Pose-FX
Pose-FX

Pose è la serie TV ideata da Ryan Murphy, Brad Falchuk e Steven Canals dedicata al mondo LGBTQ+ e alla ballroom culture.

Due stagioni disponibili su Netflix: colpi di scena, episodi esteticamente ed emotivamente memorabili e l’analisi sia pop che drammatica di un mondo culturale profondamente emarginato. Pose racconta per puntate quello che è il cuore del documentario Paris Is Burning, (Jennie Livingston, 1990), un progetto durato anni che, nonostante la buona risposta critica, non venne accolto positivamente dalla comunità che ne era protagonista.

La serie televisiva sancisce un giusto modo di “guardare” che nel documentario si riduce alla pura esibizione, e il lavoro sul cast e sulle tematiche sfonda un muro per aprirsi ad un capitolo di storia ridotto a pochi approfondimenti.

Annunciata da poco la terza stagione (conclusiva), vi dico perché recuperare le puntate precedenti di Pose e considerarla una delle più brillanti ed intelligenti rappresentazioni del mondo queer newyorchese.

1 – Ryan Murphy

Regista, produttore, sceneggiatore: Ryan Murphy è il prolifico autore dietro ad alcune delle serie di maggior successo degli ultimi anni. La sua capacità sta nella differenziazione delle scelte registiche e produttive connesse però sempre da un inconfondibile messaggio di narrazione della diversità. Basta leggere le nominations degli ultimi Golden Globes per capire quanto il suo lavoro sia significativo e diversificato.

Dal successo delle serie American Crime Story ed American Horror Story, alla produzione di realizzazioni significative, come The Boys in the Band, con la regia di Joe Mantello. L’analisi, o la rilettura (come per la serie Hollywood), della storia della comunità LGBTQ+, sono persistenti e profonde alla base del suo lavoro. Con Pose la forte carica drammatica che contraddistingue quei particolari anni storici ha la possibilità di raggiungere lo spettatore grazie alla positività che vi si accompagna, comunicata con la sfarzosità e l’estetismo perfezionista di un occhio che non rinuncia al gusto del musical e dell’importanza di tutto ciò che fa dei corpi opere d’arte.

2 – Il cast

Pose racconta la diversità di protagonisti gay e trans, spesso provenienti da realtà che li hanno rifiutati e negati come figli, amici, esseri umani. Tali protagonisti vengono interpretati da attori e attrici che per prima cosa espongono la loro storia, prima di adottare un ruolo. Il cast della serie è totalmente inclusivo: le vicende rappresentate in Pose sono frutto dell’interpretazione, in primis, di attrici transessuali e attori e attrici omosessuali.

Nel cast Billy Porter (tra l’altro primo omosessuale nero a ricevere un Emmy nel 2019 proprio per il ruolo di Pray Tell), MJ Rodriguez, Dominique Jackson, Indya Moore, Hailie Sahar, Angelica Ross. Oltre a loro tante altri attrici, volti femminili di una lotta per l’affermazione di sé che passa dalla vita reale allo schermo. Scriverlo è facile, ma sperare in una rivoluzione è una speranza ancora in lavorazione (come si può riscontrare per la scorsa edizione degli Emmy).

Pose – Cast femminile (FX, Netflix)

3 – La storia

Pose ha dato il via ad un ripensamento critico, oltre che artistico, di un momento storico, tra gli anni ’80 e ’90, di essenziale importanza per la comunità LGBTQ+. La prima stagione inizia a cavallo del 1987, la seconda arriva al 1990. Sono gli anni di svolta per la ballroom culture, di cui l’estetica inizia ad essere rappresentata (e sfruttata) in esibizioni pop e nella danza contemporanea. Ma l’analisi storica di Pose, soprattutto nella seconda stagione, cerca di comunicare gli anni più bui di una comunità posta ai margini della società, senza la possibilità di inserirsi in contesti “normali”.

Sono gli anni della diffusione dell’AIDS, della morte degli amici e della propria. Il terrore della sieropositività e la rinuncia alla rassegnazione della malattia sono i due estremi che governano l’esigenza di rinascita trasmessa dai personaggi. All’alba della nascita del movimento Act Up (un’associazione no-profit che promuove la lotta contro l’AIDS), l’impegno diventa una priorità e nella serie sono momenti forti che insegnano una storia recente volutamente rimossa.

4 – Puntate memorabili (spoiler)

Pose è un flusso continuo di emozioni costellato da episodi iconici. La scrittura e la regia di alcune puntate le rendono punti cardine di una narrazione fatta di eccessi (positivi). Se nella prima stagione c’è una certa cautela con cui gli autori vogliono presentare la storia, la seconda sceglie di esprimere senza mezzi termini l’amore per il dramma, la meta narrazione ironica e il musical catartico.

Basti pensare alla quarta puntata della seconda stagione, Never Knew Love Like This Before. Qui il funerale di una delle protagoniste, morta in maniera violenta come molte donne transessuali in quel periodo, diventa l’occasione per riconsiderare il passato e la forza del futuro, mentre lo spirito della donna si rivela agli amici presenti alla funzione, raccontando ciò che non ha mai avuto la calma di rivelare.

POSE “Never Knew Love Like This Before”, Mj Rodriguez e Indya Moore. CREDITS: Eric Liebowitz/FX

5 – Gli abiti e la moda

La moda è onnipresente in Pose e si esprime negli abiti di tutti i giorni, mal visti nei confronti di una fisicità non conforme e per questo rifiutata dalla società, e nelle opere d’arte indossate durante le sfilate notturne.

Nonostante la forte drammaticità delle tematiche l’importanza della moda e del glamour emerge per anestetizzare le pene di donne e uomini costretti ad essere sé stessi solo in un micro mondo auto costruito. Gli abiti sfoggiati da Blanca, Angel, e dallo stesso Pray Tell, sono simboli distintivi di una guerra contro i canoni estetici nella “norma”.

Continuate a seguirci su FRAMED, dalle prime immagini la terza stagione appare come la risoluzione perfetta delle battaglie che abbiamo amato al primo sguardo, non vediamo l’ora di parlarvene!

Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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