Daniele Coletta Intervista - Red&Blue

Continua il nostro format, breve ed essenziale, per entrare nel mondo di musicisti e cantautori italiani contemporaneri. Tramite l’ufficio stampa di Red&Blue, abbiamo avuto l’occasione di porre alcune domande a Daniele Coletta, conosciuto soprattutto per essere arrivato alle finali di XFactor nel 2012. Ha da poco pubblicato un singolo intitolato Tasto rotto.

Chi è Daniele Coletta? 

Un ragazzo di 29 anni che sogna, viaggia e canta. Positivo, ottimista e buono.

In che contesto sociale e culturale nasci e cresci?

Nasco e cresco a metà tra due generazioni. Quella delle vere aspirazioni, dei sogni, dei dialoghi, e quella dei social media, di Internet, del successo facile, della semplicità nel fare tutto.

L’avvento dei social media e tutto ciò abbiamo oggi è iniziato quando io avevo già 18 anni. La mia adolescenza è stata libera e reale. Credo che chi non abbia avuto questa stessa fortuna sia molto penalizzato. Faccio parte di quella generazione che sì, ok, magari è dipendente dal cellulare ma che se non ce l’avesse o se da un giorno all’altro perdesse tutti i propri followers non ne farebbe un dramma, anzi al massimo, per la noia, non rifarebbe tutto daccapo. Quella generazione che se arriva il successo è perché l’ha sudato a suon di gavetta e studio. 

Cosa immagini saresti stato se non fossi stato un musicista?

Non riesco ad immaginarmi altro. Forse assistente di volo, mi piace viaggiare e quello è un buon modo per farlo. 

Perché fai quello che fai? Da quale bisogno della tua vita nasce la tua musica?

Sembrerà scontato ma non c’è stato un momento preciso o un bisogno particolare che ho sentito. Ho sempre amato cantare. Sì, forse la musica è stata la mia voce tante volte quando non sapevo o non riuscivo a parlare, ma farlo mi è sempre venuto naturale e mi sono sempre sentito a mio agio. Ho iniziato da giovanissimo e non ho mai smesso, quindi, inconsciamente ho sempre voluto fare musica.

Cover del singolo Tasto rotto – Daniele Coletta – Courtesy of Red&Blue Music Relations

Quanto e in che modo il tuo stile musicale è legato a questo bisogno?

Lo stile che canto è lo stile che rappresenta più Daniele in un determinato momento. Si può cambiare, fare uno stile sempre diverso, evolversi o tornare alle origini. Oggi canto uno stile che mi piace e che mi fa sentire a mio agio.

C’è qualche grande artista al quale ti ispiri?

Freddie Mercury è il mio idolo da sempre. Quello che ha fatto è rimasto nella storia. È stato un grande esempio di estro, talento, coraggio e forza.

Cosa ti distingue da lui e dagli altri?

Da Freddie Mercury? Forse non ho capito la domanda, ma nessun vero artista, colui che vive davvero per fare musica, è uguale ad un altro. Ognuno ha il suo mondo, canta o suona il suo messaggio, che non può essere quello di un altro. Non mi piace fare paragoni comunque. E non potrei mai paragonarmi a Freddie Mercury neanche se volessi.

Qual è il brano nella Storia della musica che avresti voluto scrivere tu?

Musica Internazionale, Bohemian Rhapsody. Musica Italiana, Sally.

Quale quello che vergogneresti di aver scritto?

Il pulcino Pio probabilmente? Ma anche quello sarà nato per una ragione ben precisa.

Per scoprire altri protagonisti della scena italiana contemporanea, continuate a seguire la nostra rubrica I’M OPEN, COME IN, nella sezione MUSICA!

Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.

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