Sesso più, sesso meno - 66thand2nd

Si dice che il silenzio valga molto più di qualsiasi parola. Banale, ma vero. Soprattutto quando in mezzo ci sono tante, troppe parole inutili. 

È allora che si capisce quanto contino i gesti, quanto conti il corpo. E quanto la sua distanza fondamentale dalle parole riguardo la verità: le parole possono mentire, i gesti mai. 

È questo, in fondo, che ci racconta il nuovo romanzo di Mario Fillioley, Sesso più, sesso meno

Sesso più, sesso meno – La trama

Protagonisti sono due insegnanti, un uomo e una donna, che si frequentano. Una relazione per loro apparentemente perfetta, senza coinvolgimenti, fatta solo di sesso: non ci sono sentimenti, solo il piacere fisico. Ma ci sono i loro costanti e incessanti pensieri attraverso i quali parlano al lettore parlando a loro stessi. Quello che cercano è solo una risposta sulla natura di quel piacere. Una risposta che, in fondo, non vogliono trovare. 

Come non vogliono trovarla neppure tutti gli altri personaggi che li circondano e con cui intrecciano le loro vite: gli ex dei due protagonisti in cerca di una vendetta, il cameriere studente della pizzeria che frequentano e l’insegnante di tennis che questi cerca sempre, invano, di sedurre, l’aiuto cuoco di quella stessa pizzeria, seduttore seriale di tutti i personaggi femminili del romanzo. 

Un romanzo corale dove a parlare non sono le parole dette, ma quelle non dette, i pensieri e i comportamenti. Qualcosa che non si può evitare, ma che si può e si deve nascondere al giudizio morale degli altri. Soprattutto in una città come Siracusa, dove tutto si svolge.

Eppure, quello che sembra un volontario rifiuto della morale non è nient’altro che la più incontrollabile e umana delle paure: che la coscienza delle proprie azioni rovini il piacere che esse producono. Nient’altro, dopotutto, che l’ansia della responsabilità delle nostre azioni.

Il contenuto

Fillioley, insegnante di lettere in quella Siracusa dove il romanzo è ambientato, imprime un po’ di sé stesso tra le sue parole, come forse è inevitabile fare quando si racconta una storia. Ma non sempre si riesce ad imprimere in essa anche un po’ di chi la leggerà. 

Lui ci riesce raccontando qualcosa che ci riguarda tutti, la vita nella sua complessità di relazioni con gli altri e, ancora più complessa, con noi stessi.

Perché i suoi personaggi parlano di fronte a uno specchio e non smettono mai di mentirsi, cercano altro rispetto a quello che sente il loro corpo, pensando che ci sia altro. Ma senza mai sperarlo. Ed è per questo che Sesso più, sesso meno non offre una narrazione lineare nella quale causa ed effetto determinano un’azione. In un certo senso, non ci offre una storia, come siamo abituati a pensare una storia, con una situazione iniziale, uno svolgimento e, forse, anche un finale capace di esprimere una morale. 

Al contrario, questo romanzo evoca le sceneggiature del Neorealismo, quel racconto che gira intorno a se stesso, alla ricerca di una strada che non vuole trovare. Come i suoi personaggi. Perché non c’è un’azione che scateni un avanzamento del tempo e un cambiamento dello spazio, ma il tempo sembra immobile e lo spazio chiuso. Anche se la possibilità di muoversi e di aprirsi è sempre ad un passo, eppure costantemente irrealizzabile. Come la vita stessa, appunto.

Il romanzo di Fillioley è una dilatazione psicologica, del tempo e dello spazio insieme. Potenza senza atto, pensiero senza gesto, ma non perché il gesto non ci sia davvero: il corpo si muove e vive, gode. 

I suoi personaggi, come noi, si illudono che ci sia altro e, ancor di più, che possano ignorare quello che c’è. Credono di poter ignorare il silenzio cercando invano le parole per descriverlo. Pensano di poter ignorare per sempre il significato stesso del silenzio.

Esattamente come lo pensiamo noi lettori. 

Grazie alla casa editrice 66and2nd per averci dato la possibilità di leggere questo titolo. Continuate a seguire le Letture di FRAMED anche su Instagram.

Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.

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