Funny Games, I WONDER CLASSICS
Funny Games, I WONDER CLASSICS

Funny Games di Michael Haneke torna in sala in versione restaurata con I WONDER CLASSICS, la divisione di I Wonder Pictures dedicata alla riscoperta dei classici d’autore. Dall’11 dicembre è possibile scoprire (o ripassare) l’opera che sconvolse per l’agghiacciante rappresentazione della violenza fisica (e mediale) e che ebbe un remake statunitense nel 2007, sempre girato da Haneke.

Guardare oggi il film del 1997 ha un effetto che probabilmente è non lontano da quello suscitato alla sua uscita, questo perché il thriller spietato e angosciante del regista austriaco ha una forza di attrazione insita che chiama in causa prima di tutto lo spettatore, poi tutto ciò che è collegato ai personaggi, all’illusione di una messa in discussione della classe borghese, o alla storia in generale.

Cortocircuito musicale: critica alla borghesia o immotivata incursione del caos?

La sequenza di apertura di Funny Games è forse una delle più belle dei film degli anni ’90: Anna, Georg e il figlio Georgie fanno un gioco in macchina mentre viaggiano verso la loro casa al lago, in cui pensano di restare per una o due settimane. Lei mette un CD di musica classica, lui deve indovinare cosa sta ascoltando, nel dettaglio più minuzioso, mentre Georgie supervisiona dal sedile posteriore.

L’immagine “perfetta” e dai lampanti tratti tipicamente borghesi (dalla barca legata dietro alla macchina alla collezione raffinata di CD da viaggio), si incrina violentemente quando una colonna sonora completamente diversa esplode mostrando i titoli di testa, rossi e rumorosi. Il brano che stravolge il quadretto di quiete familiare è Bonehead dei Naked City, la sua ferocia è il primo segnale di ciò che ci verrà mostrato, senza regole e senza schemi.

La vacanza durerà molto meno di quanto previsto: la famiglia diventerà prigioniera, per meno di 24 ore, dei due psicopatici Paul e Peter (rinominati Tom e Jerry), che distruggeranno non solo il loro equilibrio, ma anche la percezione spettatoriale lineare per come normalmente la concepiamo.

Mentre la prima lettura infatti, è quella di una distruzione del benessere borghese a favore di uno scardinamento di classe, la verità è che è solo un intelligente pretesto, l’obiettivo di Haneke è un altro. Il gioco al massacro è tra aguzzini e vittime, ma anche tra personaggi consapevoli e pubblico. Il caos è una scusa per parlarci di quanto sia sporco il godimento dello spettatore legato alla narrazione della violenza, ma anche, in fondo, divertente e colpevole.

Giocare sporco, giocare con lo sguardo (spoiler alert)

Nessuno è innocente di fronte alla spirale di violenza che si dispiega dalla prima apparizione dei due ragazzi, apparentemente troppo cortesi, in verità fastidiosi e invadenti, neanche (e soprattutto) chi guarda. Spesso Paul, sadico e manipolatorio, si rivolge con inquietanti sguardi in macchina allo spettatore, giocando prima di tutto con la sua sete di ferocia, con il gusto perverso di assistere alla sofferenza. Durante queste angoscianti ore, minuti per noi che ci aggrappiamo alla poltrona stringendo i denti per tutta la durata del film, i gesti più estremi non vengono mostrati, rimangono sullo sfondo di altre azioni, anche le più comuni, mentre urla, pianti e spari assordano.

Basti pensare al momento in cui inizia il primo gioco di conta per uccidere i componenti della famiglia con un fucile; Peter è in salone che bisbiglia numeri, Paul si sta preparando un ricco panino attingendo al frigo dei suoi “ospiti”. Si sentono le urla frastornanti, lo sparo rimbomba fortissimo, vediamo solo quando tutto è finito, ovvero quando il piccolo Georgie non è che un cadavere insanguinato mentre i genitori sono immobili in preda allo shock.

Come pensi che andrà a finire? Si può chiedere a chi guarda Funny Games per la prima volta, nessuno indovinerà la risposta. Nessuno potrà immaginare che il primo a morire sarà il figlio della coppia, e nessuno potrà credere al fatto che né Anna né suo marito riusciranno a scappare, questo perché i due assassini hanno un potere non previsto, quello dell’intrattenimento. E questo è giocare sporco, come gioca sporco effettivamente la maggior parte dell’intrattenimento legato alla violenza e alla cronaca nera.

Mandare indietro il nastro, ma non per tutti

La scena che decreta il senso dell’opera di Haneke è quando Peter viene ferito da Anna ma Paul ha la prontezza di riavvolgere il nastro. Prende un telecomando e fa REWIND, il suo “collega” è salvo, la donna pronta per una terribile punizione. Questa azione è l’apoteosi del senso intrinseco del gioco che il regista sta facendo con noi. Il fatto che i due possano salvarsi è profondamente frustrante e ci fa capire definitivamente, che non esiste salvezza.

Il distacco che Peter e Paul, o Tom e Jerry se preferite, hanno nei confronti delle cose terribili che stanno facendo strizza l’occhio al pubblico più sensibile all’attrazione nei confronti dell’esibizione della becera violenza, punendoli per gioco nella privazione di alcune scene, tenendoli sospesi su un filo colmo di tensione quando danno effettivamente modo ai prigionieri di scappare, per non rendergli la morte troppo facile.

Funny Games di Michael Haneke continua a lasciare a bocca aperta e nervi tesissimi, ci fa sentire colpevoli e inermi, padroni e schiavi della visione, gioca con noi come un gatto con il topo, sadico e geniale.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.