“Cosa vuol dire effetto notte?”
“È quando si gira una scena notturna in pieno giorno, mettendo un filtro davanti all’obiettivo.”
Anche conosciuto come “la nuit américaine” in francese e “day for night” in inglese: l’effetto notte è l’espediente tecnico cinematografico che permette l’illusione della finzione e che, non a caso, dà il titolo al tredicesimo lungometraggio di François Truffaut, nelle tre versioni linguistiche per ogni uscita geografica.
La spiegazione è all’interno di uno dei dialoghi del film, e come tutto in Effetto notte (1973), si confonde tra la realtà e la ricostruzione della vita, nel racconto del cinema nel cinema, nella dichiarazione d’amore che il regista rivolge a ciò che lo compone e lo pervade, da sempre.
Sovrapposizioni d’intenti – Effetto notte
I sogni di Truffaut/Ferrand sono in bianco e nero, e parlano di cinema. Nella notte desidera appropriarsene, portarselo a casa, possederlo, per poi continuare a farlo. Lo svelamento del mezzo è una contaminazione che tocca la vita reale e quella sullo schermo. Le confonde a tal punto da rubare dialoghi dalla prima per recitarli con altri abiti, nella seconda.
In Effetto notte Truffaut sceglie di sovrapporre le due dimensioni della sua vita: quella reale e quella cinematografica, raccontando in chiave metacinematografica l’impossibilità di scegliere tra le due, e di scinderle totalmente se fosse necessario. Interpretando il regista Ferrand, però, ci confessa che sullo schermo si può controllare il dramma e confondere la morte. Così trascina lo sguardo dello spettatore nella lavorazione di un film “Vi presento Pamela”, in cui è lui stesso a dirigere una troupe al lavoro. Pamela è il film nel film, un tassello imprescindibile nella produzione dell’autore, che si rivela dopo tante narrazioni che non erano che l’overture per la dichiarazione finale.
E se di giorno i sentimenti personali e quelli scritti sui copioni si fronteggiano in un continuo scontro che finisce irrimediabilmente alla pari, di notte Ferrand continua a pensare al cinema, ma senza attori che provano le battute. I suoi sogni sono in bianco e nero e lo vedono bambino, di notte, diretto al cinema più vicino per rubare le foto esposte di Citizen Kane. Come Antoine ne I 400 colpi, tornare al cinema è la prima scintilla. (E in Effetto notte torna Antoine ( Jean-Pierre Léaud) nel ruolo del protagonista Alphonse, ribadendo l’invenzione del personaggio).
Dalla critica cinematografica alla macchina da presa, Truffaut non dimentica la formazione, I Cahiers du cinéma e gli autori che considera padri spirituali, il cinema americano e Hitchcock. Il regista Ferrand/François tra una lavorazione e l’altra di Pamela apre un pacco pieno di libri, che mostra uno ad uno, nella scena più bella del film , in cui non si vedono volti ma volumi di storia del cinema, l’amore più grande, la sua ragione di vita, la manifestazione più forte di essa.
L’effetto notte non è più solo un meccanismo per fingere qualcosa che non c’è: con Truffaut diventa il simbolo del fare cinema conoscendolo nelle sue pieghe più profonde, meglio di come conosce sé stesso e chiunque lo circondi, fuori dai sogni.
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