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Controstoria a frammenti del Festival di Sanremo

Si è da poco concluso Sanremo 2021, ma, sulla scia dell’ultima edizione, vi consiglio una lettura che vi farà venir voglia di recuperare vecchie esibizioni e duetti celebri (e vi farà sorridere in memoria di quello che Sanremo è e sarà sempre).

Sto parlando di “Sono disperato Pippo!” – Controstoria a frammenti del Festival di Sanremo, scritto da Liborio Conca ed edito da TINALS. Ne parlavamo qualche settimana fa con Andrea Provinciali (trovate l’intervista qui) a proposito del cofanetto speciale per raccontare Sanremo grazie ad alcuni dei migliori fumettisti italiani.

“Sono disperato Pippo!”, di Liborio Conca con la copertina a cura di Valentina Formisano.

Il libro, contenuto nella box d’eccezione, è ora acquistabile online e, dopo averlo letto ed essermi concessa un viaggio nel passato dell’evento musicale che, inevitabilmente, ci tiene incollati fino alle 3 di notte, in una settimana che può essere definita al tempo stesso “santa” e “maledetta”, ho avuto il piacere di fare una chiacchierata con l’autore, ricordando i Placebo con le chitarre spaccate e Tenco, di cui ci si ricorda solo in momenti inopportuni.

Chi è Liborio Conca?

Liborio Conca (1983), vive a Roma. Giornalista, è caporedattore del blog culturale minima&moralia e collabora con varie testate. Nel 2018 è uscito per Jimenez il suo primo libro, Rock Lit. Collaboratore “storico” di This Is Not A Love Song – TINALS, progetto per cui negli anni ha curato diversi testi.

Qualche domanda post Sanremo (in una Roma assolata prima di tornare in zona rossa):

Innanzitutto, perché il formato pamphlet? Ne avrei letto volentieri ancora!

Ci penseremo, vediamo cosa dirà il mio amico Andrea Provinciali, di sicuro di materiale ce n’è, specialmente dopo quest’edizione appena conclusa!

Leggendo le prime pagine, è bello riscontrare di appartenere alla stessa adolescenza di rifiuto nei confronti di Sanremo per poi ritrovarsi a parlarne (e a rivalutarlo).

Sì, come ho scritto nel libro c’è quella fase adolescenziale in cui non te ne frega proprio nulla. Adolescenza e prima giovinezza, almeno fino ai 20 anni. Da bambino invece lo guardavo perché ci si sintonizzavano i miei genitori ed era una scusa per andare a letto tardi: una specie di festa. E ha mantenuto quel carattere, in generale, per l’Italia.

Come hai vissuto l’edizione 2021? Che ne pensi del risultato?

Quest’anno tra la realizzazione del libretto e il fatto che non si può uscire di casa me lo sono visto praticamente quasi tutto e ti dico che domenica quando mi sono svegliato e ho acceso la TV- sono teledipendente, la prima cosa che faccio, oltre a preparare il caffè la mattina è accendere la TV- c’era Mara Venier e ho avuto una sorta di rifiuto (ride) non ce la facevo più! É stato molto invasivo diciamo, mettici che iniziava alle 21 e finiva alle 2 e mezza di notte.

È stato anche abbastanza lento, e ho letto in giro tante critiche, anche giuste in parte, ma un minimo di attenuante voglio concedergliela, perché era complicato gestire il Festival quest’anno. Potevano ovviamente fare cose che non hanno fatto, però il clima è quello che è, e anche scherzare è complicato. E la mancanza di pubblico non ha reso le cose facili.

Nel libro scrivi dei “grandi assenti” della storia del Festival, come Guccini e De Gregori: quali sono stati i grandi assenti del 2021?

Direi che i “grandi assenti” sul palco quest’anno sono stati due, due categorie più che personalità singole: i “grandi vecchi”, l’assenza del “cast tradizionale” in mezzo ad una serie di “giovani”. Nel bene e nel male fanno parte della “costruzione” Sanremo. È mancata un po’ la tradizione sanremese, i classici come Albano eccetera. E poi, almeno io ho avvertito la grande mancanza, sebbene fosse complesso me ne rendo conto, di qualche ospite internazionale. Nonostante le restrizioni qualcosa potevano inventarsela: anche in video a distanza, escogitando formule diverse.

E il vuoto si è visto, anche nella piattezza degli sketch. E non solo a livello di ospiti musicali, ma anche dal mondo del cinema. In passato Sanremo lo si guardava, nell’epoca d’oro, anche per il passaggio delle grandi star. Nel libro parlo dei Placebo, di Eminem, dei Queen nel 1984  (che poi fecero esibire Freddie Mercury in playback tra l’altro presentato da Beppe Grillo! Ed è incredibile, non ti spieghi come sia possibile, ovviamente entrambe le cose). Pure per gli anni ’90, io non ero un fan ma le mie compagne di classe sì, ci furono i Take That, le Spice Girls! Il grande fenomeno musicale dell’anno passava inevitabilmente da Sanremo.

Adesso è cambiato anche questo: un tempo le popstar internazionali facevano un passaggio a Sanremo perché gli avrebbe garantito una promozione effettiva in Italia, e vendevano i dischi. Mi ricordo che durante la settimana del Festival bastava guardare le classifiche: erano dominate dai cantanti in gara e dalle star che ci passavano. Ora i dischi non si vendono più, e i grandi artisti ti chiedono cachet esorbitanti. È una cosa che è cambiata al di là di Sanremo.

Ho letto che avevano pensato a Lady Gaga, che è in Italia per il nuovo film di Ridley Scott, ma i costi erano altissimi, e poi entrano in gioco i discorsi sugli sprechi, e la Rai che è servizio pubblico prima di spendere ci deve pensare dieci volte.

Mi è mancato parecchio il Dopo festival, lo ammetto, che smorzava sempre la seriosità dell’evento in sé, ma capisco che sarebbe stato molto complicato.

Secondo te quali sono state le edizioni peggiori della storia di Sanremo?

Sicuramente quelle a cavallo degli anni ’00, tipo dal 2007/2008, all’inizio degli anni ’10, che sono state un po’ dominate dai reality, X Factor, Amici, con delle classifiche finali secondo me atroci. L’anno che vinse Scanu e arrivò secondo il terzetto Pupo, Emanuele Filiberto e il “tenorino” (che ce lo vogliamo far mancare?), poi Il Volo… sono stati veramente anni drammatici musicalmente parlando.

Il tuo favorito invece dell’edizione appena conclusa?

Quello che mi è piaciuto di più è probabilmente il pop di Coma_Cose: ho apprezzato il pezzo perché era “leggero”, ci ho visto l’idea di comunicare che fosse tutto normale, con la primavera, l’amore.

Poi da “rimastone” degli anni ’90 il fatto che ci fosse Toffolo con quella banda di matti degli Extraliscio mi ha divertito. Loro sono stati tra i performer migliori, essendo stata un’edizione in cui sono state molto criticate le esibizioni dal punto di vista canoro, Toffolo sotto quel punto di vista è inattaccabile. Non ha la voce di Freddie Mercury (ride) ma ha fatto centinaia di concerti e ha cantato bene un testo che tra gli autori vede anche Elisabetta Sgarbi. La loro è stata una performance non dico travolgente (per la mancanza del pubblico) ma bella, vivace. Che poi non conosco qualcuno che non abbia visto I tre allegri ragazzi morti almeno un paio di volte dal vivo!

Invece che ne pensi dei Maneskin e della loro vittoria?

Non mi aspettavo che vincessero, sinceramente, ma neanche il sabato stesso della finale. Hanno fatto il duetto con Manuel Agnelli che era bellissimo, nonostante il pezzo fosse “fatto e rifatto”, ma la scelta gli ha portato bene. Poi, verso le due di notte, quando sono rimasti “all’ultima curva” con Fedez ed Ermal Meta ovviamente stavo con un cartello ideale con scritto “W Maneskin”! (ride).

Ti confesso che Francesca Michielin mi piace, aveva cantato anche un paio di pezzi scritti da Calcutta che ho ascoltato e riascoltato, ma Fedez non lo reggo proprio. Invece Ermal Meta ha portato un pezzo “solido”, obiettivamente, però mi è piaciuta la scelta della cover di Dalla: al posto di Caruso avrebbe potuto scegliere dal catalogo sterminato del cantautore, magari qualcosa di meno conosciuto dal pubblico sanremese. Se avesse portato Telefonami tra vent’anni, ad esempio, sarebbe stata tutta un’altra cosa.

Tornando ai Maneskin, nonostante non sia proprio un loro fan, fanno rock and roll, e per quanto possa apparire fatto e rifatto, viva il rock and roll. A Sanremo poi il rock ha una tradizione scarsissima, Vasco Rossi per quanto sia arrivava comunque ultimo. Al di là dei Maneskin la canzone più rock, che si considerava vincitrice del festival, è Mistero di Enrico Ruggeri, tanto per farti capire.

Che ne pensi invece della presenza di Achille Lauro?

Achille Lauro come concorrente a Sanremo è forse una delle cose più fighe degli ultimi anni, mentre la serie di “quadri” che ha portato nel 2021 la trovo un po’ pretenziosa. Se lo devi fare le canzoni devono essere all’altezza del resto, e non sempre nelle serate i pezzi sostenevano quel tipo di messa in scena secondo me. Poi ovviamente il fatto che abbia fatto indignare per l’ennesima volta Gasparri è bello.

E Bugo?

Bugo era molto atteso ed è un peccato perché il pezzo era bello, “battistiano” con un attacco alla Mi ritorni in mente, ma cantato male. In radio è apprezzabile, ma dal vivo non aveva lo stesso impatto. Peccato davvero per lui.

Se vi siete divertiti a leggere l’intervista amerete “Sono disperato Pippo!” – Controstoria a frammenti del Festival di Sanremo, che potete trovare qui. Per aggiornamenti su controstorie e reinterpretazioni continuate a seguirci su FRAMED.
Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.