L’unica persona nera nella stanza – Nadeesha Uyangoda, 66thand22nd (2021)
Appena terminata la lettura di L’unica persona nera nella stanza (Edizioni 66thand22nd), la prima domanda che sorge spontanea è, come parlarne se io quella persona non lo sono mai stata? Ho trovato forse una risposta nelle parole stesse con cui Nadeesha Uyangoda si congeda nell’ultima pagina:
Dare visibilità ai soggetti neri, dirsi antirazzisti e agire di conseguenza, ascoltare le esperienze delle persone nere e fidarsi dei loro punti di vista. Possiamo mettere in atto questi cambiamenti nei luoghi che frequentiamo (…): possiamo farlo condividendo gli spazi e i microfoni con gli italiani neri.
Ascoltare e fidarsi del punto di vista, senza l’urgenza di aggiungere nulla. Condivido allora questo spazio, facendo da (piccolissima) cassa di risonanza di una voce e di un testo che spero arrivi il più lontano possibile. E che spero entri in ogni casa e in ogni aula scolastica.
L’unica persona nera nella stanza: perché leggerlo
L’unica persona nera nella stanza nasce come articolo su Not e si trasforma in un approfondimento, in nove capitoli, su alcuni temi essenziali della rappresentazione e dell’esperienza nera in Italia. Il tutto raccontato in prima persona da Uyangoda, in una conversazione onesta e schietta, che ruota attorno al suo vissuto ma che ne racchiude molti simili.
Si parla, in ordine sparso, di colorismo, tokenismo, coppie miste, intersezionalità (di donne, razza e classe, per citare Angela Davis). E si parla ovviamente di cittadinanza e di italiani senza cittadinanza. Dell’idea persistente, nel sentire comune, per cui la nazionalità italiana corrisponda prima di tutto al colore della pelle. Questo, infatti, sembra in qualche modo essere il nodo in cui tutte le altre strade (e i capitoli) si incontrano. Una questione ancora aperta e irrisolta, quella dello ius culturae e dello ius soli, ma anche quella di un’Italia che ipocritamente non si ritiene razzista però non ha nemmeno le parole per descrivere il suo multiculturalismo. Forse perché a scegliere e creare quelle parole è bene che siano proprio gli italiani neri (quando per nero si intende, in senso lato, non bianco). Coloro che però rimangono ancora troppo spesso oggetto e non soggetto dei discorsi, dei telegiornali e dei salotti televisivi.
Anche per questo motivo L’unica persona nera nella stanza usa un linguaggio semplice per spiegare concetti accademici. Non chiede a nessuno di conoscere preventivamente W.E.B. Du Bois e la linea del colore, né Franz Fanon o gli studi post-coloniali (anche italiani). E per chi volesse approfondire c’è sempre e comunque la bibliografia come riferimento. Il punto è proprio la volontà di integrare questi discorsi e questi concetti in un contesto di quotidianità, renderli familiari, portarli dentro il vissuto collettivo.
Alcuni termini sono entrati già nel nostro linguaggio, altri un po’ meno, ma sono presentati in modo chiarissimo nelle parole di Uyangoda. Motivo per cui il suo è un testo da prendere come punto di partenza per una conversazione sulla razza in Italia. E non uso quest’espressione a caso, poiché Natasha Uyangoda, insieme a Nathasha Fernando e Maria Catena Mancuso, è autrice di un consigliatissimo e omonimo podcast, che seguo ormai avidamente da diverse settimane e consiglio davvero a tutti. Lo trovate qui.
Sulla razza sembra essere l’evoluzione di L’unica persona nera nella stanza, come il libro lo era dell’articolo da cui l’idea di Uyangoda è partita. Insieme e nella loro complementarità costituiscono due strumenti ideali per iniziare a delineare finalmente un nuovo vocabolario italiano, letterale e metaforico.
FRAMED ringrazia la casa editrice 66thand22nd. Qui trovate il link al sito ufficiale. Continuate a seguirci anche su Instagram per altri consigli di lettura.