Girl

Un salto nel vuoto, più difficile di quanto si creda: l’opera prima per un regista, dopo gli immancabili cortometraggi, è quasi sempre un potenziale inespresso, intrappolato in idee troppo più grandi ed elaborate rispetto ai propri mezzi. Quando si ha la fortuna di incrociare sulla propria strada un esordio perfetto, bisogna celebrarlo. È il caso di Girl, il film che ha rivelato la sensibilità e la mano di Lukas Dhont, regista belga che al momento della presentazione del film a Cannes (2018) aveva appena 27 anni. Quell’anno vinse la Caméra d’or, il premio riservato alle opere prime, ma già con il suo secondo lavoro, Close, ha riconquistato la Croisette ottenendo il Grand Prix.

Girl è la storia di Lara (interpretata da Victor Polster), una ballerina transgender, una ragazza intrappolata in un corpo maschile, che sogna di diventare étoile. Con il totale sostegno del padre, inizia a frequentare la scuola di danza più prestigiosa del Belgio, preparandosi contemporaneamente all’intervento chirurgico. Nonostante Lara non incontri resistenze violente o pregiudizi nella vita quotidiana, non riesce ugualmente a vivere in modo sereno il periodo delicato dell’adolescenza. È impaziente di veder finalmente coincidere l’idea che ha di sé con l’immagine del proprio corpo. La sua stessa incapacità e impossibilità di accettare i tempi psicologici e fisici richiesti nel suo caso la porteranno a una scelta dolorosa ma per lei necessaria.

Il percorso per arrivare a Girl 

L’idea di Girl nasce da una storia vera, quella di Nora, poi contattata dal regista, e da un articolo che Lukas Dhont lesse nel 2009, circa dieci anni prima della realizzazione del film. In quel caso la scuola di danza non permetteva alla ballerina di trasferirsi dai corsi maschili a quelli femminili. Spostando così il focus su un conflitto tutto interno anziché esterno, il regista ha scelto subito di farne una storia per il grande schermo.

L’idea centrale, quella che ha subito attratto Dhont, è la centralità del corpo nella professione della danza e quindi il nucleo drammatico che lo stesso corpo di Lara rappresenta. La tensione fra la danza in sé come disciplina molto fisica e la dismorfia di genere di Lara si traduce in uno stile di regia forte, in grado di dialogare con il pubblico: una macchina a mano in costante movimento dentro le coreografie e dentro il tumulto dei pensieri della protagonista.

La struttura nettamente binaria del balletto, inoltre, permette a Dhont – regista queer – di pronunciarsi contro l’eteronormatività, contro l’idea del “conformarsi” a un ideale che finisce solo per ferire le persone e le loro identità, ben più complesse di un’etichetta. Ed è questo un tema che si ripete anche nel suo secondo film (Close), diventando un suo tema autoriale.

Girl è un film che ha tanto da dire e continuerà a farlo per molto tempo dopo la prima visione. Se state cercando una storia con cui dialogare, è questa.

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