Per chi almeno una volta all’anno ha bisogno di immergersi nel magico mondo di Harry Potter. Per chi sente nostalgia di un luogo vissuto intensamente tra le pagine dei libri e gli otto film della saga. E per chi, semplicemente crede che Hogwarts sia un posto dove il cuore ritorna sempre: questa è la serie di articoli che dedichiamo all’universo potteriano. Hogwarts is my home.
Harry Potter e il Principe Mezzosangue (2009), fra tutti e quattro gli adattamenti curati da David Yates, è spesso il meno favorito dai lettori della saga. A dispetto del fatto che, invece, la versione cartacea sia forse il capitolo più apprezzato tra le avventure del mago. Il pubblico non perdona al film l’assenza del funerale di Silente, la mancata caratterizzazione di Ginny Weasley e dello stesso Principe del titolo, ma soprattutto l’eliminazione di molti ricordi di Tom Riddle, che costituivano la trama originaria. Anzi, è proprio l’assenza di una trama e di una funzione la più pesante critica rivolta al film dai Potterhead. Permetteteci, però, di dissentire almeno da un punto di vista strettamente filmico.
Innanzitutto perché, e non sarà mai ridondante ribadirlo, l’opera cinematografica e quella letteraria sono entità distinte. Regia, sceneggiatura e montaggio diventano altri tre modi di scrivere la storia, indipendenti dalla penna originale. E questo vale per ogni adattamento.
Nel caso di Harry Potter e il Principe Mezzosangue, poi, ci sono alcune questioni specifiche da considerare. David Yates nel capitolo precedente aveva dovuto rinunciare a circa quarantacinque minuti di girato. In parte per questo e in parte per l’assenza dello storico sceneggiatore Steve Kloves (che invece torna nel Principe) il racconto è molto diverso dagli altri film. L’Ordine della Fenice, infatti, è così rapido e concitato che quasi sembra non dare respiro allo spettatore. Non c’è tempo di interiorizzare e assimilare tutto quel che succede, proprio perché vengono riassunte troppe cose. D’altronde è anche il libro più corposo.
Harry Potter e il principe mezzosangue: la quiete fra le tempeste del quinto e del settimo capitolo
Nel sesto capitolo allora, si fa preponderante la necessità di tornare a respirare. Harry ha bisogno di metabolizzare il ritorno del Signore Oscuro e la morte di Sirius Black, poiché sullo schermo non ha ancora avuto modo di farlo. Contemporaneamente Hogwarts e i suoi studenti non possono far altro che continuare a vivere normalmente, in attesa dell’inevitabile epilogo. La Guerra sta arrivando ma ancora si è in una strana fase di quiete in cui si sente solo elettricità nell’aria.
E questo aspetto si nota, espressamente, nella fotografia. Bruno Delbonnel, il DOP, immerge infatti Hogwarts in un’oscurità bluastra, anche nelle scene apparentemente più allegre e distese. È un modo per mantenere una tensione diffusa, anche se poco intensa e priva di picchi. In altre parole, cioè, per gran parte del film non succede quasi nulla di eclatante, ma tutto sembra avvolto in una bolla di sospensione irreale, in attesa che la brutalità del mondo fuori da Hogwarts la faccia scoppiare.
Da un punto di vista strettamente cinematografico, Harry Potter e il Principe Mezzosangue è una necessaria pausa da duelli e combattimenti, poiché nei successivi due film ne vedremo ripetutamente. Su cosa può soffermarsi allora? Su qualcosa che, a otto anni dal primo film, è diventata di nuovo necessaria: la caratterizzazione dei personaggi.
Giunti al penultimo anno di scuola, tutti quanti i personaggi sono ormai diversi, più ricchi e più complessi. E per la prima volta nella saga, la regia si dedica più alla loro descrizione – in situazioni semi-normali e quotidiane – che alla narrazione di una missione. O meglio, la missione di Harry Potter c’è ma si inserisce all’interno di questo nuovo viaggio alla riscoperta dei volti che popolano Hogwarts. Il nostro protagonista deve solo, infatti, entrare nelle grazie del Professor Lumacorno e farsi confidare i veri ricordi riguardanti il giovane Tom Riddle. Tutti gli altri personaggi, intanto, riescono finalmente a vivere un anno scolastico come degli ordinari adolescenti.
Tutto quello che accade dopo, dalla grotta in poi, fa parte della missione di Silente, non di quella di Harry e sembra quasi appartenere a un altro film, più che al terzo atto conclusivo. Questo infatti è ciò che forse poteva essere gestito meglio dalla regia, che anziché portare avanti in equilibrio le tre linee direttrici della storia, sembra far piombare l’ultima dal nulla, all’improvviso. Mi spiego meglio.
Harry Potter, Draco Malfoy e Albus Silente
Protagonisti di questo film, infatti, sono ugualmente Harry Potter, Draco Malfoy e Albus Silente, ognuno con un compito da portare a termine. Se dall’inizio abbiamo visto gli sforzi accademici di Harry con Lumacorno e il sospettoso mutamento di Draco, non abbiamo visto quasi nulla di Silente!
Silente è quasi del tutto assente dai primi due atti del film, lontano e altrove, risucchiato da una missione segreta di cui lo spettatore è messo al corrente solo alla fine. Harry, come già detto, deve focalizzarsi sulle lezioni e sui ricordi di Lumacorno, per impadronirsi del vero ricordo sugli Horcrux. Tutt’altra storia invece riguarda Draco Malfoy, che per la prima volta ha una sua storyline.
Gli spettatori più attenti avranno notato come sia lui che Ron fossero stati completamente tagliati fuori dal film precedente e ridotti a comparse. Il Principe Mezzosangue è invece l’unico film che riserva un po’ più di attenzione a questo personaggio, sicuramente reso più affascinante di quel che è nei libri grazie a Tom Felton. Negli anni abbiamo ripetutamente visto un Draco codardo, vigliacco, meschino e banalmente cattivo. Non l’avevamo mai visto, però, così spaventato e sopraffatto. Torturato dal conflitto interiore fra la necessità di seguire le orme del padre Mangiamorte e la paura di oltrepassare un limite morale da cui non c’è più una via di ritorno.
È sicuramente il momento d’oro di Tom Felton, la sua migliore interpretazione in tutta la saga.
Un finale senza chiusura
Il film ritrova un aspetto più familiare, quindi, solo nell’atto finale, quando assistiamo a un seppur breve scontro di forze positive e negative. Prima Harry e Silente contro un nemico invisibile: il sortilegio a protezione del Medaglione (terzo Horcrux). Poi Silente contro Draco e Piton.
La scelta di eliminare, ancora una volta, l’elaborazione di un grave lutto, attraverso l’assenza del funerale di Silente, è una soluzione registica ben precisa. Indica la volontà di non terminare il film con una chiusura, con una riappacificazione dell’anima. Rimane qualcosa di profondamente fuori posto ed è con questa sensazione e con questa sete di risposte che ci affacciamo ai Doni della morte.
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