Lucrezia Lante Della Rovere arriva all’Argot Studio di Roma, dal 31 marzo al 3 aprile e dal 7 al 10 aprile, con L’uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello, adattamento e regia Francesco Zecca, musiche Diego Buongiorno, disegno Luci Alberto Tizzone, produzione Argot Produzioni in collaborazione con Pierfrancesco Pisani e Isabella Borettini per Infinito Teatro.
L’uomo dal fiore in bocca: coloro che rimangono
Un palcoscenico nudo e nero, tranne che per un rettangolo di terra al centro. Sembra proprio una fossa scavata di fresco e ricoperta in tutta fretta. Sopra, a fungere da lapide, un cappello. Che lì, da solo, sopra quel malinconico rettangolo di terra, racconta già molto di colui che vi è sepolto.
Il pubblico entra in sala, disponendosi ordinatamente sulle scalinate. L’attrice è già in scena, in un angolo. Vestita di nero, come si conviene per chi ha subito un lutto recente, guarda la tomba con uno sguardo perso, stringendo a sé un fascio d’erba. Poi, quando tutto il pubblico è seduto, si avvicina al pezzo di terra e comincia a parlare, infilando i ciuffi d’erba sopra la tomba. Ci racconta le sue sensazioni, il vuoto che la morte del marito le ha lasciato. Perché questo non è L’Uomo dal fiore in bocca tradizionale, l’atto unico di Luigi Pirandello. Non è questo ciò che troverete allo spettacolo.
L’adattamento de L’Uomo dal fiore in bocca
Il testo originale, infatti, racconta di un uomo affetto da epitelioma che ne incontra un altro al caffè della stazione. E inizia a parlarci, raccontando ciò che prova a sentirsi prossimo alla fine. In questa sceneggiatura, che diventa ben presto un lungo monologo, la moglie dell’uomo viene appena nominata. Mentre qui, nello spettacolo, assume un ruolo centrale.
L’uomo dal fiore in bocca ci racconta cosa prova un uomo prossimo alla morte. Mentre lo spettacolo del Teatro Argot ci fa confrontare con il dramma di coloro che, invece, rimangono. Quando l’uomo muore, per lui altro non c’è che il vuoto. La pace, forse. Mentre per la moglie, rimane il dolore, il niente lasciato dalla perdita del proprio compagno. Un niente oscuro e freddo proprio come la fossa nella quale l’uomo è stato deposto.
Non è uno spettacolo facile, quello proposto da Lucrezia Lante della Rovere
L’attrice mette tutta sé stessa nella performance, regalandoci le sue emozioni, il suo dolore, la sua sofferenza. Si mette a nudo davanti a noi, chiedendo anche al pubblico un impegno non indifferente. Perché assistere a questo adattamento de L’uomo dal fiore in bocca va molto al di là del puro intrattenimento. È qualcosa che ci permette di guardare dentro l’altro, dentro la persona che si muove sul palcoscenico. Fa diventare lo spettatore un tutt’uno con le emozioni della protagonista e non è facile. Perché ci costringe e provare quelle emozioni dolorose che si vorrebbe richiudere a chiave dentro un cassetto, o gettare dentro a un pozzo, per poi non pensarci più.
L’adattamento dell’atto unico di Luigi Pirandello è qualcosa di estremamente interessante e innovativo. Si è deciso di dare corpo e voce a una figura che, nel monologo de L’Uomo dal fiore in bocca era solo una piccola sagoma stampata sullo sfondo. Nessuno pensa alla moglie, leggendo l’opera originale. Tutti si concentrano sul dramma di colui che ha di fronte la morte.
Non ci si sofferma sulla compagna che deve affrontare il calvario insieme a lui. Quell’incubo fatto di visite mediche e sale d’aspetto, con la consapevolezza dell’inutilità di tutto. Perché tanto le carte sono già uscite, il destino è segnato. La morte è lì, pronta ad attenderlo. Lui sa che sta andando incontro all’oblio. Lei, alla solitudine, all’orrenda sensazione di impotenza. Alla consapevolezza dei lunghi anni che dovrà affrontare da sola, con il suo dolore.
Il punto di vista offerto dall’adattamento è nuovo, originale, inaspettato. E sofferto. Non ci sono altre parole per definirlo. Di certo andare ad assistere a questo spettacolo è una grande esperienza, immersiva e difficile. Ma necessaria.
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Ulteriori informazioni sono sul sito ufficiale del Teatro Argot.