Leggere Lolita a Teheran, adattamento dell’omonimo memoir di Azar Nafisi (Adelphi, 2004), diretto da Eran Riklis, è arrivato al cinema (il 21 novembre) in un altro momento cruciale per il movimento Donna Vita Libertà, in seguito alla liberazione di Ahoo Daryaei e a poca distanza dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
La studentessa, infatti, era stata arrestata con l’accusa di gravi squilibri mentali dopo essersi spogliata nel cortile dell’Università di Teheran, per protesta contro gli insulti e le molestie ricevuti, per aver indossato male il velo, dagli agenti della polizia morale. Nonostante adesso sia libera, in realtà, non si sa quasi nulla delle sue attuali condizioni di salute né se in carcere ha subito torture.
È chiaro, tuttavia, che il regime prosegue nella sua violenta repressione del movimento di liberazione. Un movimento che non è solo delle donne ma di tutti i cittadini che «creano speranza ogni volta che scendono in piazza a sfidare il regime», ha affermato la scrittrice Azar Nafisi, qualche settimana fa a Roma, proprio in occasione della presentazione del film di Riklis.
Parole preziose, che abbiamo avuto la fortuna di ascoltare e a cui vogliamo tornare proprio in questi giorni.
I proiettili del regime contro i canti della rivoluzione
In Iran tante cose sono cambiate dal 1979, quando inizia il racconto di Leggere Lolita a Teheran, a oggi. «Tutto è in un processo di cambiamento costante ma, al tempo stesso, molte cose resistono», ha affermato Nazar Afisi. «Abbiamo ancora il totalitarismo, abbiamo ancora il regime iraniano che uccide le persone nelle strade, che spara negli occhi ai manifestanti. Abbiamo ancora molta violenza. E sfortunatamente è questa violenza che attiva l’attenzione del mondo, dei media. È sempre dei cattivi che si parla di più, sono le loro azioni a ottenere lo spazio in televisione. Noi invece dobbiamo fare diversamente».
«Quando ho lasciato l’Iran», prosegue la scrittrice, «mia madre mi ha detto: racconta di noi. Racconta di noi perché la Repubblica islamica farà credere ai suoi cittadini che al mondo non importa di loro, che il mondo non vuole ascoltarli. Farà in modo che il mondo non veda l’oppressione a cui, invece gli iraniani si sono rifiutati di cedere, opponendosi e rifiutando di usare la stessa moneta, cioè la violenza».
Il riferimento, infatti, è alla resistenza che ancora oggi prosegue nel movimento Donna Vita Libertà. «Gli iraniani hanno creato speranza, hanno rifiutato di diventare come gli oppressori, hanno rifiutato la violenza anche nella loro retorica. Cosa fanno? Cantano», ha affermato Azar Nafisi, anche visibilmente emozionata. «Per le strade, insieme al suono dei proiettili del regime, si sente la musica, la danza, il suono della vita. Il loro stesso slogan è Donna Vita Libertà.
L’eredità di Donna Vita Libertà
I ragazzi e le ragazze che oggi scendono in piazza, ha aggiunto la scrittrice, «hanno ereditato il coraggio dalle nonne, dalle madri, dalle donne che per prime hanno occupato le strade di Teheran all’inizio della rivoluzione, invocando una libertà che non è mai stata solo occidentale o orientale. La libertà è universale. È questo ciò che ho voluto raccontare attraverso Leggere Lolita a Teheran».
Nel suo “memoir in books”, una storia personale di resistenza e ribellione attraverso il potere della letteratura e della cultura, Azar Nafisi – e di conseguenza il film di Eran Riklis – ha voluto sottolineare che non è l’odio che muove la rivolta in Iran, al contrario è l’amore: per la propria terra e per la propria identità, strappata via anche ai tanti cittadini e cittadine costretti all’esilio, comprese le straordinarie attrici di questo adattamento cinematografico, di cui Golshifteh Farahani e Zar Amir-Ebrahimi sono solo le più note.
«La vittoria è dalla parte delle donne iraniane»
«Quando la Repubblica islamica è andata al potere le donne sono state le prime, in migliaia, a scendere in strada e a opporsi, soprattutto al fatto di dover indossare forzatamente il velo», ha aggiunto Nafisi riguardo la differenza tra le proteste iniziali contro il regime e quelle attuali. «Sono passati quarant’anni e il regime non ha mai smesso di cercare di cambiare la mente e il cuore degli iraniani, senza mai riuscirci. Cosa cambia adesso? Cambia che le donne iraniane, come i ragazzi iraniani, hanno ritrovato il loro potere. Le donne iraniane sanno che andare in piazza a protestare senza velo equivale a un’aperta e diretta dichiarazione contro il regime, ma non hanno più paura».
È il regime che ha paura, al contrario, ha proseguito l’autrice: «Nella sua violenza il regime mostra anche la sua debolezza. Vuole eliminare i cittadini che protestano perché non si arrendono. Ed è da qui che arriva il messaggio di speranza a cui mi riferivo. La vittoria è davvero, non uso questo termine con leggerezza, dalla parte delle donne iraniane».