Dopo meno di tre mesi dal suo debutto nelle sale, Sul più bello di Alice Filippi è disponibile su Prime Video.
Già dal trailer Sul più bello suggerisce un gusto e un’estetica accattivanti che invogliano a guardare il film. Se la trama, a una visione meno attenta, sembrerebbe non aver nulla di particolarmente innovativo, il film merita però attenzione per la composizione dei set e dei costumi.
MARTA NON È UNA SFIGATA
La protagonista è Marta, una giovane ragazza affetta da una malattia genetica rara. Avrebbe tutte le carte per essere la classica ragazza sfigata, ma sceglie di non esserlo: ha troppo poco tempo per frequentare ragazzi nerd o mediocri (cioè quelli che il pensiero comune vedrebbe bene insieme a una ragazza come lei). No, Marta in fatto di relazioni punta al meglio. E il meglio è Arturo Selva: ricco, bravo, intelligente e soprattutto bello!
LE MOLLETTE SUL VELO DA SPOSA
Marta è un personaggio sorprendente, perché spezza limpidamente una serie di cliché che verrebbe naturale associarle: pur essendo orfana e malata non è circondata da un alone di pietismo, così come il fatto di non essere né bella né fortunata non implica per forza una profondità d’animo e una bellezza interiore.
La scena di apertura, con il senno di poi, già dice molto sul suo personaggio. L’inizio del film è di una poesia e una semplicità disarmanti. In un ambiente mistico (forse uno scantinato, con lenzuola stese sui fili del bucato) una bimba, Marta, gioca a fare la sposa con un velo tenuto fermo da mollette per i panni e un manichino per sposo. Insieme a lei, gli amici di sempre, Federica, una bambina dai capelli rossi in veste da prete, e Jacopo, al suo fianco verso l’improvvisato altare. Basta questa scena per capire Marta: quelle mollette ci raccontano il modo con cui si approccia alla vita (o come vorrebbe), un eterno gioco colorato dove è lei a stabilire le regole e cambiarle a piacimento.
IL MONDO DI MARTA
Nella casa ereditata dai genitori, Marta e i suoi amici allestiscono un mondo multiforme, leggero e colorato, che rispecchia le loro personalità. Ma il mondo che Marta crea intorno a sé è un paese delle meraviglie che ha lo scopo di addolcire la pillola amara della vita: l’eterogeneità di forme e colori in questo caso, più che essere segno di una mente aperta, rivelano una certa superficialità della protagonista. E questa è l’idea innovativa rispetto al filone a cui appartiene il film.
Marta si nasconde dietro la scusa del poco tempo che la malattia le lascia per fermarsi alla superficie colorata (ma anche poco sincera) delle cose: se costruisse un rapporto concreto e profondo soffrirebbe ancora di più nel momento dell’abbandono.
FORME, PATTERN, COLORI – Le scene e i costumi
Dal guardaroba alla tappezzeria, forme, pattern e toni diversi si susseguono. Una scelta di questo tipo è generalmente molto rischiosa. Il pericolo? Creare un’accozzaglia di linguaggi diversi che stonino tra loro. Qui il rischio è doppio perché ai set già ricchi di colori e forme si devono integrare costumi dominati, anch’essi, da ulteriori pattern e toni. La difficoltà è stata però superata magistralmente da Francesca Bocca (scenografa) e Cristina Audisio (costumista). Dalle inquadrature, ricche ma sempre ben equilibrate, emerge un lavoro sinergico e di dialogo nella progettazione di scene e costumi, fattore non così scontato.
L’ESTETICA DEL FILM – Un gusto che piace, ma già visto
Senza dubbio, visivamente il film è un prodotto ben riuscito. Piace, anche se non è nulla di così rivoluzionario. Ci sono anzitutto evidenti somiglianze con Il favoloso mondo di Amélie, sia per la caratterizzazione della protagonista che per l’estetica generale. Ricorrono in entrambi i casi toni giustapposti e uno stile romantico retrò specchiato con colori saturi e pop, ma a loro volta ammorbiditi da tinte ocra.
Questa estetica del colore è da un po’ di anni molto in voga, sia in grandi produzioni (penso al live action Cenerentola), sia in videoclip, o in frangenti più inaspettati come il recente Natale in casa Cupiello della Rai. Insomma, se dieci anni fa poteva piacere, alla lunga rischia di essere stucchevole.
Lo stesso vale per la patina ocra che pervade tutte le inquadrature, un’opzione di cui avrei fatto volentieri a meno. Se da un lato tutto viene uniformato (e ripeto, non si può negare la bellezza delle singole inquadrature) dopo un’ora di film rischia di risultare monotono e stanca l’occhio, perché nulla spicca.
Al di là di queste precisazioni il film è ben confezionato e la visione è piacevole. Anche la trama, all’apparenza scontata, rompe in realtà alcuni cliché, andando oltre la sdoganata morale del “non sono bella fuori ma dentro”.
ARTURO: Perché proprio io?
MARTA: Perché sei bello! […] Cosa detesti di più nelle persone?
ARTURO: La superficialità.
Il gioco delle 5 domande tra Arturo e Marta – Sul più bello (Alice FIlippi, 2020)
Continua a seguire FRAMED anche su Facebook e Instagram.