Diviso tra serialità, cinema e musica, Andrea Bruschi, di origini genovesi, è un artista a cui interessa raccontare storie. La sua carriera musicale comincia agli inizi degli anni ’90, ad oggi ha pubblicato tre album in studio con il suo progetto musicale, Marti, ricco di ispirazioni cinematografiche sin dai primi videoclip.
Nel cinema esordisce con i cortometraggi diretti dall’amico Lorenzo Vignolo, che sono Insert Coin (1995), Dove (1996) e Senza piombo (1997), e compare anche nel cast del suo lungometraggio 500! (2001). Negli ultimi anni ha recitato in Chiara di Susanna Nicchiarelli (2022) e Ferrari di Michael Mann (2023).
Parallelamente vive la grande evoluzione degli ultimi venticinque anni della serialità italiana recitando in prodotti come Squadra Antimafia, all’alba di un modo nuovo di ripensare l’intrattenimento televisivo, passando poi a serie come 1992 e 1993, ma anche I Medici, e Il nome della rosa, e recentemente M. Il figlio del secolo (disponibile dal prossimo 10 gennaio su Sky).
Lo possiamo vedere attualmente sia ne La legge di Lidia Poët che ne L’imperatrice (Die Kaiserin, serie anglo tedesca sulla principessa Sissi), serie entrambe disponibili in streaming su Netflix.
L’intervista
Tra i tuoi ruoli più recenti, due opere in costume, entrambe per Netflix, con grandi protagoniste femminili e una produzione invidiabile: La legge di Lidia Poët e Die Kaiserin.
Sono molto contento di aver preso parte a queste due serie, che considero importanti, e che stanno avendo tantissimo riconoscimento. Credo sia totalmente meritato, e questo perché racchiudono una grande cura, che parte dalle storie che raccontano, per poi arrivare a tutto il resto, come i costumi magnifici, le scenografie.
È come se fossero due lati di uno stesso prisma, quello di serie di qualità prodotte in Europa, e che poi conquistano successo in tutto il mondo. In molti mi scrivono, da tutte le parti del mondo, e questo significa che le stanno veramente guardando, e che si sono appassionati a farlo. Entrambe vantano produzioni curatissime. Entrambe si staccano da molte serie in costume che si possono vedere ad esempio sulla TV generalista.
In Die Kaiserin, nonostante comparissi in un solo episodio, abbiamo fatto tantissime prove, prima a tavolino, e poi con i protagonisti, non è detto che questo sia possibile sempre. Inoltre gli sceneggiatori e la showrunner, Katharina Eyssen, erano spesso presenti e curavano ogni aspetto della serie. Ho lavorato con attori giovanissimi e veramente molto bravi, trovando una grandissima disponibilità. Abbiamo girato ad ottobre, agli studi di Barrandov a Praga – che insieme a Cinecittà a Roma e Babelsberg a Potsdam sono gli studi più importanti del continente – a abbiamo iniziato la preparazione ad agosto. La première c’è stata proprio lo scorso autunno a Berlino, mentre la seconda stagione di Lidia Poët è stata presentata alla scorsa Festa del Cinema di Roma.
Parlami di questi due ruoli: il Duca Alfonso Marchisio in Lidia Poët e l’ex soldato lombardo in Die Kaiserin.
Sono due personaggi diversi. Il duca Marchisio è un uomo molto radicato nelle sue posizioni, crede veramente di essere dalla parte del giusto, guardando tutti dall’alto in basso, ed essendo all’interno di questo nuovo sistema che ha creato l’Italia, che la governerà. Ma è anche spesso ironico, come in generale lo è la serie. Facendo un’analisi del personaggio ci si rende conto che non sia una persona così rigida come sembra, infatti acconsente al fatto che il figlio si sposi con la nipote di Lidia.
L’altro personaggio è stato il risultato di una ricerca quasi storiografica. Mi avevano dato tantissime informazioni su di lui, che era nell’esercito lombardo veneto, seguace del Kaiser, che venne ferito perdendo definitivamente la possibilità di usare una gamba. Questo significò per lui uscire dalla gerarchia militare, sviluppando una sorta di ossessione che si riflette poi sui suoi figli. Il più giovane, avanti nella serie, diventa un ribelle totale, crea scalpore a corte, ed è responsabile di un incidente molto grave, che gli costerà la vita.
Tu poi hai una lunga esperienza nella serialità: da Distretto di polizia, RIS, ai Medici e Il Nome della Rosa.
Diciamo che ho fatto la mia scalata, ho iniziato a fare l’attore da giovanissimo, praticamente teenager, in alcuni cortometraggi, in quegli anni non c’erano tante serie TV, e nel tempo ho visto la crescita di questo fenomeno, o comunque il suo ritorno, in modo diverso da prima, in qualche modo ne ho fatto parte, e adesso dopo vent’anni ne vedo i frutti.
Il 10 gennaio esce anche un’altra serie molto importante (e bellissima), ovvero M. Il figlio del secolo, che tipo di esperienza è stata per te?
Quando mi è stato offerto il ruolo del Ministro Liberale, che era poi il ministro che si occupò nel primo governo Mussolini delle autostrade, ne fui entusiasta: volevo veramente far parte di un ensemble di questo tipo, in una serie che credo farà la storia della serialità, rappresentando uno spartiacque. Per la narrazione, la recitazione, la messa in scena, si può parlare veramente di evento televisivo non solo italiano, ma mondiale. È stato un onore parteciparvi.
Che tipo di regista è Joe Wright?
Joe Wright è una forza della natura: ama gli attori, ama la messa in scena, è un regista che ama molto la musica, ad esempio l’opera, ma non solo.
Una cosa che mi ha colpito tantissimo è che Joe Wright mettesse la musica per creare l’ambiente. Il primo giorno sono andato sul set e ho sentito Philip Glass, la sua musica risuonava in una stanza illuminata nella maniera più pazzesca possibile, merito del direttore della fotografia Seamus McGarvey, che ha lavorato anche in Nocturnal Animals e molti altri film. Wright ha alternato anche con pezzi di musica rock, e non a caso la colonna sonora è composta da Tom Rowlands del duo elettronico dei Chemical Brothers.
Per te la musica e il cinema sono legati in modo indissolubile.
Essendo anche cantautore, trovare un regista così musicale è il massimo. Un altro regista con cui ho lavorato, sempre molto legato alla musica, è Michael Mann. Ricordiamo che con Miami Vice, di cui è produttore, ha portato la musica nella serialità. Quando ho recitato in Ferrari gli chiesi di questa sua passione, facendo riferimento al film Strade violente, in originale Thief, il capolavoro con James Caan che avevo visto da ragazzino, con la colonna sonora dei Tangerine Dream. Mann mi raccontò che andò a Berlino a fine anni ’70 per cercare i Tangerine Dream e fargli firmare la musica del suo film, una composizione elettronica, tra le prime forse composte per il cinema.
Nel tuo progetto musicale, Marti, c’è una grande componente cinematografica.
La musica era ed è il mio sangue, è la cosa che mi tiene in vita, la mattina mi alzo e ascolto musica, da subito, se sono a casa mia soprattutto, metto musica in vinile. Come il cinema, la musica è un modo per raccontare una storia, e ho sempre cercato di tenere queste due cose aperte, di essere poliedrico. Sono dei portali, dove accadono veramente le cose.
La componente cinematografica c’è dai primi video che mi lanciarono su MTV, soprattutto September in the rain, che è un omaggio a Le samouraï diretto da Jean–Pierre Melville, che ho ricostruito insieme a Lorenzo Vignolo. Ci siamo conosciuti all’università con Lorenzo, alla facoltà di Filosofia nella sezione di cinema e teatro. Con lui ho fatto anche i primi cortometraggi che in qualche modo ci hanno aperto le porte: è diventato un grandissimo regista di videoclip, ha lavorato con molti artisti, tra cui i Tre Allegri Ragazzi Morti e i Baustelle, anche io compaio in un loro videoclip, Un romantico a Milano. Poi ho fatto anche un pezzo con Bianconi, nel mio secondo disco, Per pochi attimi.
Il mio discorso musicale l’ho sempre portato avanti in maniera esistenziale ma anche progettuale: volevo raccontare delle cose, l’esigenza nasce da questo. La musica mi ha portato anche a vivere a Berlino per tanti anni. Il mio nuovo progetto musicale uscirà nel 2025, si intitola Orchidea, e sarà il mio primo disco in italiano. Un concept album che racconta la storia di un night club del 1950 a Genova, e che conterrà anche un fumetto disegnato da Andrea Ferraris, un bravissimo fumettista.
Hai partecipato anche a Lavorare con lentezza del 2004 diretto da Guido Chiesa, un film forse poco visto ora, poco conosciuto, e invece molto potente per la rappresentazione che realizza.
Guido Chiesa è il regista con cui ho fatto il primo film che mi ha portato a Venezia in concorso nel 2000, Il partigiano Johnny. Conoscevo Guido perché leggevo le sue recensioni musicali, scriveva sulla rivista Rumore, specialmente sulla scena musicale che comprendeva i Sonic Youth. Abbiamo legato dal nostro primo incontro. Per Lavorare con lentezza mi offrì il ruolo dell’avvocato della protagonista, Claudia Pandolfi, che prima è la sua praticante e poi si dedica alla radio. Io accettai immediatamente, perché è un film interessante, che racconta un periodo ancora inesplorato, e lo fa divertendosi, ma anche con grande serietà e accuratezza.
Mi ricorda un po’ quelle riviste degli anni ’70 in cui c’era il fumetto, poi l’articolo importante, di formazione, c’erano le recensioni dei dischi, è strutturato così, e riflette la Bologna di quegli anni, il centro culturale d’Italia. Un periodo in cui c’era Andrea Pazienza, i Gaznevada (gruppo musicale bolognese, N.D.R.), la New Wave italiana, le Valvoline di Igort, che tra l’altro è l’artista che ha realizzato la copertina del mio terzo disco.
Quel momento lì Guido l’ha raccontato alla grande, oggi sarebbe bello avere una serie che raccontasse quell’Italia.
A breve dovrebbe uscire su Prime Video Un mondo fantastico, dove interpreti un musicista sfortunato, puoi raccontare qualcosa in più?
Un mondo fantastico è stato presentato in anteprima al RIFF 2022, dove ha vinto il premio come miglior film italiano, è uscito poi nel 2023 e adesso, a fine 2024/inizio 2025 esce su Amazon Prime. È un film musicale, molto divertente, un road movie su un’amicizia. È la storia di due personaggi che hanno sempre vissuto in maniera rocambolesca. Si ritrovano e l’amore per la musica li mette davanti a determinate cose.
Il mio personaggio è un musicista che vive a Berlino e che viene richiamato in Italia per un lavoro precario in una scuola, e nel frattempo fa dei lavoretti part-time, il primo giorno di questo lavoretto part time di recupero crediti va in un negozio dell’usato, e conosce Graziano, il proprietario, che è indebitato. Iniziano però a parlare di musica. Graziano gli racconta di voler aprire un locale, da lì parte una situazione spericolata per finanziare questo locale, prendere i fondi e fare provini a ipotetici musicisti, che potranno esibirsi lì.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Sto andando proprio a girare un altro film, Le Melodie nel Bosco dei Faggi, un film d’autore di Roberto Lippolis, che nel cast vede attori internazionali, tra cui Nastassja Kinski e John Savage. Si sta girando la prima parte, la seconda verrà girata a marzo. È la storia di un musicista che ricorda il suo passato, negli anni ’40, ma non posso dire di più.
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