Pubblicato in Italia lo scorso marzo da La Nuova Frontiera, Perché tornavi ogni estate (traduzione Amaranta Sbardella) è il primo libro della scrittrice argentina Belén López Peiró.
“Mio zio ha abusato sessualmente di me in diverse occasioni, nel periodo compreso tra i miei tredici e diciassette anni”. Recita così l’atto di denuncia con cui Belén López Peiró chiede l’intervento della giustizia e attraverso il quale dà l’avvio a un importante percorso di crescita e ricerca che la condurrà a immedesimarsi non solo nella violenza subita ma anche nel suo atto di liberazione.
“Per fortuna è giorno. Manca ancora tanto alla notte”
Ogni estate, per sfuggire alla calura di Buenos Aires, Belén andava a Santa Lucía, nella casa degli zii, luogo in apparenza sicuro dove subiva ripetuti abusi sessuali da parte dello zio. Piccola e indifesa e violata nella sua integrità infantile, la bambina viveva un orrore senza fine al quale non sapeva dare un nome e che di notte la gettava negli abissi di incubi che per gli altri bambini sono solo popolati da fantasmi inesistenti. Col passare degli anni, Belén sconfiggerà il suo nemico più grande, la paura, e raccogliendo tutta se stessa denuncerà lo zio alle forze dell’ordine intraprendendo con coraggio un cammino fitto di ostacoli.
Trova le parole
La denuncia rappresenta il punto di partenza della ricerca fondamentale dell’autrice di questo libro. Dover scrivere su un foglio per la prima volta dell’accaduto materializza la consapevolezza dell’assenza di un linguaggio che racconti l’abuso sessuale. Le esperienze, come le cose, cominciano a esistere quando ci sono le parole per poterle raccontare; Belén López Peiró scava dentro al vissuto per portare alla luce, dall’oscurità delle proprie viscere, un linguaggio forte, bellico, carnale, a tratti scurrile, col fine di abbattere il muro di omertà e testimoniare la verità di quanto subito.
Dal linguaggio giudiziario della denuncia di Belén e delle dichiarazioni di alcuni testimoni coinvolti nella vicenda, si passa alle meticolose descrizioni degli abusi. Per la scrittrice, le parole “vittima” e “abusatore” andrebbero superate. “Chiamarle vittime significa fotterle un’altra volta”: vittima lo si è soltanto nel momento della denuncia, in quello della presa di coscienza, successivamente rimanere intrappolati in questa definizione significa restare relegati nella sfera della passività, in quella dell’atto subito. “Ti fottono perfino quando gli danno un nome. Chiamarli abusatori è fargli un favore” poiché ridimensiona la gravità delle loro azioni rendendoli dei trasgressori moderati. Per Belén López Peiró la scrittura di questo libro è una rivendicazione di esistenza, un rito salvifico, un atto politico, uno strumento di ribellione.
La sua virilità crolla ogni volta che ti siedi e scrivi. Distruggilo con le parole, finiscilo in un punto e fottilo tra le virgole. Così, senza altro. Senza altra sofferenza, senza altro dolore, senza altro di te
La polifonia dell’abuso
Con la manifestazione scritta della sua esperienza personale, l’autrice di Perché tornavi ogni estate si schiera contro un sistema messo da lei stessa in luce attraverso la polifonia di voci che costituiscono l’opera. Al suo punto di vista, rabbioso e sofferente, si alternano le scioccanti recriminazioni dei parenti e gli asettici giudizi di medici e avvocati. Il testo corale, che raccoglie testimonianze distinte veicolate da stili diversi e addirittura da differenti font, rende esaustiva la narrazione e presagisce la volontà della scrittrice di rendere collettiva la sua esperienza. Se denunciato, un abuso privato si trasforma in un fatto pubblico che implica altri colpevoli oltre allo stupratore, come i famigliari complici o disinteressati e i membri di una società portatrice di retaggi culturali sessisti, e altre vittime, come tutte coloro che nei soprusi descritti si riconoscono. “Non si può vivere con la paura”, scrive l’autrice argentina, che indirizza un chiaro messaggio alle lettrici in cerca della forza necessaria a denunciare una violenza taciuta.
La cultura dell’abuso
L’abuso sessuale è frutto di una cultura patriarcale radicata in tutti gli ambienti delle società contemporanee. Il racconto di López Peiró è ambientato in Argentina ma potrebbe aver avuto luogo in qualsiasi altro posto al mondo. L’omicidio e lo stupro rappresentano solo la punta dell’iceberg di un sistema che riconosce il predominio dell’uomo sulla donna e che passa anche dalla violenza verbale, come Michela Murgia ha recentemente sintetizzato nel suo saggio Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più (Einaudi, 2021). “Si paga sempre un prezzo salato quando si critica un uomo. La sua virilità e la sua mascolinità pesano più della tua integrità e di quella di altre ragazze”. E allora “Perché tornavi ogni estate?” chiede la zia a Belén, come “Perché ti eri vestita in quel modo?” viene spesso domandato alle donne molestate da un uomo mentre una sera stavano tornando a casa. Nelle pagine del racconto, la protagonista si evolve, cambia pelle, attraversa l’inferno delle critiche e dell’inettitudine di medici e avvocati per poi spogliarsi di colpevolezza e vittimismo scardinando gli stereotipi che imprigionano ogni donna. La voce delle prime pagine, “Forse dovresti coprirti, guarda che pantaloncini porti […]. Gli uomini possono turbarsi”, si dissolve in un’altra voce che al termine del libro fa razzia di cliché, “Basta gonne lunghe e pantaloni, metti in mostra le gambe. […] Non ti fare problemi a indossare i tacchi. Se l’uomo sente che la sua virilità è minacciata dalla tua altezza, sono cavoli suoi”.
“Ciò che avevo perso era ormai diventato il mio scudo”
A differenza del romanzo I passanti di Laurent Mauvignier, in cui lo stupro non è mai menzionato, in Perché tornavi ogni estate la molestia sessuale diventa il motore della narrazione-ricerca. Qui la violenza è gridata e si riversa su un corpo di bambina che perde le sue caratteristiche e diventa “avanzo”, “escremento”, “oggetto”. Il nulla in cui annega la protagonista la svuota dall’infanzia. Uno zio, esponente delle forze dell’ordine, frequentatore delle messe domenicali, forte del consenso di moglie e figlia, come può essere anche uno stupratore? Questa e tante altre sono state le domande di Belén mentre il proprio corpo veniva oltraggiato. Il suo lavoro sembra essere un atto d’accusa a una società, che non procura gli strumenti per poter rispondere a domande di questo genere, e a un apparato scolastico, che non ritiene importante fornire un’educazione sessuale a bambine, bambini e adolescenti. In Memoria di ragazza (L’Orma Editore, 2017) Annie Ernaux racconta di aver maturato la consapevolezza di aver subìto passivamente il primo rapporto sessuale solo dopo aver letto Il secondo sesso di Simone De Beauvoir, così come Belén López Peiró si appropria della piena coscienza di sé nell’abuso col trascorrere del tempo, l’indagine e la scrittura.
Come Franca Rame fece nel 1975 a teatro portando in scena il monologo “Lo stupro”, Belén López Peiró espone, attraverso la letteratura, il suo massacro valicando ogni senso comune di pudore. La sua esperienza scritta, come quella dell’autrice francese Annie Ernaux, si fonde a quella di altre donne divenendo collettività.
E forse il vero scopo della mia vita è soltanto questo: che il mio corpo, le mie sensazioni e i miei pensieri diventino scrittura, qualcosa di intelligibile e di generale, la mia esistenza completamente dissolta nella testa e nella vita degli altri
Annie Ernaux, L’evento (L’Orma Editore, 2019)
Ringraziamo La Nuova Frontiera per averci dato la possibilità di leggere Perché tornavi ogni estate.
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