Il Festival di Sanremo è finito ed è tempo di tirare le somme, quest’anno più che mai amare.
Finisce Sanremo e la realtà ti scaraventa in faccia tutto quello a cui non hai pensato per una settimana. È la meraviglia dello spettacolo nazional popolare, che è bello finché dura poco e che quest’anno ha assunto la forma di una stagnante fotografia, senza colpi di scena.
Se è vero che la rassicurante realtà televisiva ha sempre fatto parte della kermesse, dal 2019 qualcosa era cambiato profondamente nel circo di Rai1. Pareva che nulla potesse essere più come prima all’Ariston ma oggi è chiaro che la rivoluzione è reversibile se non si ha il coraggio di fare un passo più in là. Nascondersi dietro al Marco Mengoni di turno e non avere nemmeno una vera polemica a cui appellarsi è la cifra di un festival seduto, che rischia di annegare nelle sue stesse dinamiche, ormai rodate.
L’edizione 2023 – Le promesse e gli esiti
La rosa dei nomi di Amadeus, per la quarta volta direttore artistico e conduttore, non prometteva particolari guizzi fin dall’inizio. Qualche promessa quantomeno di pezzi forti e di ottime performance c’era con Giorgia, con Elodie, con Anna Oxa, ma il tutto si è ahimè tradotto in brani bassi in classifica – per quanto abbia un valore relativo – ed esecuzioni poco convincenti sotto vari punti di vista.
La quota giovani, di cui Amadeus ha fatto la sua linea di condotta principale, si è risolta in un nulla di fatto, o meglio, in una delle due strade possibili per i piccoli artisti semisconosciuti che calcano il palco dell’Ariston: non scommettere niente e rimanere sé stessi con il rischio di arrivare ultimi e non venire capiti – vedi Tananai nel 2022 – o fare di tutto per arrivare primi senza riuscirci – vedi Ariete quest’anno.
La parabola di Tananai ha dimostrato quanto sia la prima opzione, spesso, ad essere quella vincente: Sesso Occasionale, la vera outsider dell’edizione dell’anno scorso, gli ha permesso di tornare nel 2023 con un brano che ha molto poco di Tananai e tanto di Sanremo; e che infatti è arrivato nella top 5. Ariete è un ottimo esempio della seconda strada: piccola realtà indie con una cifra stilistica piuttosto precisa, arrangiamenti essenziali, ruvidi e un sacco di amori finiti male. Ma la sua Mare di guai, che la firma di Calcutta prometteva avrebbe mantenuto l’aderenza al mondo del cantautorato indie, è una deludente ballad che non prende nessuna direzione.
L’incognita era Rosa Chemical. Su cui si puntava per incoronare un nuovo Achille Lauro, dopo che quello vero ha perso qualsiasi carica sovversiva. Rosa Chemical viene dal macrocosmo della trap e le aspettative da parte della scena erano sorprendentemente alte. È interessante il fatto che la sua presenza all’Ariston non abbia affatto generato delusione, anzi. Gli ultimi quattro festival hanno reso chiara una cosa: andare a Sanremo non significa più fare “il venduto” e dopo Rolls Royce anche la trap se lo può permettere. Ma quello che ha fatto Rosa sul palco dell’Ariston è una provocazione vuota, che non aggiunge nulla a quanto già visto con Lauro – e non solo – edizioni fa. Di inni all’amore libero e di triangoli a letto la canzone italiana è piena e in parte pure Sanremo. Il duetto saffico di Elettra Lamborghini e Myss Keta nel 2020 ha fatto più di quanto non possa fare un limone con Fedez dalla dubbia natura consensuale, per dire.
E i pruriti fascistoidi di qualche deputato di Fratelli d’Italia non valgono.
Il bilancio
Se anche chi avrebbe dovuto trasgredire è rimasto nei ranghi, che cosa ci resta? Il rischio concreto che Sanremo torni ad essere retaggio di qualche pensionato annoiato e non uno spettacolo rituale collettivo, come era diventato negli ultimi tre o quattro anni. Parte integrante della macchina-spettacolo Sanremo sono le polemiche, le cose che fanno parlare del festival e che si protraggono per giorni, se non mesi, su canali e media diversi.
Il sostanziale fallimento dell’operazione di quest’anno sta proprio qui: il Blanco-gate ha fatto certamente chiacchierare, ma troppo poco e per troppo poco tempo. Il tutto si è risolto in un processo finito ancora prima di iniziare e oscurato da altro nel tempo di una puntata. Persino il Fantasanremo non è più divertente, risulta quasi fastidioso vedere gli artisti che ringraziano l’orchestra e battono cinque soltanto per qualche punto in più.
Il bilancio è amaro. O meglio, insipido. È difficile immaginare come andrà da qui in poi. Un quinto mandato di Amadeus metterebbe in tavola nuovi ostacoli, nonostante lo share abbia confermato il trionfo sul resto del palinsesto. Con un’edizione così scialba, c’è bisogno di nuovo: urge inclusività reale e non celata dietro monologhi vuoti e misoginia vestita di comicità da balera, ma anche un freno all’ansia di voler essere a tutti i costi al passo coi tempi, non essendone capace.
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Qui la pagella della prima serata, qui la pagella della seconda e qui quella dei duetti.