Elena Bucci e Marco Sgrosso in

Un primo aspetto, legato al contesto non meno che al testo, colpisce di The Nights, nella lettura (potente) che ne hanno dato Elena Bucci e Marco Sgrosso per questa edizione online di Trend (la rassegna del Teatro Belli di Roma dedicata alla recente drammaturgia britannica). Questo particolare aspetto riguarda proprio il filtro ulteriore e (stra)ordinario di questi tempi, lo schermo del video attraverso cui, per ora dobbiamo fruirlo. Colpisce, e si rende significante, in primo luogo perché il lavoro scritto da Henry Naylor ci parla di assuefazione alla disumanizzazione (patologia comune ad ogni emisfero del globo, viene ben dimostrato). Assuefazione che ha proprio nel filtro del video, (quindi) nella delocalizzazione dell’esperienza, nel distanziamento e nella frammentazione attraverso cui ci arriva quotidianamente l’orrore, uno dei suoi tratti chiave.

Ma qui, grazie anche (e soprattutto) alla performance dei due interpreti, il diaframma dello schermo (o della foto), quello attraverso cui arrivano alla protagonista dello spettacolo (e ci arrivano nel mondo “reale”) decapitazioni, esplosioni, torture (in)dicibili inflitte a prigionieri, viene ecceduto, manomesso, forzato. Più che “bucare” il video, Bucci e Sgrosso lo sfaldano, come nelle letture “dal vivo” sfalda(va)no l’unità di luogo e tempo della scena. Le parole assumono una concretezza visiva, sonora, tattile destabilizzante, (di)mostrando che la parola messa in voce (e in carne) a volte può essere davvero più delle più violente immagini.

La dialettica tra i due attori ha un grado di complessità che va ben oltre quella dell’incontro-scontro tra due: se infatti Sgrosso alterna, moltiplicandosi (con l’ausilio di un cappello, di una pipa e, sempre e comunque, di una vocalità camaleontica) più personaggi maschili, Bucci dal canto suo è solo apparentemente confinata entro la singolarità dello stesso personaggio. Tanto muta ed è incisa dal tempo la sua Jane Fitz Carter, giornalista occidentalista islamofoba da far impallidire La rabbia e l’orgoglio di fallaciana memoria. E a cui però tanto l’incontro con Kane, militare (e collezionista di reperti bellici) dall’oscuro passato in Iraq, quanto i flashback (evocati dalla formula «click con il tasto destro, corsivo per il retroscena») col maestro-collega-amico Foley barbaramente trucidato dall’Isis, conferiscono volti e sfaccettature plurimi nel (e a causa del) tempo.

The Nights -L’Occidente e i ragni-cammello

«Senza verità non può esserci libertà», dice(va) Foley, frase-testamento di un’eredità quasi insostenibile per un (sedicente) Occidente non meno (anzi più) in crisi di identità rispetto al resto del mondo. E forse il limite in cui rischia, a tratti, di impelagarsi l’ordito drammatico di Naylor riguarda proprio la sfida, certo ardua, della verità applicata alla complessità delle questioni politiche: questioni non aggirabili in un testo che ci parla dell’ultimo ventennio di nostre guerre in Medio Oriente e del rapporto che intratteniamo, (anche) come cultura, con esse.

Questioni però, più che asciugate, ridotte da Naylor a un nodo non banale ma fin troppo schematico, quello della lotta ai “mostri” che rischia di trasformarci in “mostri” a nostra volta. Ma può prescindere questo schema dall’interrogarsi (una volta di più) sulle (s)ragioni di un’invasione (quella dei Blair, oltre che dei Bush) che di quel mostro-Isis (qui fin troppo astratto e de-storicizzato, ci pare) ha posto le basi? A subire di più i rischi di tale semplificazione è il personaggio di Foster, rievocata entro un alone di idealismo fin troppo “puro”, parlando di una guerra che con la promozione della libertà (e della verità) non ha mai avuto, fuor di retorica, nulla a che vedere.

Limite in (buona) parte riscattato però, oltre che dalla forza di attrice e attore, dal vigore stilistico di una scrittura che sa essere al contempo materiale e onirica, nella sua crudezza evocativa. Dove i particolari dall’inferno (che si lascia intervistare ma, forse, non scrivere) emergono reali(stici) eppure allegoricamente pregnanti: come quel “ragno-cammello” abnorme, perfetto emblema di una natura predatoria che accomuna gli animali umani di ogni latitudine e fa vacillare ogni civiltà. Più che al reduce dall’Iraq, o alla sposa dell’Isis, o alle molte implicazioni dei conflitti che sottendono, è l’intervista all’abisso dell’animo umano quella che conta (e riesce), in The Nights. Un abisso il cui buio continua, ostinatamente, a guardarci.

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Emanuele Bucci
Gettato nel mondo (più precisamente a Roma, da cui non sono tuttora fuggito) nel 1992. Segnato in (fin troppo) tenera età dalla lettura di “Watchmen”, dall’ascolto di Gaber e dal cinema di gente come Lynch, De Palma e Petri, mi sono laureato in Letteratura Musica e Spettacolo (2014) e in Editoria e Scrittura (2018), con sommo sprezzo di ogni solida prospettiva occupazionale. Principali interessi: film (serie-tv comprese), letteratura (anche da modesto e molesto autore), distopie, allegorie, attivismo politico-culturale. Peggior vizio: leggere i prodotti artistici (quali che siano) alla luce del contesto sociale passato e presente, nella convinzione, per dirla con l’ultimo Pasolini, che «non c’è niente che non sia politica». Maggiore ossessione: l’opera di Pasolini, appunto.

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