Inland Empire - David Lynch, BiM Distribuzione
Inland Empire - David Lynch, BiM Distribuzione

Ultimo lungometraggio di David Lynch: contorto, folle, incompleto, Inland Empire è un capitolo finale che lascia molte porte aperte, consacrando però la distorsione “immorale” dell’estetica di un genio.

Il senso è relativo, perché ciò che sto guardando non fa altro che sfidare la mia comprensione. E la distorsione delle forme e del corpo, che si slabbra nelle multidimensioni architettate da Lynch, comunica il terrore di perdersi dietro alle quinte delle apparenze.

Non dimenticherò mai la paura viscerale provata alla vista del volto distorto di Laura Dern, dove poco a poco si delineano proiezioni demoniache provenienti dal mondo dell’invisibile. Inland Empire è l’affascinante e delirante compendio per tutti coloro che adorano David Lynch. Il suo gioco perverso, che attraverso la composizione registica e narrativa trae in inganno i sensi, suscita une perseverante incertezza.

Accoglienza/Rigetto

Non tutti hanno apprezzato il film del 2006, presentato a cinque anni da Mulholland Drive. La confusione stilistica e la sfida all’intellegibilità, qui portate al limite, sfidano l’eccesso. Nonostante la compresenza di piani temporali e di linee narrative che si “sciolgono” in un magma caotico, il film raccoglie però i dettami affascinanti di una visione unica, e per questo divide il pubblico.

Torna l’incubo di Hollywood e il pedinamento (fisico e morale) dei suoi protagonisti così incompleti e parzialmente consapevoli. Fa incursione l’eco della serialità, posta come “altro mondo parallelo” e complementare (l’inserimento di scene da Rabbits, collegate alle vicende dominanti). La molteplicità dei registri si riassume nel labirinto i cui Lynch spinge lo spettatore, fino a “pugnalarlo” con l’immagine temuta, rivelata.

L’immagine terrificante

Dopo Velluto blu (1986) e Cuore selvaggio (1990), l’attrice Laura Dern torna ad essere materia malleabile per il regista, che ne sfrutta l’espressività lasciando che ne emerga una trasformazione paurosa e indelebile. Complice il lavoro sul sound design, la deriva orrorifica del volto dell’interprete amplifica il terrore provato con la rivelazione nel retro del ristorante Winkie’s in Mulholland Drive.

Per Lynch la paura è esibizione perturbante, dal senso più intimo di Unheimliche teorizzato da Freud, in cui tratti conosciuti convergono nella mostruosità dell’ignoto. Per questo Inland Empire aggredisce, per poi conquistarsi un posto eterno nell’angolino della memoria con i suoi frame che esistono oltre l’analisi.

Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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