Presentato in anteprima all’Ischia Film Festival, Juniper (2021) esce anche nelle sale italiane distribuito da Trent Film.
Nonostante sia passato in numerose arene estive, il film ha fatto fatica ad arrivare al cinema, dove approda con un sottotitolo, Juniper – Un bicchiere di gin, che ne semplifica il messaggio, togliendo quella enigmaticità soave data dalla sola parola Juniper (ginepro). Il ginepro è l’ingrediente presente nel gin che Ruth (Charlotte Rampling), continua a bere quotidianamente come se rispettasse una ricetta non scritta, vivendo come desidera l’ultima fase della sua vita, senza che nessuno le dica cosa fare o come comportarsi. Al suo fianco un giovane inquieto, Sam (George Ferrier), che inizia a fare i conti fin troppo presto con la labilità dell’esistenza.
L’opera prima (e autobiografica) di Matthew J. Saville pone a confronto due generazioni agli antipodi, quella di Sam e quella di sua nonna, ospite a casa del ragazzo e di suo padre dopo essersi rotta la gamba.
Il confronto generazionale
Ispirandosi alla sua esperienza di crescita in Nuova Zelanda, e al vero rapporto con sua nonna, trasferitasi dall’Europa nella casa di famiglia, il regista riesce nella realizzazione di un film staccato dal concetto di dramma o da quello di sentimentalismo, concentrato su alcune delle tematiche più dure da rappresentare; intento a raccontare la morte, come parte imprescindibile della vita, dalla parte di un adolescente problematico che soffre per la perdita di sua madre e una donna che si sta lasciando indietro con lucidità le esperienze incredibili del suo passato.
Il divario tra Sam e Ruth diminuisce quando entrambi capiscono di assomigliarsi più di quanto sembri, di essere in fondo dei testardi intrattabili, nonché temerari e consapevoli della fine di tutto, vicini più che mai negli ultimi momenti della donna, che proprio per stabilire un contatto con suo nipote si fa portare dalla sua infermiera in un paese sconosciuto, lontana da casa.
Un cavallo bianco, il ricordo, continuare a respirare
La morte viene trattata da Saville con coraggiosa trasparenza: la prima perdita con cui Sam deve fare i conti è quella di sua madre, la voragine che lascia è gigantesca, e risucchia il ragazzo in un’apparente declino senza possibilità di uscita. Il ricordo è per lui quasi insostenibile, e questo mette a repentaglio anche la sua sopravvivenza al dolore, poiché di fatto impreparato, fragile.
Dove il cavallo bianco di sua madre è una presenza simbolica, la presenza di sua nonna lo riporta alla tangibilità delle cose, alla possibilità di sfruttare il suo tempo. Le esperienze di vita di Ruth, fotografa di guerra, mai sposata, con una grande passione per la vita, sono per il giovane uno slancio a riconsiderarsi parte del mondo. Torna infatti la morte, presente negli scatti che mostra al nipote, i ragazzi ammassati e senza respiro, ma anche la reazione a questo, l’impulsiva spinta a vivere ad ogni costo.
Il gin che Sam continua a preparare a sua nonna diventa un rito di condivisione e al tempo stesso di ribellione. La ruvidezza del carattere di entrambi si trasforma in una dolcezza ritrovata, una compensazione arrivata al momento giusto.
Sam e Ruth
La coppia formata da Charlotte Rampling, attrice con una ricca carriera cinematografica e televisiva alle spalle (recentemente l’abbiamo vista anche nei due Dune di Denis Villeneuve) e dall’esordiente George Ferrier (attore neozelandese apparso in Kiwi Christmas, Dirty
Laundry e Power Rangers Beast Morphers, e qui ne suo primo ruolo da protagonista), restituisce allo spettatore una sensibilità che va oltre l’interpretazione dei singoli attori, delineando i tratti di un rapporto umano universale, mai preda della lacrima facile.
La solennità con cui i due si confrontano, spesso senza neanche parlarsi, rende l’opera di Saville una voluta decostruzione emotiva, dove i suoni della natura si fondono con la colonna sonora (le musiche di Juniper sono composte da Marlon Williams e Mark Perkins), e il tempo che scorre spietato diventa un alleato per comprenderne le sfumature, le pieghe più nascoste.