Lu e la città delle sirene
Lu e la città delle sirene, Koch Media.

Dovendo fare un’istantanea dell’intero lavoro di Yuasa Masaaki, si potrebbe dire che, nel complesso, la sensazione che torna indietro sia quella di uno sfilacciamento, di una schizofrenia instabile che non permette all’opera di avere una compattezza degna dei tempi della politica degli autori.

Ma non è così. Il lavoro di Yuasa Masaaki è compatto proprio in virtù della sua schizofrenia, un cinema che promette e tradisce, che disattende e che si fa trovare lì dove lo aspettavi. Un cinema che sorprende, insomma. Ed è compatto quanto più è in contraddizione. Perché Yuasa è, innanzitutto, un artista che sta facendo del suo lavoro un’arma con la chiara intenzione di reinterpretare i canoni (logori e stereotipati) dell’animazione giapponese. Lo fa con un lavoro interno, sfidando le regole e rischiando tantissimo ma, proprio grazie a questo, costruendosi un nome ormai del tutto riconoscibile nell’ambiente e dagli appassionati.

La storia

Lu e la città delle sirene racconta dell’amicizia tra la sirena Lu e il giovane Kai che vive a Hinashi, una città di mare di fronte alla quale si staglia un enorme muro per tenere separati gli uomini dalle creature marine che considerano pericolose. Kai entra in una band ed è grazie alla musica che crea un legame intenso con Lu, che reagisce in maniera curiosa al ritmo e alle melodie. Ma questo incontro è destinato a cambiare radicalmente la vita di tutti coloro che vivono a Hinashi, facendo riemergere vecchie ferite del passato.

Il film e tutto ciò che lo precede

Lu e la città delle sirene arriva, finalmente, in Italia in blu ray e dvd grazie a Yamato, che lo annunciò nel 2019 a Lucca Comics. È un film che, già nella collocazione cronologica, rivela le sue intenzioni artistiche e autoriali. Datato 2017, esce nello stesso anno di The Night is Short Walk on Girl (Yoru wa mijikashi aruke yo otome), film sempre firmato da Yuasa dalle aspirazioni molto più sperimentali e legato all’universo narrativo di The Tatami Galaxy (che per chi non lo sapesse è una serie diretta da Yuasa, forse una delle sue migliori assieme a Kaiba e Ping Pong The Animation).

Quindi, nello stesso anno, Yuasa realizza due film che sono uno l’opposto dell’altro. Perché Lu e la città delle sirene è un film animato che si presta molto alle attenzioni del pubblico e che, per i più attenti, ricorda molto un altro film animato avente ambientazioni e tematiche simili: Ponyo sulla scogliera, film di Hayao Miyazaki del 2008.

In entrambi i film c’è un incontro, ci sono due mondi che si intersecano, c’è un cambio di prospettiva. Ma se Ponyo era una favola più legata ai canoni tipici del suo autore, che riversa quella poesia e quel modo di raccontare a un contesto più infantile (ma mai banale), Lu e la città delle sirene ci regala un racconto semplice in cui vibrano le schegge sperimentali tipiche di Yuasa, come se il regista si fosse adeguato al materiale produttivo e narrativo. Non è stata la prima volta: nel 2018, Yuasa ha realizzato Devilman Crybaby, cercando di ripensare la mitologia dietro il capolavoro di Go Nagai.

Una storia di divisioni e sogni fluidi

Lu e la città delle sirene presenta, quindi, tutte le caratteristiche tipiche del cinema yuasaiano: dal character design all’animazione fluida e iperveloce (quasi fossero usati più frame dei canonici 24 al minuto); dalle sequenze iperboliche e sperimentali a quel suo modo di destrutturare l’immagine per creare movimento (vedi la sequenza in cui il padre di Lu cerca di salvarla).

È un film che racconta di divisioni e delle grandi difficoltà che bisogna affrontare per superarle. Da questo punto di vista, il titolo internazionale (Lu Over the Wall) è molto efficace perché sottolinea quanto il muro sia simbolo di divisione non solo fisica ma soprattutto mentale. Così come il titolo originale (Yoaketsugeru Rū no uta che si può tradurre come “La canzone che annuncia l’alba”) mette l’accento sulla necessità di rinascita, di guardare verso l’orizzonte in attesa del sole anche quando si è nella notte più buia. Per la presenza importante e funzionale dell’elemento acquatico, può essere considerato come parte di un dittico completato dal film successivo di Yuasa, Ride Your Wave, anch’essa un’opera che racconta la difficoltà di superare il vuoto dell’assenza.

È un film spensierato, a suo modo poetico, imperfetto certo, ma che ha dei momenti di potenza emozionale suggeriti con un approccio stilizzato e con brevi frame, nel rispetto dell’intelligenza dello spettatore. Si pensi alla figura del nonno di Kai e del suo rapporto troncato con la madre. È lì, nelle sequenze in cui passato e presente si intrecciano in un dedalo che profuma di nostalgia, che si nasconde la grandezza autoriale di un regista come Yuasa Masaaki.

Illustrazione di Matteo Verrocchi

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Andrea Fontana
Credo che il cinema e l’immagine siano gli unici strumenti con cui interpretare il mondo. Certo, c’è la letteratura, il fumetto, la musica. Ma il cinema è assoluto nel suo modo di porsi verso il reale. E ci costringe a ripensare alle regole, a noi stessi. Forse è per questo che scrivo di cinema. Lo faccio da anni in maniera più meno frequente per Fumettologica, Segnocinema, Quinlan, Cineforum, Film TV. E ho scritto anche qualche libro su svariati argomenti, come La bomba e l’onda - Storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima e Studio Ghibli (Bietti edizioni) o il più recente Satoshi Kon (Mimesis). Poi, le storie, oltre ad analizzarle, le scrivo pure. Sono l’autore di Clara e le ombre (Il Castoro), il fumetto illustrato da Claudia Petrazzi tradotto in Spagna e in Francia, ma anche di Mostropedia Guida illustrata alle creature più spaventose (Moscabianca). Il mio amore per l’immagine passa soprattutto per quella animata. Perché l’animazione, più di tutte le tecniche, è quella che ha ancora tantissimo da dirci.

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