Dopo essersi lanciato in orbita per due stagioni in cui ha conquistato chiunque e ha vinto tutto ciò che c’era da vincere, è nella Parte III che The Bear raggiunge davvero “la sua quota” e può finalmente fermarsi un attimo, riprendere fiato e – solo in apparenza – proseguire per inerzia, grazie a tutto quello che di buono ha costruito fino a qui. In realtà i nuovi episodi, disponibili su Disney+ dal 14 agosto, compiono un movimento opposto, tornano indietro a scavare in profondità nei personaggi, nei loro traumi e nel loro lutto.
Ogni secondo conta, ripeteva in modo sistematico e martellante la seconda stagione. Il tempo, cioè, scorre rapido e va afferrato, non permette distrazioni, digressioni o ripensamenti. Ogni secondo conta, ma nel frattempo la vita passa e si perde. E forse è questo che cerca di raccontare The Bear 3, manipolando, al contrario questa volta, le lancette dell’orologio fino a rallentarle, fino a portarle indietro, all’origine di tutto il dolore. Per oltrepassarlo.
The Bear 3, dove eravamo rimasti
Tomorrow, domani, questo il titolo del primo episodio della Parte III. Inizia con una promessa di futuro, eppure guarda al passato, con numerosi flashback che portano Carmen Carmy Berzatto (Jeremy Allen White) in uno dei suoi pericolosi labirinti mentali. Tredici minuti, esatti, è il tempo di questo opening straordinario, fatto solo di gesti, di piatti, di dettagli e di ricordi, di luci e colori che evocano sapori. Una dichiarazione di intenti che dà forma e identità all’intera stagione: formalmente impeccabile, calma in superficie ma caotica, sofferente e brutale in profondità. Tredici minuti, il tempo che The Bear impiega per ribadire, se mai fosse necessario, che non esiste un’altra serie così.
Poi d’un tratto tutto cambia, il flusso quasi onirico della sequenza-prologo si interrompe, entrano i dialoghi, torna la tensione. Esattamente dove era rimasta. È il giorno successivo all’apertura del The Bear, il ristorante di Carmy e Syd (Ayo Edebiri). Carmy ha perso l’intera serata, chiuso per sbaglio nella cella frigorifera difettosa, da cui si è lasciato andare a uno sfogo che ha allontanato per sempre Claire (Molly Gordon) e ha spezzato il rapporto con Richie (Ebon Moss-Bachrach). Deciso a non ripetere l’errore dell’assenza, lo chef detta nuove regole, prima di tutto per se stesso.
Intrappolato nella sua bolla non riesce a notare le perplessità di Sydney, la solitudine di Richie, il lutto di Marcus, le difficoltà della sorella Natalie. È così che The Bear 3 si spezza in tante parti quanti sono i suoi volti. Quel senso di compattezza, di gruppo, di famiglia, seppur disfunzionale, che guida le prime due stagioni lascia spazio a un’introspezione personale e multipla, personaggio dopo personaggio. Per poi tornare all’intero.
The Bear 3, una stagione di passaggio
Lo dice chiaramente l’ultima inquadratura del finale: to be continued. La terza stagione di The Bear è stata pensata già dall’inizio come incompleta, o meglio, come un passaggio necessario verso l’ipotetica chiusura di un cerchio. Il grande tema trasversale della serie di Christopher Storer è il superamento impossibile di un lutto eterno, quello per un fratello suicida, declinato attraverso diverse esperienze e diversi gradi di vicinanza. E lentamente la serie si avvicina al momento di tanta sperata riconciliazione, di Carmy e di tutti gli altri, con la vita. Serve solo un po’ di pazienza, come per il risotto al brasato di Syd.
Serve tempo e spazio per fare pace con il passato, per questo la Parte III spesso sembra fermarsi, e in effetti è una stagione molto povera nella sua trama orizzontale. Non racconta quasi nulla nel complesso, se non le difficoltà economiche e organizzative del ristorante, che rischia di chiudere a pochi mesi dall’apertura. È nelle trame verticali che questa stagione dà il meglio di sé, permettendo ad altri personaggi, “secondari”, di brillare (sicuramente anche in vista delle prossime nomination a Golden Globes ed Emmy).
Non è superbia da parte della serie, ma un dato di fatto: The Bear è così stabile sulla vetta della miglior serie del momento da potersi permettere una brusca frenata, senza rinunciare alla qualità della scrittura e della regia, per dare a ciascuno dei suoi interpreti il momento della ribalta.
Tovaglioli e cubetti di ghiaccio
Forse ancor più che a Jeremy Allen White, The Bear ha spalancato le possibilità di carriera alla meravigliosa Ayo Edebiri (nel prossimo film di Luca Guadagnino) che, dopo aver conquistato ogni scena e ogni red carpet, ha scelto di debuttare alla regia di un episodio della serie. E non uno a caso, ma quello dedicato all’alunna di chef Syd, Tina (Liza Colón-Zayas).
Niente a che vedere, certo, con la complessa regia degli episodi precedenti o successivi, ma un’ottima prova d’esordio per l’attrice che trova così un altro modo per raccontare uno stato d’animo, anche fuori scena. In questo episodio-flashback, inoltre, è sempre bello riscoprire gli equilibri del The Beef prima dell’arrivo di Carmy.
È Cubetti di ghiaccio, tuttavia, il vero guest episode della stagione, pensato e costruito, nei suoi emozionanti primi piani, per consegnare ogni premio possibile nelle mani di Jamie Lee Curtis.
L’attrice, che era stata la sorpresa della seconda stagione nel lungo e complicatissimo episodio-flashback Pesci (2×06), interpreta la madre di Carmy, Michael e Natalie. E in questo ottavo episodio della Parte III ha finalmente la sua occasione per riconciliarsi con la figlia, in un momento delicato e speciale come il parto di quest’ultima. È la prima, fondamentale, ferita che inizia a guarire.
La seconda, un paio di episodi dopo, è negli occhi lucidi di Carmy, che finalmente riesce a dare voce ai fantasmi che lo tormentano. Con calma, arriverà il momento in cui riuscirà a scacciarli. Ogni secondo conta, bisogna imparare a viverlo, senza ingordigia, proprio come questa terza stagione, che insegna più di quanto mostra.