80 fatto di mostri repellenti, umorismo demenziale e psichedelia? Se la risposta è sì puoi probabilmente saltare al prossimo paragrafo, perché è impossibile che tu non conosca Freaked. Se la risposta è no, presta molta attenzione perché il film in questione vince il premio Fantascienza Umoristica di Pregio™ assegnato da me agli autori con una sentita cerimonia che avrà luogo esclusivamente nel mio cervello.

La trama

Ricky Coogin (Alex Winter) è un giovane attore pieno di sé: accetta un contratto di sponsorizzazione per la multinazionale EES (Everything Except Shoes), che produce un diserbante tossico e lo vende in America Latina. Appena arrivati a Santa Flan, Ricky e il suo amico Ernie (Michael Stoyanov) si imbattono in una manifestazione di protesta contro EES, dove incontrano l’ambientalista Julie (Megan Ward). Assieme decidono di visitare Freek Land, il freak show locale gestito da Elijah C. Skuggs (Randy Quaid). Quello che non sanno è che Skuggs è uno scienziato pazzo che cattura tutti i visitatori del suo circo e li trasforma in mostri deformi.

Mostri, umorismo e citazioni

Freaked è il parto congiunto di Alex Winter e Tom Stern, autori dello sketch show The Idiot Box, e i soldi della 20th Century Fox – che offre dodici milioni di dollari a due registi principianti. Se sembra troppo bello per essere vero è perché ad un certo punto effettivamente gli studios si ricredono e tagliano il budget per la postproduzione, con limitazioni importanti nel comparto musica ed effetti speciali. Non che l’esito finale sia meno godibile: la colonna sonora comprende pezzi di Henry Rollins, Butthole Surfers e Parliament-Funkadelic; gli effetti speciali sono di Screaming Mad George, e gli valgono una candidatura ai Saturn Awards.

fantascienza umoristica anni '90: una scena da Freaked (Tom Stern, Alex Winter, 1993)
Alex Winter offre il suo lato migliore alla fantascienza umoristica anni ’90 (Freaked, Chiodo Brothers Production – Tommy, 1993)

In aggiunta ad effetti speciali e musica Freaked è sostenuto da un’umorismo bizzarro e paradossale, pieno di non sequitur, giochi di parole e brillanti interazioni tra immagini e dialoghi. È un film che inserisce nella narrazione due bulbi oculari jamaicani che si chiamano (da soli) rastafar-eye, lo spot pubblicitario di un formaggio in lattina per veri uomini (Macheesmo) e decine di altre trovate che mettono il meglio della sketch comedy al servizio del lungometraggio senza mai scendere di livello.

Nella visionarietà estrema del film c’è posto per alcune citazioni particolarmente indicative del retroterra comico degli autori. Stuey Gluck, il piccolo e accanito fan di Ricky, è identico ad Alfred E. Neuman, la mascotte di Mad Magazine. Durante lo spettacolo finale di Freek Land Ricky è vestito esattamente come Buddy Love, l’alter ego fascinoso del professor Kelp in Le folli notti del dottor Jerryll. E – chiamami sentimentale – ma come non riconoscere nel vomito a spruzzo di Ernie e Julie lo stesso getto del signor Creosote in Monty Python – Il senso della vita?

Mars Attacks! (Tim Burton, 1996)

La trama

I marziani arrivano sulla Terra e il presidente degli USA (Jack Nicholson) predispone un’accoglienza in grande stile per manifestare agli alieni intenzioni pacifiche e auspici di collaborazione. Finisce che i marziani scatenano una carneficina a partire dall’uccisione in volo della colomba della pace. Non il migliore degli inizi, ma vuoi vedere che il simbolo della colomba era estraneo alla loro cultura ed è stato frainteso, e ci sono ancora speranze di salvare i rapporti tra le due civiltà? No. Marte attacca e lo fa crudelmente, fino a quando Richie Norris (Lukas Haas) non scopre casualmente un modo per eliminare gli invasori.

La produzione

Mars Attacks! è la trasposizione cinematografica dell’omonima serie di carte collezionabili prodotte negli anni ’60. L’idea di un film tratto dalla serie circola ad Hollywood dal 1985, quando Alex Cox la propone a Orion e Tristar Pictures. Quattro anni dopo il progetto naufraga e viene ripreso nel 1993 da Jonathan Gems, che lo sviluppa insieme a Tim Burton. La sceneggiatura verrà riscritta 12 volte nel tentativo di abbassare il budget di produzione: i personaggi principali, ad esempio, passano da 60 a 23. Costato un totale di cento milioni di dollari, Mars Attacks! in sala è a malapena rientrato delle spese di produzione. Di solito il suo insuccesso si fa risalire all’uscita in contemporanea con Independence Day, ma potrebbero esserci altri motivi più specifici.

fantascienza umoristica anni '90: una scena da Mars Attacks! (Tim Burton, 1996)
Ai marziani piace sperimentare sugli umani e indossare mascherine lamé (Mars Attacks!, Warner Bros., 1996)

Spettacolare non è sinonimo di divertente

Se lo scopo dell’intera operazione fosse un tributo visivo a cinquant’anni di fantascienza cinematografica, il risultato non potrebbe essere migliore – considerando soprattutto scenografie, costumi, musiche ed effetti speciali. Se invece lo scopo fosse farci ridere con una rappresentazione satirica dei conflitti intergalattici in chiave camp e retrò, potremmo riguardare il film mille volte senza mai percepire traccia di umorismo. Gli autori sembrano aver pensato che un cast stellare e dei conflitti spettacolari fossero sufficienti a rendere Mars Attacks! un film divertente. E invece riescono nell’impresa opposta e involontaria di neutralizzare talenti comici noti (Martin Short e Michael J. Fox su tutti), e impiegare attori di talento per esprimere una gamma emotiva di impareggiabile inefficacia.

Gli unici personaggi che sembrano sfuggire a questa dinamica di appiattimento totale sono Richie e Taffy (Natalie Portman). Entrambi adolescenti, entrambi quietamente estranei ai loro contesti di appartenenza (la provincia rurale impoverita lui, la famiglia presidenziale lei). Purtroppo poco per risollevare le sorti di un film che in teoria aveva tutte le carte in regola per diventare un classico della fantascienza umoristica anni ’90.

Disturbo da stress post-apocalittico

Sopravvivere all’apocalisse è indubbiamente peggio che attraversarla soccombendo. Il mondo è diventato inospitale, dormi con un occhi aperto e uno chiuso perché c’è poca gente in giro ma è molto più letale. La sabbia ti si infila dappertutto e la psicoterapia non è un’opzione praticabile. Se poi sono gli anni ’90 e hanno scritto per te una parte in un film di fantascienza umoristica, c’è un bonus bizzarria che ti rende particolarmente difficile trovare un senso in quello che fai. Non pensarci dai, eccoti un’arma che ti aiuta a trasformare i nemici in tartare. E chiama quando arrivi a casa, mi raccomando.

Tank Girl (Rachel Talalay, 1995)

La trama

Nel 2033 la Terra è ridotta a deserto a causa dell’impatto di una cometa. Le riserve d’acqua sono scarsissime e in larga parte controllate dalla multinazionale Water&Power, presieduta dal cattivissimo Kesslee (Malcom McDowell). Rebecca Buck (Lori Petty) fa parte di un gruppo di dissidenti che gestisce l’ultimo pozzo indipendente non controllato da W&P. Ancora per poco: la comune viene distrutta dalle truppe della corporation. Rebecca è catturata e la stessa sorte tocca a Sam (Stacy Lynn Ramsower), la sua piccola amica. Rinchiusa in prigione e costretta ai lavori forzati, Rebecca riesce ad evadere con l’aiuto di un’altra prigioniera, Jet Girl (Naomi Watts). Insieme cercheranno di liberare Sam alleandosi con i Rippers, canguri mutanti antropomorfi, nemici giurati di W&P.

Tank Girl è tratto dall’omonimo fumetto inglese di culto creato da Jamie Hewlett e scritto da Alan Martin. La sceneggiatura è affidata a Tedi Sarafian, che struttura la narrazione intorno ad un classico meccanismo di riscatto e vendetta. Detto questo, prendiamo l’aggettivo “classico” e chiudiamolo a chiave in cantina, perché non capiterà in nessun modo di poterlo riutilizzare per parlare del film.

Caotico e debordante

Tank Girl è un film postapocalittico difforme e pop: mette assieme deserto e fumetto, estetica da videoclip e femminismo, coreografie acquatiche alla Busby Berkeley e dinamiche da blockbuster d’azione. Frastornante? Certo. Divertente? Anche. Non diversamente da Freaked l’accumulo di situazioni e personaggi è direttamente proporzionale all’intrattenimento percepito, e pazienza se agli occhi della Spettatorialità Media è un film fracassone da due stelle e mezzo.

Una scena da Tank Girl (Rachel Talalay, 1995)
Quello che Rebecca farebbe a un rappresentante della Spettatorialità Media (Tank Girl, Image Comics – Trilogy Entertainment Group, 1995)

La componente comica del film è in gran parte affidata all’umorismo imperturbabile della protagonista, che la aiuta a resistere alle peggiori torture. Alla lunga capiamo che le battute di Rebecca sono un espediente meno rivolto a farci ridere che a caratterizzare il personaggio. ‘Becca è un’eroina ma è anche un po’ spostata: piega il mondo alla sua volontà e ci riesce anche perché non lo afferra del tutto. In fondo chi sarebbe lei, se percepisse il pericolo? Forse sarebbe Jet Girl, ma allora il film avrebbe preso una piega decisamente più nerd.

Six-string samurai (Lance Mungia, 1998)

La trama

Nel 1957 un attacco nucleare sovietico riduce gli Stati Uniti a una landa desertica: l’unica città che resiste è Lost Vegas, governata da Elvis. Quarant’anni dopo Elvis muore e il dj Keith Mortimer lancia via radio un appello per trovare il nuovo king. Buddy (Jeffrey Falcon) è un musicista solitario che si mette in viaggio con l’intenzione di reclamare il trono per sé. Buddy è un prodigio con le arti marziali e affronta degnamente parecchi nemici, non ultima la Morte e i suoi scagnozzi. Lungo il cammino incontra un bambino (Justin McGuire) che diventerà il suo assistente, nonostante Buddy faccia di tutto per non averlo tra i piedi. Riusciranno ad arrivare a Lost Vegas assieme?

una scena da Six-string samurai (Lance Mungia, 1998)
La fantascienza umoristica anni ’90 è fatta anche di guerrieri solitari che imbracciano una sei corde (Six-string samurai, HSX Films – Overseas FilmGroup – Palm Pictures, 1998)

Rock’n’roll e arti marziali

Six-string samurai è un film che potrebbe mancare d’impressionarti, ma non se i tuoi interessi comprendono il rock’n’roll e le arti marziali. In questo caso troverai una moltitudine di riferimenti e citazioni che ti manderanno in visibilio. Buddy, ad esempio, deve il suo nome e i suoi occhiali a Buddy Holly; la Morte è modellata su Slash dei Guns’n’Roses. La colonna sonora del film è dei Red Elvises, che suonano surf e rockabilly incrociati con il folklore russo – e ai Leningrad Cowboys sono fischiate forte le orecchie. Ma l’aneddoto più bizzarro di tutti è che la sequenza di apertura, girata in formato non anamorfico, richiama intenzionalmente l’effetto visivo dei film di arti marziali cinesi girati in widescreen e successivamente compressi per il mercato dell’home video.

Buddy, il bambino e tutti i loro avversari non sono personaggi tridimensionali, con sentimenti e motivazioni sfaccettate (ma forse a te che hai letto fin qui il dubbio che lo fossero non ti ha proprio sfiorato). Sono degli eroi straccioni alimentati a sarcasmo e sciabolate. Vincono o soccombono senza sprecare fiato – se non per dei lapidari one-liner sulla via verso il prossimo scontro. Eppure la loro ruvidezza non ci impedisce di volergli bene, perché sono personaggi talmente eccentrici e cartooneschi che è impossibile non farseli stare simpatici.

Six-string samurai è visibile sottotitolato in inglese sul canale YouTube di Palm Pictures.

La guida di FRAMED sulla fantascienza umoristica non si ferma agli anni ’90: c’è anche il capitolo sugli anni ’60 e quello sugli anni ’70 e ’80.

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