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Per la nostra rubrica dedicata agli incontri con giovani talenti del panorama musicale italiano, parliamo oggi con Oana: alcune essenziali domande per iniziare ad entrare nel suo mondo.

Chi è Oana?

Una delle domande più ricorrenti, ho sempre risposto in maniera sbrigativa, citando Pirandello “una, nessuna, centomila”, in effetti così è. Mi piacciono poco le etichette, però per voi, e solo per voi, farò lo sforzo intellettuale di cercarmi una collocazione… Oana è una persona che si fa un sacco di domande perché vorrebbe capire le dinamiche che regolano le azioni sue e del mondo, con risultati ovviamente fallimentari.

In che contesto sociale e culturale nasci e cresci?

Nasco in un contesto davvero duro, cresco con l’idea di dover lottare per prendermi quello che mi spetta. Non voglio fare del vittimismo, perché alla fine sono riuscita a diventare una persona non così spregevole e di questo mi posso vantare: ho una mente attiva e pensante e cavoli, chiamalo poco.

Cosa immagini saresti stata se non fossi diventata una musicista?

Bella domanda…  La verità è che il mio lavoro da musicista è finanziato da altri lavori (anche da non musicista) sono la Mecenate di me stessa. Sarei potuta essere qualsiasi cosa, ma credo di essere nata per comunicare con le persone, mi nutro di confronti, sono affamata di menti raffinate e di ego smisurati. Se la musica non mi avesse scelta, qualche altra tra le arti lo avrebbe fatto.

Perché fai quello che fai? Da quale bisogno imprescindibile nasce la tua musica?

Come dicevo, nasce dalla volontà di arrivare a quelle persone alle quali nella quotidianità non arriverei. Forse è un gesto egoista o più semplicemente la ricerca di conforto, il bisogno di essere capita ed accolta, o meglio ancora il bisogno di sentirmi meno sola ecco.

Oana – Conza Press

Quanto e in che modo il tuo stile musicale è legato a questo bisogno?

Chiaramente tantissimo, non stiamo parlando di musica sperimentale, ma nemmeno di musica così popolare, la volontà di “essere scelta” è evidente e anche prepotente.

C’è qualche grande artista al quale ti ispiri?

Infiniti. Ma forse, la voce ed il modo di cantare di Chet Baker, mi hanno segnata sicuramente. Concettualmente invece anche il super discusso Kanye West mi ha lasciato molte tracce di sé, per il suo ego a volte così pieno e altre cosi fragile, per il suo essere inetichettabile e provocatorio, ecco mi sento spesso così ed avere un “testimonial” che serve le sue contraddittorietà in tutta la loro bellezza, non può che giovarmi e farmi sentire appunto meno sola. Musicalmente invece ricerco la perfezione stilistica di James Blake, artista e cantante e producer incredibile.

Qual è il brano nella Storia della musica che avresti voluto scrivere tu?

Il primo che mi viene in mente è Sun Forest di Nick Cave, ma sicuramente, riflettendo più a lungo ne troverei altri cento.

Quale quello che ti vergogneresti di aver scritto?

Eh ma che bella provocazione, però mi devio verso l’America (ahaha). La butto lì, tanto non mi conosce né lo saprà mai: Dance Monkey di…… (?) Va bè, lei. Veramente la canzone più odiosa di sempre.

Potete trovare il disco di debutto Oana, I FIORI DEL MALE, uscito il 9 febbraio 2021, su SPOTIFY.

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Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.

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