Prisma apre un orizzonte nuovo, inaugura una visione che non ha paura di allargare lo sguardo verso soluzioni mai adottate. Merito di un determinato cinema, come quello di Dolan, che fa della sovrapposizione di immagini e musica la sua forza e che qui torna alla mente, coerente e assorbito nel tessuto creato da Ludovico Bessegato, alla regia, e Alice Urciolo, con lui alla scrittura.
Merito di una contemporaneità in fermento, difficile da fissare, impossibile da definire. Anche se la nuova serie Prime Video ci è andata veramente vicina. Prisma è il racconto poetico, musicale, ispirato di (e da) una generazione alla ricerca della propria identità. Ma soprattutto, Prisma è incredibilmente attuale.
I colori di Prisma
Il titolo prende in prestito la suggestione concettuale ed estetica che il prisma concede e si inserisce sul binario percorso da Skam compiendo un passo ulteriore: lo fa astraendosi da un’analisi quasi obbligata e liberandosi dalla costrizione di “dover” descrivere la diversità. Vibra di un respiro pieno, non ha paura dei silenzi, non ha paura neanche di concitarne alcuni momenti, per poi rilassarsi in altri.
La macchina da presa segue i protagonisti, ne fissa le individualità ed è libera nel mostrare da vicinissimo le loro emozioni, come succede sul finale della prima puntata, con un doppio sguardo in macchina che ci fa capire immediatamente il valore sfaccettato delle immagini che ci fascineranno fino all’epilogo.
Bessegato (che non ha per nulla deluso le aspettative) traccia una mappa a partire dai primi due puntini, i gemelli Marco e Andrea, e si allarga mostrandone la famiglia, gli amici, il passato, il luogo in cui abitano (con un uso dei flashback che dona un ritmo incredibile a tutto lo svolgersi delle storie). Arriva a descrivere il loro mondo senza tralasciare nulla e lo fa in modo totale, sconfinato. Lo scenario di una Latina geometrica e microscopica, nel sogno della città che sembra lontanissima ma che è solo a un’ora di treno, li accoglie e li allontana.
Un colore per ogni episodio e un cast di esordienti giovani attori e attrici che con naturalezza fanno loro le parole che da sceneggiatura si trasformano nella vita di Nina, Daniele, Carola e tutti gli altri.
Marco e Andrea
La dualità di ognuno è l’opportunità per conoscerli. A partire dai protagonisti, i gemelli Marco e Andrea, interpretati entrambi dall’attore emergente Mattia Carrano. Due personaggi diversissimi per un unico interprete, come se gli autori disponessero a priori il tipo di lavoro svolto, a prescindere dalla narrativa, una riflessione profonda che è anche un gioco visivo e un successo per il bravissimo Mattia Carrano che si sdoppia in due personalità a loro volta frammentate.
Per tutto il tempo avrete l’impressione di essere di fronte a due persone diverse, con storie che sembrano lontanissime eppure vissute a pochi metri di distanza, in una cameretta condivisa da sempre. La definizione delle etichette sbiadisce dove la ricerca della propria identità passa per una realtà che, seppur lottando tutt’ora, tende ad annientarne la predominanza. Le evita cautamente, sfidando lo sdoppiamento in cui mille lati si moltiplicano e nessuno è “una cosa sola”: questa è la rappresentazione della libertà di poter essere, di poter esistere.
Ed è in questo contesto che la scoperta di sé avviene: per Andrea attraverso la consapevolezza della sua identità queer, per Marco superando lentamente l’attitudine introversa che lo tiene in un limbo tra silenzi e rabbia. Grazie però a un confronto corale, al rapporto con gli altri, all’amicizia inattesa che colma gli spazi vuoti.
Prisma in due canzoni
La voce di Andrea Laszlo De Simone riempie le scene in cui Andrea prova un abito a fiori, davanti allo specchio, mostrando un sorriso e nascondendosi dai genitori e da chiunque possa scoprirlo. Quella paura, mista a felicità la percepiamo e diventa nostra, è vicinissima e possiamo toccarla.
Vivo
Andrea Laszlo De Simone, Vivo
Ma non ho scelta né un motivo
Il mondo è un tipo irrazionale
Fa come vuole
Non dà nessuna spiegazione
Il flusso musicale è una componente prioritaria per gli autori e i brani che delineano le vicende di Prisma non sono solo un tappeto su cui adagiarsi ma complementari agli sguardi, alle parole. È infatti attraverso un’altra canzone che il ragazzo comunica la sua identità e la malinconia della segretezza, imposta e costretta da quando è bambino: (No One Knows Me) Like the Piano di Sampha.
No one knows me like the piano in my mother’s home
Sampha, (No One Knows Me) Like the Piano
You would show me I had something some people call a soul
La musica di Prisma annulla la distanza tra chi guarda e chi vive in quelle strofe, l’età dei protagonisti diventa un dettaglio che solo all’inizio sembra una barriera. La libertà ha un solo colore, probabilmente, ed è la totalità degli otto che si susseguono negli episodi.
In breve
La difficoltà del prendere atto dei propri sentimenti, la difficoltà di distinguere i profili che si confondono tra anime e corpi, tra scoperte e insicurezze. Il racconto di una libertà rincorsa, come la ricerca di un amore comprensivo che possa abbracciare anche la paura di esporsi. Prisma rifrange le luci di una generazione che cerca il proprio posto, lo fa rendendosi liquida. Autori come Bessegato e Urciolo ci avvicinano al presente, in un mondo abituato a raccontare il passato, accorciando le distanze tra realtà e rappresentazione.