Bodas de Sangre Carlos Saura

Questo inverno ha portato il freddo di un lutto nel cinema mondiale. Il 10 febbraio è venuto a mancare il grande regista spagnolo, Carlos Saura.

Negli anni ‘80 la sua Trilogia sul Flamenco, composta da Bodas de Sangre, Carmen e El Amor Brujo, ricevette gli elogi della critica cinematografica e contribuì a diffondere nel mondo questo aspetto vitale della cultura spagnola. La presentiamo qui come omaggio a lui e al suo lavoro.

Il suo trittico non è un musical o un documentario, ma un trattato cinematografico sulla danza, la musica, l’amore e la tragedia.

Lo schema della macro-opera

I tre film possiedono, ognuno a modo suo, un duplice livello narrativo. Nel primo questi due livelli sono totalmente riconoscibili e separati. Nel secondo i due livelli sono mescolati in un gioco metanarrativo. Nel terzo invece i due livelli sono appena percepibili.

I primi due titoli non si riferiscono a degli adattamenti come li conosciamo normalmente, ma alle prove di un balletto omonimo che la compagnia esegue. In essi il protagonista maschile è il ballerino Antonio Gades, interprete di una versione fittizia di sé stesso. Nel terzo film invece Antonio è un personaggio dell’opera adattata normalmente.

Nel corso della trilogia si passa da un’asciutta narrazione pseudo-documentaristica a un’elaborazione narrativa sempre più articolata e infine cristallizzata nella forma comune di adattamento cinematografico.

Bodas de Sangre (1981)

Il corpo di ballo di Antonio esegue una prova completa del balletto Bodas de Sangre, adattamento della tragedia omonima del poeta Federico García Lorca. La trama parla di una donna che il giorno delle sue nozze fugge con l’amante, ma quando vengono raggiunti dallo sposo i due ingaggiano un duello dove periscono entrambi.

Minimi i dialoghi durante tutto il film e allusive le canzoni. È il ballo il linguaggio più forte. Veniamo catturati dai passi di danza mentre le chitarre dei musicisti suonano il flamenco. Il realismo documentaristico del primo film è quasi sacro e il virtuosismo registico si sposa con quello danzante. Saura dirige la sua cinepresa con un’attenzione lussuriosa e meticolosa per il ballo. I passi di danza trasmettono un’intensità tragica pari ai versi dell’opera di Lorca.

La scena delle nozze è pervasa da una frenesia sabbatica interrotta sporadicamente da un presagio di disgrazia che si mostra negli sguardi della sposa e dell’amante. E nel duello finale il regista fa giostrare la lenta rappresentazione dello scontro con una regia intensa e vibrante.

Carmen (1983)

Antonio progetta un balletto adattato dalla Carmen di Mérimée, ma deve trovare la protagonista. Insieme all’amico chitarrista Paco (Paco De Lucia), la trova in una scuola di ballo. Con Carmen (Laura del Sol), che si chiama come l’omonima protagonista dell’opera, intreccia una storia d’amore crivellata di bugie.

È un film sulle prove di un adattamento la cui trama viene vissuta dagli attori stessi. Essa esce dal balletto e diventa la loro stessa storia.

Esplode qui la sinergia tra Gades e Saura. Il primo coreografa le scene di ballo in maniera memorabile e la regia del secondo raggiunge qui delle vette di bravura indimenticabili. Nelle scene corali si respira un’epica arcaica e minimalista. La scena della fabbrica di tabacco, in particolare, brilla di un fascino violento e tribale che scuote e cattura lo spettatore. 

Notevoli anche le doti recitative di Gades e di Laura del Sol, qui al suo debutto come attrice, che ci regala una Carmen sfuggente e viva. La pellicola fa vivere il flamenco e nel contempo dipinge un affresco magniloquente, tragico e passionale. Dei tre questo è il più famoso e apprezzato e fu candidato all’Oscar per il miglior film internazionale.

Il ballerino, il regista e il chitarrista

Va segnalata la presenza in questo film di Paco de Lucia, considerato da molti il più virtuoso chitarrista di flamenco e della storia e uno dei migliori suonatori dello strumento del secolo scorso.

Influenzato dal grande Sabicas non solo mantenne vivo all’estero l’interesse per questa musica, ma la mescolò con il fusion e il jazz suonato da altri virtuosi della chitarra, come John McLaughlin e Al Di Meola. Suonò in tutto il mondo, incidendo oltre 40 dischi e lavorando sporadicamente anche nel cinema. Dopo Carmen apparirà nel film di Saura del ‘93, Sevillanas.

El Amor Brujo (1986)

L’ultimo film della trilogia si apre con la chiusura di una saracinesca e la panoramica dell’interno di un teatro. È il solo indizio che avremo del gioco narrativo comune a tutti i film.

Candela (Cristina Hoyos) convola a nozze con José (Juan Antonio Jiménez), ma lei è innamorata di Carmelo (Antonio Gades) e lui di Lucia (Laura del Sol). Durante una rissa Josè muore e Carmelo, addossatosi la colpa, viene arrestato. Candela inizia ad avere visioni del fantasma del marito. Solo la sua sparizione renderà possibile la relazione con Carmelo, rilasciato dopo 4 anni di prigionia.

È un adattamento del balletto omonimo di Manuel de Falla.

Saura, regista e sceneggiatore, e Gades, coreografo, danno vita alle atmosfere gitane dell’opera con un tocco moderno.

Stavolta a emergere come protagonista femminile è Cristina Hoyos, la cui Candela è struggente negli sguardi e nei passi di danza. In particolare nella scena di coppia davanti al falò con Gades.

Il film ha una scenografia elaborata ma che si percepisce essere chiusa in uno studio. È la medesima percezione che si ha in certe scene di alcuni musical degli anni ‘60, come Camelot (1967) e West Side Story (1961), dove si riescono a distinguere i fondali dipinti e i limiti dello spazio usato, immaginando dunque l’intera scena realizzata dentro uno studio di registrazione.

Antonio Gades aveva partecipato nel 1967 ad un adattamento cinematografico del balletto di Falla.

Saura, poliedrico artista del cinema. Dagli albori al decennio della libertà

Carlos nacque a Huesca nel 1932. Dopo l’adolescenza vessata dal conflitto civile, si ritrovò a vivere in un Paese sottomesso alla dittatura franchista. Con La Caza (1965) e Peppermint frappé (1967) il regista espose delle argute analisi sulla situazione sociale che attraversava la Spagna. Eludendo le censure, e senza lasciare la nazione, Saura fece della sua opera un perno di dissidenza. Negli anni ‘70 videro la luce La prima Angélica (1973) e Cría cuervos (1975), affreschi di quella guerra e quel regime vissuti dal regista e da tanta gente. Morto il Caudillo, Saura girò Elisa, vida mía (1977), pellicola molto sperimentale, e la commedia Mamá cumple cien años (1979), che gli valse la prima candidatura agli Oscar.

L’era della musica e della danza

Dagli anni ‘80 in poi, libero uomo in un libero Paese, Saura intraprese molti ambiziosi progetti. Una trilogia sul flamenco progettata insieme al ballerino Antonio Gades. Un film, Antonieta (1982) girato in Messico, come fece il suo maestro Luis Buñuel. Nel 1988 girò il film spagnolo all’epoca più costoso di sempre, El Dorado. Non dimenticò però i temi che lo resero celebre in passato, e con ¡Ay, Carmela! (1990), storia di tre saltimbanchi ambientata durante la guerra civile, trionfò ai premi Goya, inaugurati nel 1987. Eppure, parallele ai suoi film di impegno civile, emersero sempre di più a livello internazionale le sue pellicole dedicate al ballo e alla musica.

Film come Sevillanas (1992), Flamenco (1994) e Tango (1998), sua terza candidatura agli Oscar, sono la testimonianza dell’amore di Carlos Saura per quest’arte e la sua volontà di immortalarla con il mezzo che conosceva di più: il cinema.

Il ricordo del regista che fu

Un ricordo personale, perché lo conoscevo già quando è arrivata la notizia della sua scomparsa e mi ha colpito come poche volte mi è successo per un lutto nel mondo dell’arte. Da tempo volevo vedere questa macro-opera dedicata al flamenco, che io conoscevo solo come musica.

Questa trilogia unisce la musica e il cinema con l’aspetto fibrillante della danza. È un’opera pura e luminosa.

Tre film asciutti come le storie dei miti ed emozionanti come sanno essere i prodotti dotati di una voce immortale. Io non posso che caldeggiarne la visione e ricordare con essi il maestro del cinema, Carlos Saura.

Sit tibi terra levis

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.