La Guarimba è il Posto Sicuro ed è così che ci si sente – al sicuro, a casa – quando si entra a far parte anche per una sola sera di questo Film Festival. Uno straordinario incontro di storie, luoghi e linguaggi diversi che trovano lo spazio per essere ascoltati e compresi. Ve l’abbiamo presentato (qui) qualche giorno fa, ma lo ripetiamo ancora una volta: La Guarimba nasce dall’idea di cinema come atto sociale, come azione e presenza nel tessuto collettivo, anziché escapismo. E lo si percepisce immediatamente. Si è subito investiti dall’energia che muove questo Festival – e l’omonima associazione culturale che lo porta avanti – e ancor di più si è colpiti dalla selezione di opere che ne concretizzano la mission sullo schermo.
Già solo nella prima serata abbiamo avuto modo di comprenderne la portata, attraversando i continenti e le varie forme del racconto, con i primi dodici corti della selezione ufficiale: due videoclip, due documentari, quattro corti di animazione e quattro di fiction. Ne abbiamo scelti alcuni, in grado anche di fotografare la varietà di temi e identità presenti a La Guarimba.
Accamòra di Emanuela Muzzupappa (Italia)
In un festival nato in (e per) la Calabria, non può mancare almeno un’opera in grado di raccontare questa terra così contraddittoria. E farlo nella sua lingua madre. Così Accamòra, che nel dialetto di Reggio Calabria e provincia significa in questo momento, racconta proprio l’amarezza e l’amore profondo per una terra (s)venduta, da cui non si è mai realmente in grado di separarsi. È un lavoro che circola con successo già da un anno, presentato alla Settimana della Critica di Venezia 2020. Un corto dalla regia raffinata, in grado di cogliere e trasmettere tutta la bellezza di un campo brullo in piena estate, con l’odore dei fichi maturi e i versi delle tortore in lontananza. Qualcosa di estremamente familiare – almeno per me che scrivo, e perdonerete questa intromissione – e al contempo lontano. Una poesia di commiato e d’amore.
Girlsboysmix di Lara Aerts (Paesi Bassi)
In soli 6 minuti Lara Aerts riesce a contemporaneamente a raccontare una storia e convincere il pubblico a oltrepassarla, a informarsi attivamente su ciò che mostra. È la storia di Wen Long, una bambina che spiega alla telecamera, con semplicità e schiettezza, cosa vuol dire essere nata intersessuale. Abbandonata in Cina, proprio per questo motivo, Wen Long è stata poi adottata nei Paesi Bassi e la sua famiglia ha scelto di non ricorrere ad alcuna operazione chirurgica, lasciando a lei la scelta, da adulta. Questo le ha permesso di sviluppare una spiccata consapevolezza della sua identità, al di là dello sguardo altrui. Aspetto che forse, più di tutto, colpisce immediatamente spettatori e spettatrici, proprio perché li chiama direttamente in causa.
David di Zachary Woods (Stati Uniti)
Un tema su cui gli Stati Uniti sembrano adesso insistere sempre più in ogni ambito è quello della salute mentale. Lentamente la caratterizzazione degli psicologi e degli psichiatri sta cambiando anche nei media. Non si tratta più di shrinks (strizzacervelli), epiteto negativo con cui venivano spesso identificati nei film e nelle serie tv e, in generale, occupano uno spazio sempre maggiore nella rappresentazione. Ne è un esempio David, che pur essendo un corto comico, trova il modo di affrontare temi delicati come la depressione, la tendenza suicida e, in genere, il bisogno di supporto psicologico. Lo fa inoltre investendo sulla presenza di due volti molto noti, in grado di amplificare il messaggio: Will Ferrell e William Jackson Harper.
Son of Sodom di Theo Montoya (Colombia)
Son of Sodom è uno di quei documentari che aprono porte su realtà a cui noi, da questa parte del mondo, spesso non pensiamo nemmeno. E una volta aperte, sono impossibili da richiudere. Basta una frase o un’immagine ed ecco che quei pochi minuti di girato si scavano un posto profondo nella nostra mente. Come il volto di Camilo che, come tanti ragazzi di Medellín, insegue e raggiunge la morte. Nei suoi 19 anni di vita è tutto ciò che ha visto e conosciuto in Colombia.
Camilo era stato scelto da Theo Montoya come protagonista di un nuovo film: quel che vediamo immediatamente è proprio il suo provino. Un’overdose di eroina l’ha ucciso pochi giorni dopo, lasciando però nel regista una grande fascinazione per questo ragazzo e per ciò che incarnava. Son of Sodom è così un tentativo di ricostruzione di un ritratto a ritroso, dalla morte alla vita, nella speranza di catturare per sempre l’essenza di Camilo. Al tempo stesso è un’indagine sotto la superficie di Medellín, alla ricerca di parole e testimonianze in grado di raccontare il malessere di un’intera generazione.
El Amor Amenazado di Hector Herce (Spagna)
Coloratissimo, sperimentale, tra il pop e il surreale, El Amor Amenazado coglie e stravolge l’essenza della noia, dell’estate in città, dell’attesa e dell’amore. Lo fa raccontando i quattro giorni che separano Álex e Félix dal ritorno di Marga, ragazza di cui i due amici sono entrambi innamorati. Non è il racconto di un triangolo né di una rivalità rancorosa, è più una fantasia sull’amore che colpisce per le scelte estetiche. Prima fra tutte, la dichiarata citazione a Fa’ la cosa giusta di Spike Lee, tra grandangoli sui primi piani (e persino qualche double dolly shot, firma registica di Lee), giornate torride e lo stereo di Radio Raheem. Una divertente sorpresa cinefila che risente anche della formazione del regista Herce nel mondo del videoclip e della moda. Qui di seguito trovate il trailer.
Speriamo di riuscire a portarvi ancora una volta con noi a La Guarimba, ma se nel frattempo siete in Calabria o pensate di andarci, il festival prosegue fino al 12 agosto ad Amantea (CS)!