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Ai millennials non passerà mai la cotta per Adam Brody: Nobody Wants This ne è la conferma

Kristen Bell e Adam Brody in Nobody Wants This. Cr. Stefania Rosini/Netflix © 2024
Kristen Bell e Adam Brody in Nobody Wants This. Cr. Stefania Rosini/Netflix © 2024

Dieci episodi che volano via come una rom-com da novanta minuti, di quelle un po’ “vecchia scuola”, infallibili: Nobody Wants This gioca tutto sull’elemento nostalgia, forse l’emozione preferita dei millennials, a partire dai suoi due protagonisti: Kristen Bell e Adam Brody.

Sì, Veronica Mars (ma anche la voce di Gossip Girl) e l’indimenticato e indimenticabile Seth Cohen di The O.C. nei loro splendidi quarant’anni sembrano ancora le teen star dei primi anni Duemila, con un fascino diverso, più maturo, ma ugualmente magnetico e un linguaggio nuovo, per parlare anche alle generazioni successive.

Dall’Hot Priest all’Hot Rabbi: cos’è Nobody Wants This

Nobody Wants This è la storia di un colpo di fulmine e del successivo – e per niente scontato – impegno nel trasformare quella rara e istintiva sensazione totalizzante in un impegno a lungo termine, nonostante le differenze e le quotidiane difficoltà. Joanne (Kristen Bell) è una donna schietta e libera, che nasconde le sue fragilità dietro una personalità esuberante e impetuosa. Noah (Adam Brody) è un giovane e bellissimo rabbino, moderno e altrettanto aperto, che sogna una carriera prestigiosa all’interno del suo Tempio.

Meno impacciato di come viene ricordato attraverso i suoi personaggi più celebri, Adam Brody porta sullo schermo una versione adulta e piacevolmente sorprendente di Seth Cohen (o di Dave Rygalski, per chi preferiva Gilmore Girls a The O.C.). È divertente che forse per la prima volta un suo personaggio venga descritto apertamente come sexy. Ciò che piaceva di Seth Cohen era anche l’assoluta ingenuità e la poca autoconsapevolezza del suo stesso fascino. Ora invece diventa “l’hot Rabbi”. La dolcezza e l’attenzione ai dettagli ritornano nel suo Noah affiancate però da una sicurezza scaltra e accattivante che si abbina bene all’energia rivoluzionaria di Joanne e Kristen Bell.

I primi 25 minuti di Nobody Wants This si potrebbero descrivere perciò come una delle prove migliori che la rom-com come genere a sé è riuscita a offrire negli ultimi anni. Spiegano perfettamente cos’è l’amore a prima vista grazie a due personaggi che non riescono a staccarsi gli occhi di dosso dal primo momento in cui i loro sguardi si incrociano e che, per quanto lucidamente ci provino, non riescono a non gravitare uno intorno all’altra. Spinti da una forza che Brody e Bell rendono quasi visibile, per la sua intensità. Ecco perché il colpo di fulmine continua a ossessionarci, soprattutto quando riguarda persone diversissime fra loro, e funziona ancora così bene fra tutti i cliché della commedia romantica: perché tanto più opponiamo resistenza, tanto più soddisfacente è la resa.

La trama di Nobody Wants This

Joanne e Noah si incontrano per caso, riconoscono subito una reciproca attrazione e uno stesso senso dell’umorismo, fattore che rende la chimica tra i due personaggi straordinaria. Nessuna bugia, nessun sotterfugio, nessuna commedia degli equivoci: Joanne e Noah parlano di tutto, si confrontano su ogni dubbio che nasce giorno per giorno e accompagnano il pubblico attraverso la costruzione di una relazione sana, fondata (finalmente) su una piena comunicazione di bisogni, desideri, insicurezze e pensieri. È raro e piacevole non dover sopportare la solita struttura a “montagne russe” delle commedie romantiche, in cui è necessario attraversare incomprensioni e malintesi prima di arrivare a un eventuale lieto fine.

Il vero problema che si intrufola fra Joanne e Noah, in realtà, è radicato nella religione, tema in sé poco trattato nelle rom-com. Tanto che, nonostante non fosse a tutti gli effetti una commedia romantica, siamo in molti e molte a doverci ancora riprendere dal finale di Fleabag e dal suo “Hot Priest” (Andrew Scott) che sceglie di restare fedele alla sua vocazione abbandonando l’idea di una storia d’amore.

Joanne infatti è atea, cresciuta in una famiglia non credente. È una shiksa, una gentile che non può frequentare un rabbino senza fargli perdere credibilità e rispetto di fronte alla sua comunità, tanto meno sposarlo. Tutto l’attrito, ovvero la parte conflittuale della serie, si sviluppa su questo tema. E non è sempre un bene.

Il terzo protagonista di Nobody Wants This

Facendosi distrarre dalla febbre millennial per Adam Brody e Kristen Bell o dal tono scanzonato e genuinamente divertente della serie, c’è un elemento che potrebbe passare in secondo piano ma che non dovrebbe. Si tratta del racconto costante dell’ebraismo, che a tratti diventa il tema principale di Nobody Wants This, tanto da oscurare la commedia romantica negli ultimi episodi, salvo poi cercare un equilibrio sul finale, proprio negli ultimi trenta secondi.

Per capirne il motivo è sufficiente una breve ricerca su Google. L’ideatrice della serie è infatti Erin Foster, figlia d’arte a Hollywood che da circa dieci anni – a partire dai reality show per VH1 di cui è autrice – lavora come content creator insieme alla sorella Sara. Lei è Joanne. La storia raccontata dalla serie è la sua, è reale seppur romanzata. È vero che, single a 35 anni, ha incontrato un uomo ebreo, si è innamorata, l’ha quasi lasciato per le importanti differenze ideologiche e personali (e per un mazzo di girasoli enorme che sembrava fuori posto come la loro storia). Alla fine però Foster ha scelto di convertirsi e, in fondo, questa serie è una lettera d’amore al marito e alla nuova vita che ha scelto insieme a lui, religione compresa.

È però un terreno scivoloso quello in cui cerca di muoversi Nobody Wants This, sottolineato anche attraverso alcune battute all’interno della serie. Alcune di queste poi nemmeno troppo sottili: i personaggi parlano chiaramente di “soft marketing dell’ebraismo”, seppur scherzando. Così se vent’anni fa Seth Cohen che inventava il Chrismukkah faceva solo tenerezza, nel 2024 usare lo stesso attore per spiegare i principi fondamentali dell’ebraismo, nascondendosi dietro una rom-com, non è del tutto corretto nei confronti del pubblico. Foster in ogni intervista ci tiene a sottolineare che il suo non è un intento politico, né che una serie possa davvero fare la differenza nel quadro socio-politico generale.

E forse questo è il punto in cui sentiamo di poter dissentire. Una serie, come qualsiasi altro prodotto culturale, entrando nella nostra quotidianità influenza il nostro modo di pensare. Sarebbe ingenuo credere il contrario, soprattutto dentro un colosso come Netflix. Nulla di ciò che guardiamo è mai davvero neutrale, commedie romantiche comprese, è bene sottolinearlo una volta in più.

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