Benoît Magimel in una scena di Pacifiction - Un mondo sommerso. Credits: Movies Inspired.
Benoît Magimel (al centro) in una scena di Pacifiction - Un mondo sommerso. Credits: Movies Inspired.

I politici? «Sono persone al buio che non si guardano più, tagliati fuori dalla realtà», che «pensano di avere il controllo su tutto ma non controllano niente».

Lo dice il protagonista di Pacifiction – Un mondo sommerso (dal 18 maggio in sala per Movies Inspired), che i politici di professione li conosce bene, essendo uno di loro: l’Alto commissario De Roller, rappresentante della Repubblica francese nell’isola polinesiana di Tahiti. È lui il centro del nuovo affresco dipinto dal regista catalano Albert Serra che, dopo l’Europa settecentesca di História de la meva mort (Pardo d’oro a Locarno), La mort de Louis XIV (seguito da Roi Soleil) e Liberté, sceglie un’ambientazione contemporanea per (ri)allestire lo spettacolo decadente della civiltà occidentale.

Ma in questo lungometraggio, presentato in concorso a Cannes 2022 (poi al Torino Film Festival e al Rendez-Vous di Roma) la Storia come processo lineare tende a sfaldarsi. E la scena pubblica, con gli attori che vi si dimenano, si scopre teatro di ombre grottesche al confine fra l’illusione e il suo (sempre meno definibile) contrario.

Lisola e il potere

In cosa consiste il lavoro di De Roller? Difficile dirlo con precisione. Occhiali da sole, giacca bianca e camicie variopinte, fluttua con (calcolata?) pigrizia fra locali notturni, hotel e gite tra le onde. E anche (soprattutto) in questo modo si misura nell’arte antica della gestione del potere. Benoît Magimel (che per il ruolo ha ottenuto il César e il Lumière, andato anche a Serra per la regia) dà corpo a questo surfista della diplomazia intento a destreggiarsi tra facoltosi visitatori, ammiragli gaudenti, assistenti ambiziose e inquieti rappresentanti della popolazione tahitiana.

Nel mondo di Pacifiction non scorgiamo (più) culture ideologie a fronteggiarsi, tutto è appiattito allo stesso baraccone di luci e danze, dove per far stare buona la popolazione il Commissario della madrepatria post-coloniale promette l’accesso illimitato al casinò, in cui si potrebbe addirittura festeggiare l’anniversario della Rivoluzione francese. Ma il trono di sabbia e acqua su cui siede De Roller rischia di crollare quando iniziano a diffondersi, sempre più insistenti, le voci di una prossima ripresa dei test nucleari governativi in un’isola vicina. Gli equilibri s’incrinano, il leader dei nativi (forse manipolato da potenze straniere) minaccia proteste violente. E il protagonista, respirando aria di complotto ai suoi danni, prende a indagare.

Benoît Magimel (al centro) in una scena di Pacifiction – Un mondo sommerso. Credits: Movies Inspired.

Viaggio al termine della realtà

La spy-story fantapolitica rimane però solo in potenza. Per le quasi tre ore del film, Albert Serra dilata sequenze apparentemente interlocutorie, premesse di un conflitto che non scoppia e di una verità che fatica a svelarsi. Mantenendo la lentezza straniata di un sogno lucido e accumulando i dubbi e le impressioni senza conferma, almeno sino a un finale dove per la prima volta il nostro punto di vista si distacca da quello di De Roller. Ma continuiamo a sentirci persi con e come lui, nella circolarità ipnotica di un viaggio senza punto d’arrivo attraverso il paradiso-prigione di questa Tahiti allegorica.

Con tratti da antieroe felliniano, fra la Dolce vita di una periferia lussureggiante dell’impero in disfacimento e l’8 ½ di una peregrinazione nella propria crisi, Magimel/De Roller è l’uomo (occidentale) alla fine della politica, le cui dinamiche sono ormai indecifrabili ai suoi stessi comprimari. (Con)fondendosi con le rappresentazioni perenni, tra il salotto esotico di una scrittrice borghese, la messa in scena di un combattimento tra uomini-gallo e il ballo in un’onirica discoteca dove identità e ruoli sociali celebrano il loro dissolvimento. Mentre il tentativo dei singoli individui di venire a capo del caos sembra tanto più vano di fronte ai campi lunghi sulla vastità, i riverberi e le sfumature ambigue del paesaggio, vero co-protagonista e sovrano del film. E, forse, solo un altro luogo della mente.

Benoît Magimel in una scena di Pacifiction – Un mondo sommerso. Credits: Movies Inspired.

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Emanuele Bucci
Gettato nel mondo (più precisamente a Roma, da cui non sono tuttora fuggito) nel 1992. Segnato in (fin troppo) tenera età dalla lettura di “Watchmen”, dall’ascolto di Gaber e dal cinema di gente come Lynch, De Palma e Petri, mi sono laureato in Letteratura Musica e Spettacolo (2014) e in Editoria e Scrittura (2018), con sommo sprezzo di ogni solida prospettiva occupazionale. Principali interessi: film (serie-tv comprese), letteratura (anche da modesto e molesto autore), distopie, allegorie, attivismo politico-culturale. Peggior vizio: leggere i prodotti artistici (quali che siano) alla luce del contesto sociale passato e presente, nella convinzione, per dirla con l’ultimo Pasolini, che «non c’è niente che non sia politica». Maggiore ossessione: l’opera di Pasolini, appunto.

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