Il principe cerca moglie avrà un seguito e già sappiamo che sarà qualcosa di completamente diverso.
C’è una trepidante attesa da quando è stato annunciato il sequel di uno dei film cult degli anni ’80: Il principe cerca moglie (Coming to America, 1988). Verrà lanciato il 5 marzo direttamente sulla piattaforma Amazon Prime Video e si intitolerà ll principe cerca figlio (Coming 2 America).
Cosa aspettarsi? Sarà sempre una commedia degli equivoci, con variazioni sul tema e attori con qualche anno in più, ma per il resto qualcosa di completamente diverso.
Perché? La cinematografia degli anni ’80 (soprattutto quella statunitense) si avvale di uno stato chimerico che mette in scena una lunga serie di elementi “proibiti” facendoli passare come “esilaranti”. Sessismo, maschilismo, omosessualità schernita, rientrano all’interno di uno schema costante di film che oggi non potrebbero più essere prodotti.
Continuano a far ridere? Assolutamente sì. Sono da censurare? Assolutamente no, poiché sono prodotti culturali che esigono una storicizzazione per poter capire una decade dell’intrattenimento carica di eccessi e scorrettezze, ma anche di un senso dell’ironia che continua a divertire proprio per il suo essere politicamente molto scorretto. A differenza di oggi, in cui si cerca spasmodicamente di rimediare al passato senza nuove idee.
In questo senso Il principe cerca moglie, scritto da Eddie Murphy e diretto da John Landis, fa un passo in avanti: ha tutto ciò che ci si aspetta, ma il protagonista esige una rottura delle consuetudini, e si rifiuta di sposare una donna che vuole solo compiacerlo per una che sia indipendente (e che non lo sposi solo perché è il figlio del Re).
Il principe cerca moglie
Il film del 1988 ha come protagonista il principe Akeem (Eddie Murphy), erede al trono di Zamunda, regione africana inventata che si presenta con fondali dipinti degni di una fiaba. Il ragazzo non riesce a sottostare al futuro programmato che i genitori hanno pianificato per lui, a partire da un matrimonio combinato. Vuole scardinare le tradizioni e trovare una donna che non sia stata cresciuta solo per compiacerlo.
“È tradizione che i tempi cambino”
Pur cedendo alla messa in scena pop che rasenta gli orrori del sessismo radicato e del maschilismo giustificato. Vi spiego perché nonostante questo risulterà meglio del sequel in arrivo.
1 – Il sesso e il ruolo (subalterno) della donna
Già nei primi minuti capiamo l’importanza del ruolo maschile, un principe unico erede al trono, e la condizione femminile: ogni donna sulla scena è costretta a servirlo. Le prime sono le “lavatrici”: un gruppo di giovani ragazze con acconciature che ricordano dettagli egizi e il seno scoperto. Fanno il bagno al principe sottolineando il lavaggio del “pene reale”, che sottintende legami con il sesso che non vediamo ma ipotizziamo. Poi ci sono le “infioratrici”, addette a spargere petali di rosa al passaggio del ragazzo.
L’altra donna, importantissima, è la regina. Ricca e venerata ma comunque piegata ad insieme di regole che le impongono di occupare un ruolo inferiore nei confronti del Re.
Il sesso, verso cui Akeem pare distaccato, continua ad essere al centro delle possibilità femminili anche durante la presentazione della sua promessa sposa. La donna entra in scena in seguito ad una danza d’apertura (coreografata da Paula Abdul) tribale, selvaggia, carnale, che esibisce un primitivo contatto col corpo che i nobili spettatori tendono a rifiutare (ma solo in pubblico).
La presentazione della futura ragazza è affidata all’inno intonato dall’uomo di fiducia del sovrano, che vi riferirò nella versione italiana.
“Sarà la vostra principessa, poi regina prosperosa, che farà qualunque cosa vostra altezza chiederà. Sarà la vostra principessa, visione di perfezione. Oggetto di tentazione per ogni vostra depravazione, meno male priva di ogni infezione, da usarsi a vostra discrezione, attende solo la sua deflorazione”.
È un motivetto che fa sorridere solo finché non se ne comprendono del tutto le parole. Nella versione originale il termine “deflorazione” (che probabilmente anche nel 1988 doveva essere proibito in sede di doppiaggio) è sostituito a “direzione” (“in attesa solo della vostra direzione”) mentre “depravazione” a “fuoco reale”. Nel senso cambia ben poco.
Ad allentare la tensione interverrà Akeem ponendo delle richieste alla donna di natura comica, chiedendole di imitare un cane, o una scimmia. Con un inconfondibile sguardo in macchina Eddie Murphy si girerà verso lo spettatore con un intervento spesso presente nei film di Landis che sembra faccia dire ai suoi personaggi : “Cosa sta succedendo”? Ristabilendo un’intesa con chi guarda, distaccandosi dalla manifesta denigrazione della femminilità mostrata dal primo momento.
2 – Transfobia al bar
Akeem e il suo amico Semmy (Arsenio Hall) si recheranno a New York, nel Queens, per trovare una donna che diventi regina. Ma anche lontani dall’Africa non cambia la proposta di stereotipi femminili, perlopiù negativi, incontrati al bar. Donne aggressive, opportuniste, sessuomani ed egocentriche. E nel gioco di rivestire anche altri ruoli nel film (i due attori interpretano anche altri personaggi come il reverendo o i barbieri) la figura di un transessuale che nasconde il volto di Arsenio Hall.
Il risultato dovrebbe essere comico, ma nel 2021 ci fa capire come gli stereotipi abbiano sofferto di una lunga “tortura” mediale prima di uscire allo scoperto come privi di bizzarre attitudini e risvolti ironici, per un pubblico, inoltre, prevalentemente maschile.
3 – Il raduno per la consapevolezza nera
“Black Awareness Week” è il raduno in cui Akeem incontra Lisa, la sua intelligente e indipendente futura sposa. Ma nella traduzione italiana si trasforma in “Raduno per la consapevolezza negra”, sfruttando una terminologia che già in quegli anni iniziava ad essere bandita. Il problema si ripresenta anche quando Eddie Murphy, nel gioco dei doppi ruoli, si trasforma in un italoamericano bianco. In entrambe le versioni (originale e doppiata) il film non fa che giocare con il “politicamente scorretto” (già a partire dal titolo). L’autore è un afroamericano che ironizza sugli stereotipi, facendone una critica in una realtà in cui è difficile proporre qualcosa di diverso.
Landis e Murphy
I due hanno realizzato tre film insieme (e per questo si racconta che ci siano state non poche incomprensioni sul set), Una poltrona per due, Il principe cerca moglie e Beverly Hills Cop III – Un piedipiatti a Beverly Hills III.
John Landis è un regista pienamente immerso e a suo agio nell’estetica degli anni ’80. Tutti i suoi film, comici, musical o horror che siano, sono profondamente pervasi di quel gusto per l’eccesso che spesso va a braccetto con la riflessione nostalgica del protagonista. Dal suo primo grande successo, Animal House, a Una poltrona per due, che vediamo ogni Natale conoscendone tutte le scene ma che a pensarci bene utilizza un linguaggio e un trattamento delle minoranze che, con gli occhi di oggi, fa rabbrividire.
Molto sta anche nel doppiaggio italiano, dove il termine “negro” è frutto di un’epoca storica ancora tutta da riconsiderare. La traduzione problematica si riscontra anche nel titolo che da Coming to America diventa Il principe cerca moglie (non solo il pubblico statunitense era affezionato a determinate arretratezze). Ciò che fa Landis però è sempre rivolto ad un superamento dei cliché, mostrando l’assurdità del razzismo e del sessismo seppure adeguandosi al sovraccarico di nudi femminile e alle battutacce: ciò che opera è una critica profonda, sfruttando il linguaggio più consono per il pubblico dell’epoca per scardinare i preconcetti e proporre una psicologia dei personaggi più approfondita.
1988/2021
Come è possibile che dopo tutto questo il film del 1988 risulti a prescindere più autoironico e piacevole del seguito? Perché quando al “politicamente scorretto” degli anni ’80 si prova a far “fare il giro” l’effetto è sempre qualcosa che dia solo l’illusione di divertire. Ed è per questo che un film come Il principe cerca moglie ci fa ancora ridere, e, a suo modo, gode di un’eleganza particolare e irripetibile.
Il tentativo di rileggere il “presente” proposto nel 1988, con tutti i luoghi comuni del tempo, si appiattisce in una sterile seconda rilettura nel 2021. Ed estremizzare qualcosa di già borderline di per sé non è mai la scelta giusta per un sequel.
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