Il capitale umano Paolo Virzì

Il capitale umano (2013) è una delle opere più importanti di Paolo Virzì, vincitore di ben 31 premi cinematografici, tra i quali il David di Donatello per il miglior film 2014.

Un genere drammatico e noir che punta i riflettori sullo spaccato di una società decadente e amorale nel nostro Paese.

È così che Virzì, placidamente narra di realtà ordinarie, che ad un certo punto, vengono destabilizzate da un flusso di circostanze indomabili, alle quali bisogna essere in grado sopravvivere.

Trama 

Un ciclista viene coinvolto e ucciso in un incidente stradale per colpa di un automobilista misterioso. La narrazione, ambientata in una provincia italiana del nord, si concentrerà sui diversi personaggi della storia, che in qualche modo hanno avuto a che fare con il triste accaduto.

Un thriller nella trama e nelle emozioni

Uno scenario che si tinge di giallo, misteri nella trama, così come nelle emozioni suscitate. Il regista toscano non ha mai avuto riserve nel mettere in scena i lati più profondi e torbidi dell’essere umano. Lo fa avvalendosi di uno spettro di ambivalenze continue che conducono ad una disamina sul ruolo della coscienza, nelle dinamiche tangibili e quotidiane di ognuno di noi. Un realismo attuale, effettivo, concreto, che si fa spazio nel bipolarismo dell’intelletto

Se Paolo Virzì racconta una storia, il grande pubblico è chiamato immediatamente a riflettere su come avrebbe agito di fronte alla medesima circostanza. Un cinema di questo tipo non è dispotico, ma educativo

Il capitale umano pone sulla bilancia dell’esistenza, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, lasciando al libero arbitro degli uomini, l’ardua sentenza. Nulla è determinato dal fato, tutto è rimesso nelle mani e nelle scelte dell’uomo.

Cos’è bene, cos’è male? È tutto stabilito dagli stati d’animo che si vivono in un esatto momento, e dalle relazioni interpersonali, più o meno fragili, che si riescono a coltivare durante la propria vita.

Nell’opera di Virzì, il concetto di giustizia onnisciente viene spazzato via da quello di giustizia privata che incombe su ogni individuo. In una società nella quale vi è una decadenza dei sentimenti, non può esistere il bene assoluto. Esiste esclusivamente un bene relativo, che funge da palliativo per alleviare le colpe e i peccati.

Quanto vale la vita di un essere umano?

La domanda che ci si pone dopo aver visto questo film è: “Quanto può valere la vita di un essere umano?”. Un tema delicato, che incute timore. 

L’idea che una vita possa essere monetizzata è aberrante e immorale; un valore monetario, lasciato totalmente al servizio del degrado emotivo e intellettuale, che qualifica la vita di un uomo, in base alla sua condizione sociale e al suo andamento in borsa.

Il  leitmotiv della decadenza, presente nel film, risale attraverso una serie di sentimenti angoscianti, minacciosi e spettrali, che vengono nutriti non solo dai personaggi, ma anche dallo spettatore.

La moralità distorta e agghiacciante, che conferisce “valore” e “valuta” alla nostra vita, è figlia di una realtà odierna, che ha ripristinato erroneamente la scala dei valori etici. Una dimensione totalmente deteriorata, nella quale il personaggio, vale più della persona, il corpo più dell’anima e un pacchetto azionario, più di una vita.

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Annamaria Martinisi
Sono il risultato di un incastro perfetto tra la razionalità della Legge e la creatività del cinema e la letteratura. La mia seconda vita è iniziata dopo aver visto, per la prima volta, “Vertigo” di Hitchcock e dopo aver letto “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Mi nutro di conoscenza, tramite una costante curiosità verso qualunque cosa ed il miglior modo per condividerla con gli altri è la scrittura, l’unico strumento grazie al quale mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto.

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