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Jimmy Page with Robert Plant 2 - Led Zeppelin - 1977.jpg" by Jim Summaria, http://www.jimsummariaphoto.com/ su licenza CC BY-SA 3.0

Quanto è strano il destino. Scherza con le nostre vite e noi neanche ce ne accorgiamo. Ci illude, a volte, che ci sia un senso nelle sue traiettorie. Poi ci tradisce e dà la colpa al caso. Però a volte è bello fidarsi del destino, continuare a credere che il senso esista, anche di fronte alla sua razionale negazione. Per questo abbiamo creato tante cose, come l’arte.

Così è bello convincerci che due giorni consecutivi possano costringere al loro interno undici anni. 11 anni di musica. E che musica. Questi due giorni sono esattamente l’11 e il 12 agosto, e gli undici anni partono dal 1968 e finiscono nel 1979. La musica è quella dei Led Zeppelin

12 agosto 1968

A Londra, nella seconda metà degli anni ’60, c’è un gruppo per il quale passano i migliori musicisti blues dell’Inghilterra. Si chiama Yardbirds, e più che una band, forse, è quello che oggi chiameremo un “collettivo”. Ci sono passati, e continuano a passarci senza mai abbandonarlo del tutto, chitarristi come Eric Clapton e Jeff Beck

Nell’estate del 1968 a tenere in mano la chitarra e le redini degli Yardbirds è Jimmy Page. Insieme al bassista Chris Dreja, Page si propone di rimettere su il classico quartetto rock per un tour autunnale e i due iniziano la ricerca di un cantante e di un batterista. 

Proprio in quei giorni d’estate a Londra si stanno spargendo voci a proposito di un cantante di Birmingham: pare abbia una voce incredibile capace di trasformare il blues in qualcosa di mai ascoltato prima, infondendogli una potenza fino a quel momento impensabile. Si chiama Robert Plant

Page arriva fino a Birmingham per vederlo esibirsi e capisce subito che è quello che sta cercando. I due si conoscono e si chiudono nella casa galleggiante sul Tamigi di Page e restano lì dentro per diversi giorni ascoltando musica e confrontando le loro reciproche idee su di essa. 

Quando escono sembrano aver tutto chiaro: i Led Zeppelin e la musica del resto del secolo iniziano lì.

Nel frattempo Dreja sceglie la carriera di fotografo lasciando il posto di bassista vacante. Ma Page ha già in mente chi lo sostituirà: si chiama John Paul Jones, già di passaggio nel “collettivo” Yardbirds.

Nel frattempo Plant sa perfettamente a chi affidare il ruolo forse decisivo per il sound che lui e Page hanno in mente: John Bonham, un batterista che sta dedicando la sua vita al tentativo di trovare la giusta alchimia sonora tra maniacale perfezione e selvaggia potenza. 

I quattro si ritrovano per la prima volta insieme al civico 39 di Gerard Street, a Londra, nello scantinato di un ufficio postale. Quando entrano, devono farsi spazio l’uno sull’altro per trovare posto e piazzare gli amplificatori. Ma poi iniziano a suonare e non c’è niente che abbia più importanza, perché quel 12 agosto 1968 inizia la musica dei Led Zeppelin.

11 agosto 1979

Da quello scantinato, si spostano in Danimarca per una serie di concerti nel settembre di quello stesso 1968. Di questo tour ne abbiamo parlato qualche tempo fa, sulle pagine sempre vive di Framed Magazine. E dalla Danimarca, i Led Zeppelin entrano direttamente in studio per registrare, in trenta ore, il primo epocale album della loro carriera. 

Passano gli anni, la loro musica suona sempre più potente, i Led Zeppelin entrano nell’Olimpo del rock e di diritto diventano rockstar. Con tutto ciò che implica essere delle rockstar. Aumentano le pressioni, i tour diventano interminabili e i concerti si accavallano sfibrando le energie. Tutti si rende accessibile e lecito: gli eccessi, il sesso, le droghe, l’alcol. Ma anche clamorosi drammi esistenziali, come quello che colpisce Plant nel 1976. Durante la tournée del settimo album, Presence, la band è raggiunta dalla tragica notizia della morte del piccolo figlio del cantante.

Led Zeppelin Presence by vinylmeister su licenza CC BY-NC 2.0 Copy

Plant medita sull’abbandono della band, di fatto, lascia le scene fino all’anno successivo, quando a fatica rientrano in studio per registrare In Through the Out Door.

I Led Zeppelin si riprendono la scena live soltanto nell’agosto del 1979, quando programmano un concerto in terra natia, a Knebworth. Per prepararsi all’evento, la band sceglie di esibirsi prima in quella Danimarca che undici anni prima aveva fatto capire loro tutte le incredibili potenzialità del progetto che avevano iniziato. Un porto sicuro, insomma.

Ma non abbastanza per fare in modo che il ritorno in Inghilterra sia un successo. Mentre i brani leggendari della band si susseguono, Plant, Page, Bonham e Jones si guardano perplessi dalla loro stessa esibizione. Il pubblico in delirio non riesce a sovrastare la debolezza che percepiscono, e che non gli è mai appartenuta. 

È l’11 agosto del 1979 e i Led Zeppelin abbandonano il palco con la convinzione che torneranno a suonare in Inghilterra solo quando saranno davvero pronti. 

E invece non ci torneranno mai.

Il gioco del destino 

È quel tremendo gioco che ci tira il destino, d’altronde. Quello che ci impedisce di mantenere una promessa, soprattutto se la facciamo a noi stessi.

Perché un anno dopo, nell’estate del 1980 i Led Zeppelin travolgono il pubblico europeo in un tour incendiario che fa dimenticare ogni problema passato. Ma non passano per l’Inghilterra: forse pensano di dover superare un ultimo enorme ostacolo prima di sentirsi del tutto pronti a tornare ad esibirsi a casa, gli Stati Uniti. È lì che andranno nell’ottobre di quel 1980. È lì che dovrebbero andare, almeno. Perché quel tour non lo inizieranno mai: il 25 settembre del 1980, infatti, Jonh Bonham viene trovato senza vita in una stanza della villa di Page dove la band stava provando. 

Ma questa è un’altra storia che vi abbiamo già raccontato. In mezzo c’è sempre il caso, oppure, che ci crediamo o meno, il destino.

Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.

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