fotogramma dalla seconda stagione di Ted Lasso

Nel 2021 Ted Lasso ha battuto il record del maggior numero di nomination agli Emmy (20, di cui 7 vinti) per una serie comica esordiente. Quando era uscita, l’anno prima, aveva conquistato pubblico e critica con una ricetta a misura di devastazione pandemica: positività, autoindulgenza, crescita collettiva più che performance individuale. Rinnovata nel giro di pochi mesi per una seconda e terza stagione, nominata nel 2022 ad altrettanti Emmy: il trend positivo non sembra arrestarsi. Sarebbe però un errore non riconoscere che Ted Lasso sta lentamente diventando qualcosa di completamente diverso.

Dov’era finita la prima stagione

Ted è stato ingaggiato da Rebecca Welton, presidente dell’AFC Richmond, con l’esplicito intento di affondare l’amata squadra dell’ex marito, da lei recentemente acquisita dopo il divorzio. Ted è un coach di football americano che non ha idea di come allenare una squadra di calcio – e quel poco che sa lo deve alle informazioni che gli passa il suo secondo, Beard. Ma quel che gli manca in tecnica compensa in motivazione: cieco e sordo ai segnali di sconfitta che gli arrivano dalla squadra, dalla stampa e dai tifosi, difende la sua prospettiva dissennatamente ottimista fino a ribaltare la diffidenza generale iniziale.

Cosa aspettarsi dalla seconda stagione

La seconda stagione ha il difficile compito di mantenere le aspettative e trovare nuove sfide per una squadra di personaggi che, alla fine della prima, ha abbracciato totalmente la filosofia di Ted. Rebecca non è più una spina nel fianco della squadra, ma una donna che si è lasciata alle spalle un divorzio doloroso. Lo stesso vale per Roy, Keeley, Sam, Jamie, Beard, Nate: escono dal ruolo con il quale li abbiamo conosciuti e vanno alla ricerca di una definizione personale che li renda più tridimensionali, autonomi e verosimili.

Questa evoluzione è particolarmente evidente nel caso di Ted. Fa ancora appello alla sue inesauribile scorta di dad jokes, ma il suo disagio esistenziale affiora sempre più spesso. Sarà centrale per lui il rapporto con la dottoressa Sharon Fieldstone, psicologa sportiva chiamata da Higgins a supportare la squadra nel post retrocessione.

Non sempre l’evoluzione è una buona idea

Comicità e discorsi motivazionali possono coesistere solo davanti a grosse avversità; senza avversità vanno, fatalmente, in direzioni opposte. L’AFC Richmond ha imparato da Ted che vincere non è tutto, che la tecnica conta meno del cuore, che si può manifestare la propria debolezza senza temere il giudizio degli altri. Tutto vero e importante da ribadire, ma viene il dubbio che la serie, presa com’è dal lanciare messaggi positivi, abbia volutamente abbandonato ogni possibilità residua di farci ridere di gusto.

L’effetto paradossale di questa scelta è che anche i messaggi positivi risultano depotenziati. Senza vero conflitto tutto sembra avvenire in uno spazio narrativo avulso da ogni contesto reale, e ciò mina la credibilità delle storie raccontate. È il caso, ad esempio, delle tre vicende che coinvolgono il calciatore nigeriano Sam Obisanya, del rapporto non privo di tensione tra Lasso e la psicologa Fieldstone, dell’evoluzione da villain di Nate. “Ted Lasso è una fantasia di mascolinità non tossica che sfortunatamente cade nella sua rappresentazione di uomini e donne non bianchi”, come afferma Meghna Jayant in un interessante thread su Twitter.

Ipercompensazione umoristica

La maggiore debolezza di una scrittura comica costretta a compensare la mancanza di situazioni comiche è simile a quella che confessa Nate prima della partita contro il Manchester City: “faccio finta di avere avuto un’idea brillante sul momento, e invece è un’idea che ho già da un po’”. È difficile mantenere un’impressione di spontaneità nell’interazione tra i personaggi quando non si resiste alla tentazione di trasformare ogni scambio verbale in una raffica di battute. E se l’accumulo parossistico di giochi di parole ed eufemismi è un tratto peculiare di Ted (specie se stressato), estendere il contagio all’intero cast può risultare stancante.

Se ci ostiniamo a cercare qualche risata tra le pieghe di una tale narrazione, possiamo trovarla nei personaggi più resistenti, sia al processo di miglioramento coatto che alla jokification dei dialoghi. Nell’invariabile cinismo imbronciato di Roy Kent, nell’improbabile estro intellettualoide del silenzioso Beard: creature care a Brett Goldstein, che scrive per loro i due migliori episodi della stagione (Il segnale e L’after hours di Beard).

In breve

È difficile far seguire ad una prima stagione acclamata una seconda stagione all’altezza delle aspettative. Ted Lasso ha abbandonato le sue solide premesse di commedia sportiva per diventare una dramedy più convenzionale, perdendo un po’ di personalità nel processo. La terza stagione ci dirà se è un percorso reversibile, o se le premesse iniziali sono state definitivamente superate.

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