Tra cinema e videogiochi, un approfondimento sul game designer giapponese

Con l’apertura ormai prossima (il 2 Settembre) della 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, una notizia sembra passata sottotraccia, o almeno, tra la stampa cinematografica.

L’inclusione per la prima volta, all’interno di una giuria, di un soggetto proveniente da un mondo che generalmente è stato sempre stato tenuto a debita distanza dai Festival internazionali: quello dei videogiochi.

Stiamo parlando di Hideo Kojima, l’autore per eccellenza del mondo videoludico che, in questa edizione del Festival, farà parte della giuria Internazione della sezione Venice VR Expandend, dedicata alle opere immersive in realtà virtuale, al fianco di Celine Tricart (vincitrice della precedente edizione) e Asif Kapadia (Oscar 2015 al miglior documentario).

L’annuncio, invece, tra le pubblicazioni di videogiochi, ha avuto molto risalto, perché indubbiamente l’autore giapponese è stato uno dei pochi che ha tentato (ed è riuscito) ad elevare il mezzo, portandolo oltre il mero prodotto ludico e, negli ultimi anni è riuscito ad avvicinarsi sempre più al cinema, ottenendo anche la stima e i riconoscimenti tra i suoi addetti ai lavori.

La Metal Gear Saga

Frame di gioco tratto da Metal Gear Solid V: The Phantom Pain (2015)

Kojima infatti, fin dai suoi esordi, si è imposto come un vero e proprio “autore”, scrivendo e dirigendo le sue opere, ed utilizzando un linguaggio espressivo cinematografico che, nei primi anni della diffusione del videogioco di massa, nessuno aveva osato proporre. E, cosa non da poco, riscuotendo un incredibile successo commerciale.

Campi/controcampi, carrellate, utilizzo di luci a fini drammatici, tutti questi elementi (assieme molti altri che introducevano utilizzi creativi dei controller o delle memory card) sono già presenti nell’esordio su Playstation di Metal Gear Solid, nel 1998, dove emergerà fin da subito la volontà del Game Designer, di utilizzare il videogioco come un mezzo per raccontare e coinvolgere allo stesso tempo il giocatore, in una cruda storia di guerra e spionaggio.

Il personaggio di Solid Snake (nei panni del quale lo stesso autore ha detto che vedrebbe perfettamente Luca Marinelli), creato ispirandosi al personaggio Jena “Snake” Plissken (interpretato da Kurt Russel in 1997: Fuga da New York), avrà un così grande successo che porterà poi alla creazione di una vera e proprio saga, conclusa ufficialmente (o quasi) nel 2015, con la pubblicazione di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, e con il divorzio ufficiale tra la casa di produzione Konami e lo stesso Kojima.

Il riconoscimento cinematografico: Silent Hills (mancato) e Death Stranding

Frame di gioco tratto da Death Stranding (2019)

Il primo accostamento vero e proprio, perlomeno da parte del mondo occidentale, tra l’autore giapponese e il mondo cinematografico, paradossalmente avviene in senso opposto, quando nel 2014, viene annunciata una collaborazione tra Kojima e il regista Guillermo del Toro per l’uscita del nuovo capitolo di una saga videoludica altrettanto famosa, Silent Hill.

Anche se il progetto sarà cancellato un anno dopo (e del quale l’unico lascito sarà la distribuzione di una demo ambientata in un casa, che si trasformerà presto in un labirinto onirico), principalmente a causa dei cattivi rapporti con Konami, il progetto porterà Kojima ad avvicinarsi ad autori ed attori occidentali.

Ed infatti, nella sua ultima fatica Death Stranding (2019), che ha letteralmente catturato, sin dal suo annuncio, tutta l’attenzione della stampa specializzata per più di 4 anni, sono innumerevoli le presenze catturate in motion graphic.

A partire dal protagonista, interpretato da Norman Reedus, per poi passare a Mads Mikkelsen, Léa Seydoux (La vie d’Adèle, The Lobster), Margaret Qualley (The Leftovers) ed inserire, anche se non doppiati ed interpretati da loro stessi, dei registi, come lo stesso Guillermo Del Toro ma anche Nicolas Winding Refn (che successivamente ringrazierà facendo interpretare a Kojima il ruolo di un assassino nella serie Amazon Video Too Old to Die Young).

La corda e il bastone

Guillermo del Toro e Norman Reedus in un filmato in CGI tratto da Death Stranding (2019)

«Il bastone è stato il primo strumento creato dall’umanità per mettere una distanza tra sé e le cose minacciose, per proteggersi. Il secondo strumento creato dall’umanità è stato la corda. Una corda è usata per legare cose importanti e tenerle vicine»

Citazione di Kōbō Abe nell’intro di Death Stranding

E proprio la corda sarà l’elemento chiave di tutto Death Stranding, videogioco ambientato in un mondo post-apocalittico dove creature mostruose collegate direttamente con l’aldilà ed una pioggia in grado di far invecchiare istantaneamente chiunque ne entri in contatto, minacciano l’umanità. Compito del protagonista Sam Porter Bridges, sarà semplice ma allo stesso tempo pericoloso, trasportare oggetti da un punto all’altro degli Stati Uniti, cercando di creare collegamenti tra le città non ancora distrutte– sì, in sostanza è un videogioco su un corriere Bartolini che consegna pacchi in mondo post-apocalittico.

Trailer d’annuncio di Death Stranding, ideato e montato dallo stesso Hideo Kojima

Death Stranding è indubbiamente l’apice di tutta la produzione di Kojima, dove un gameplay così atipico e apparentemente sottotono è al servizio di una trama coinvolgente che non delude mai, composta da lunghe scene in CGI dal grande impatto visivo, accompagnate da una ricercata scelta musicale (Ludvig Forssell ha composto appositamente un album, ma sono presenti, tra i tanti, brani dei Low Roar, Chvrches e Bring Me the Horizon).

Non resta che la speranza di vedere prima o poi l’autore giapponese alla prova diretta con il cinema (chi sa cosa accadrà dopo il Festival di Venezia) ma l’impressione è che Kojima, anche se in passato ha sempre mostrato un certo interessamento, non farà mai questo passo. Attualmente, il mondo videoludico gli offre infinite possibilità creative e visive ma soprattutto interattive, alle quali difficilmente rinuncerebbe.

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