Ci sono momenti nella vita di tutti che impongono di prendere una decisione. Qualunque essa sia. Momenti che, semplicemente, obbligano a smettere di restare immobili, momenti di cesura che incrinano il presente al punto da creare un prima e un dopo quel momento, un passato e un futuro nella vita.
Per Flea quel momento è una sera, una maledetta sera di ottobre del 1993.
Flea e i Red Hot Chili Peppers
Da qualche mese i suoi Red Hot Chili Peppers sono sul tetto del mondo discografico con l’uscita del loro capolavoro, Blood Sugar Sex Magik.
È la massima soddisfazione di Flea. Un gruppo fondato da lui stesso dieci anni prima, insieme al cantante Anthony Kiedis e al chitarrista Hillel Slovak. Una scommessa vinta, una di quelle che si vince una sola volta nella vita e che in pochi riescono a vincere: creare un nuovo genere artistico e vederlo conquistare il pubblico.
Ma forse non è una semplice scommessa, perché una scommessa si fonda perlopiù sulla fortuna. Flea, al contrario, ci mette tutta la sua caparbietà e la sua passione, fino a rovesciarci dentro la sua più grande dote, la follia.
Forse è proprio la follia la chiave del suo successo e di quello dei suoi Red Hot Chili Peppers.
La follia
Quella stessa follia che porta lui e Kiedis a superare gli ostacoli e lo scetticismo di quei produttori ed impresari vari che, all’inizio della carriera, vogliono cambiare il loro sound.
Infatti è folle non scendere a compromessi per un successo immediato. È folle continuare con quel mix inedito di funk e rock, condito da slanci rap, stabilizzazioni pop e stravolgimenti punk.
È folle, soprattutto mentre il mondo chiede alla musica chiarezza, premiando band che riescono a integrarsi perfettamente in un genere, sotto un’etichetta, che sia rock, pop, metal, punk o il nuovo, imperversante grunge.
Ma è una sana, robusta follia.
Quella che lo porta ad esibirsi completamente nudo sul palco di Woodstock o a recitare in film altettanto folli, come Ritorno al futuro, Il grande Lebowsky, Paura e delirio a Las Vegas.
Quella stessa, sana e robusta follia che lo tiene lontano dall’eroina, proprio mentre tutti intorno si stanno facendo. Tutti gli artisti, tutti i musicisti, tutti gli amici. Anche quelli più stretti, come Anthony. Come Slovak.
L’eroina
Hillel Slovak viene trovato morto in una stanza d’albergo di Los Angeles. È il 1988 e i Red Hot Chili Peppers hanno appena pubblicato il loro terzo album, The Uplift Mofo Party Plan.
Ed è in questa morte che Flea dimostra la forza della sua follia: il batterista, Jack Irons, lascia la band, mettendola sull’orlo dello scioglimento, ma lui e Kiedis non mollano, e reagiscono chiamando Chad Channing e John Frusciante.
È con questa formazione che escono prima Mother’s Milk e poi Blood Sugar Sex Magik: i Red Hot Chili Peppers conquistano anche il pubblico ed entrano nella Storia della musica.
Una maledetta sera di ottobre
Ed è qui che arriva quella maledetta sera di ottobre del 1993.
Flea entra in un night club di Hollywood, il Viper Room. Ad aspettarlo, c’è il suo proprietario e amico Johnny Depp per suonare insieme a lui in un concerto intimo, di fronte a pochi amici. Tra questi, c’è l’attore River Phoenix con suo fratello Joaquin, ancora minorenne, e John Frusciante.
Johnny Depp, River Phoenix, Flea, John Frusciante: quattro giovani artisti da poco arrivati sulla cima del mondo. Una cima sulla quale, però, è difficile riuscire a restare in equilibrio, senza scivolare nelle tante tentazioni che si aprono, come solchi sul vuoto. Prima tra tutte, la droga.
Johnny e River entrano ed escono dalla dipendenza, come fossero in un set cinematografico, mentre John Frusciante da qualche mese ormai, è uscito dai Red Hot Chili Peppers per problemi di eroina.
Inizia lo show. Depp e Flea salgono sul palco e iniziano a suonare.
In platea, Frusciante si avvicina al tavolo dei fratelli Phoenix, dove River lo accoglie già alterato da qualche sostanza.
“Prova questa”, gli dice Frusciante porgendogli una pasticca.
Qualcuno dice si trattasse solo di aspirina, altri affermano si trattasse di altro.
L’effetto su River non è pero positivo: inizia a sudare, gli manca l’ossigeno e dice agli altri di voler uscire per prendere una boccata d’aria.
Qualche istante dopo, delle grida provenienti da fuori il locale interrompono il concerto. Flea getta il basso e corre sulla strada dove trova River accasciato a terra, la sua ragazza in lacrime accanto e Joaquin alla ricerca di un telefono per chiamare i soccorsi.
Sull’ambulanza sale lo stesso Flea. River è ancora vivo, lui gli stringe una mano e gli ripete di non mollare, di non lasciarlo proprio ora. Ora che sono arrivati: su quella dannata cima o in ospedale, poco importa.
River viene dichiarato morto la mattina successiva per overdose.
Sana e robusta, consapevole follia
Quella maledetta sera di ottobre del 1993 la sua vita cambia, ma solo in consapevolezza. Ma la follia di Flea non si interrompe nemmeno quella sera.
E, da li in poi la trasforma nel suo marchio di fabbrica, nel suo stile di vita, quella forza superiore a qualsiasi tragedia, a qualsiasi droga, a qualsiasi morte.
È bello pensare che, appena uscito dall’ospedale, sia corso a cercare John Frusciante. Non per incolparlo, non per sfogarsi, ma per salvarlo, almeno lui.
Lo trova, nascosto proprio nella villa storica dove i Red Hot Chili Peppers hanno registrato il loro capolavoro, uniti come un gruppo di amici: si era rifugiato lì, in preda a paranoie e manie persecutorie, credeva di essere colpevole e che prima o poi sarebbero venuti a prenderlo.
E invece a prenderlo è il suo folle amico per accompagnarlo a disintossicarsi e a ritornare là dove la loro amicizia si è fatta musica, nei Red Hot Chili Peppers.
Ci sono momenti nella vita di tutti che impongono di prendere una decisione. Molti scelgono di cambiare, altri di proseguire. Alcuni, come Flea, di proseguire lasciando qualcosa indietro, a passato che a anticipa quel momento.
Il prima dell’incoscienza, il dopo della consapevolezza, e nel mezzo sempre lo slancio di una sana e robusta follia.
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